La bibbia deL
reaLismo magico

Il realismo magico ci riporta alla metà degli anni Venti del secolo scorso, quando tale espressione viene introdotta per definire una tendenza in pittura emersa alla fine del decennio precedente e ormai saldamente attestata e praticata in tutta Europa.

il suo riconoscimento come specchio di una nuova disposizione ampiamente diffusa in campo artistico coincide con l’affermazione della Nuova oggettività, sanzionata dalla mostra tenutasi nel museo di Mannheim nel 1925. Benché realismo magico e Nuova oggettività condividano molti aspetti e caratteri, non sono fenomeni artistici esattamente sovrapponibili, sebbene molti pittori siano riferibili a entrambi e con lo stesso tipo di opere. Li accomuna, in generale, il ritorno a una solida e in apparenza tradizionale costruzione delle figure, del paesaggio, della natura morta dopo le variegate dissoluzioni formali delle avanguardie storiche, con esiti anche astratti; li distinguono più marcate componenti metafisico-idealizzanti nel realismo magico e taluni forti intrecci con la contemporaneità nella Nuova oggettività, che in non pochi interpreti si propone come arte politicamente e socialmente impegnata.

Quanto alle definizioni critiche originarie, quella di realismo magico nasce dalla riflessione del giovane storico dell’arte Franz Roh, ricca di spunti teorici e filosofici, che individua in esso una tendenza d’importanza epocale, rapportabile alle grandi correnti generatrici della modernità artistica: impressionismo, postimpressionismo ed espressionismo. Dagli sconvolgimenti da loro generati nel linguaggio artistico, scrive Roh, «è nato un silenzio grandioso e solenne, dalle onde è emersa la roccia lucida e chiara, riconoscibile sino all’ultimo suo granello come fosse illuminata dalla più pura delle aurore». Nuova oggettività è invece il titolo della ricordata mostra di Mannheim, ordinata da Gustav Hartlaub ricorrendo (per necessità organizzative) ad artisti esclusivamente tedeschi, benché il progetto iniziale prevedesse anche una significativa presenza di pittori italiani e francesi, soprattutto. In entrambi i casi, realismo magico e Nuova oggettività sono avvertiti come tendenze contrapposte all’espressionismo, un termine usato in area tedesca come onnicomprensivo delle diverse anime delle avanguardie artistiche del primo Novecento: dunque, principalmente, anche del cubismo francese e del futurismo italiano. Roh ricorre all’espressione “realismo magico” prima in un articolo del 1924, poi in un libro dell’anno seguente, che raccoglie una serie di esempi della nuova tendenza introducendola con un testo di ampio respiro.


Henri Rousseau corretto da George Grosz e John Heartfield, Autoritratto (1920); ubicazione ignota.

Si può dire che il libro di Roh - pubblicato a Lipsia nel 1925 e intitolato Nachexpressionismus, post-espressionismo - sia la bibbia della nuova pittura. La dizione Realismo magico - completata da Problemi della pittura europea più nuova - ne è il sottotitolo. Già nel breve testo con il quale l’autore licenzia il libro a «Frauenkirchen presso Davos, marzo 1925», si evidenzia la centralità della definizione di “realismo magico”, cui pure Roh dichiara di non voler attribuire nessun valore particolare. Ma egli stesso nota come “post-espressionismo” abbia un senso puramente cronologico - si parla di qualcosa che viene dopo la stagione storica dell’espressionismo - mentre altri possibili titoli o sottotitoli che pure precisano alcuni contorni della tendenza emergente, come “realismo ideale”, “verismo”, oppure “neoclassicismo”, riguardano soltanto una componente di un fenomeno artistico la cui ampiezza, varietà e significato profondo possono assai meglio essere restituiti attraverso l’espressione, appunto, di “realismo magico”. Roh prende in considerazione anche il termine “surrealismo”, osservando tuttavia un’essenziale differenza: mentre i surrealisti rappresentano un mondo in termini enigmatici e misteriosi attraverso accostamenti incongrui o impossibili di immagini, figure e oggetti, i pittori riconducibili all’idea del realismo magico danno forma a un «mistero [che] non si inserisce nel mondo rappresentato, ma si nasconde dietro di esso», indipendentemente dal fatto che lo stile di volta in volta adottato sia di matrice verista o neoclassicista - ma anche naïf - in tutte le varianti e gli intrecci possibili.

Nell’antiporta del libro, accanto al frontespizio, compare La zingara addormentata di Henri Rousseau, un quadro dipinto nel 1897 e ora conservato nel Museum of Modern Art di New York, che funziona da modello iniziale, motore primo di un sentimento del “magico” che proprio in quel dopoguerra avrebbe incontrato una particolare fortuna. In realtà il Doganiere Rousseau era stato subito e regolarmente amato dai pittori “più nuovi” di tutte le tendenze d’avanguardia succedutesi dall’inizio del Novecento in avanti: da Vasilij Kandinskij, in particolare, che considerava il “realismo” di Rousseau così puro da arrivare quasi a rispecchiare la non-oggettività delle sue composizioni astratte dei primi anni Dieci, a esserne una sorta di linguaggio complementare - o parallelo - e altrettanto innovativo. Soltanto i dadaisti di Berlino, proprio quando il realismo magico nelle sue diverse declinazioni cominciava a svilupparsi in tutta Europa, si prendevano gioco di Rousseau e della sua maniera, conferendole la patente - attraverso un grottesco finto autoritratto del Doganiere beffardamente eseguito da George Grosz e John Heartfield - di pittura da vecchie zie, divise tra i piaceri di merletti e cioccolatini e i brividi chic dell’avanguardia.

Il valore della Zingara addormentata, nella prospettiva di quel realismo magico che la seguirà a distanza di un ventennio almeno, sta in certe sue suggestioni particolari, al di là dell’intonazione generale che ne avrebbe fatto un punto di riferimento per tutta la linea ingenua, primitiveggiante e arcaista dell’arte del XX secolo. La spettralità ne è elemento chiave: spettralità come apparizione “magica” di cose e figure avvolte da un silenzio cristallino, nitidamente profilate, tra loro interagenti ma al tempo stesso ben distinte, autonome e solitarie, sospese in una luce fredda - quella della luna, nel quadro di Rousseau - ma in ogni caso reali e tangibili nelle loro superfici dall’apparenza dura, come smaltata. «L’intera composizione», scrive Roh, «è di una tale, significativa ingenuità, e configurata al tempo stesso in modo così magistralmente sicuro, da esercitare su chi l’osserva un fascino assolutamente irresistibile».


Carlo Mense, Doppio ritratto, da F. Roh, Nach- Expressionismus, (1925). Per evidenziare i caratteri formali del realismo magico rispetto all’espressionismo, Franz Roh ricorre al confronto tra quadri dello stesso soggetto di autori diversi: in questo caso, due doppi ritratti di Schmidt-Rottluff e Mense.

REALISMO MAGICO
REALISMO MAGICO
Antonello Negri
La presente pubblicazione è dedicata al Realismo magico. In sommario: La bibbia del realismo magico; Carrà, De Chirico, ''Valori Plastici''; Passato e presente; Altri italiani e non solo; La magia delle cose, al di là degli stili; Walter Spies, Paul Citroen, Max Ernst. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.