Ma nonostante le apparenze, Il cavaliere dello spirito occidentale di Carrà si propone come figura reale che si muove in uno spazio altrettanto reale, mentre l’immaginazione di de Chirico costruisce piazze algidamente immobili, vuote, silenziose ma a loro volta “vere”, pure basate sulla rappresentazione di forme plastiche nettamente delineate e distinte, tra le quali si determinano invisibili tensioni. Quadri come questi hanno un significato archetipico che sviluppa e completa quello attribuibile a Rousseau: non a caso costituiscono le prime illustrazioni del libro di Roh, dove sono confrontati con altrettante opere “espressioniste” per rimarcarne distanza e novità.
Il paragone del Cavaliere di Carrà con uno dei cavalieri tendenzialmente astratti di Kandinskij evidenzia come nel primo «tutto è realtà solida, la figura è palpabile, nello spazio possiamo effettivamente entrare», mentre nell’opera di Kandinskij l’immagine sembra un sogno. Analogamente virtuale è lo spazio urbano dipinto dal Robert Delaunay della Squadra di Cardiff, un intarsio piatto di colori, anche carico di suggestioni sonore - i rumori della città -, ben diverso dalla piazza di de Chirico immobile e silenziosa. Quest’ultima è un luogo urbano d’invenzione, naturalmente, dove «una profondità reale però penetra nel quadro, da una piazza immaginaria se ne forma una vera che vuole attirarci al suo interno».
Risulta senza dubbio centrale e fondativa l’esperienza del gruppo italiano di “Valori Plastici”, di cui Carrà e de Chirico sono protagonisti; è proprio quel gruppo, secondo Roh, «a dare la spinta decisiva per l’intera svolta europea». Specialmente esemplare è il caso di Carrà, già futurista radicale, che dopo metafisiche stereometrie, come la ricordata, arriva a sovrapporre con esiti di arcaica e immutabile stabilità volumi plastici in sé astratti e forme esistenti in natura, sempre meno geometrizzate.