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Tra “Valori Plastici”, che conclude le pubblicazioni nel 1921, e il libro di Roh, è importante per la diffusione in Germania di modelli italiani la mostra Das junge Italien (La giovane Italia), tenutasi nella primavera del 1921 a Berlino e Hannover; vi si potevano vedere lavori di Carrà, de Chirico, Morandi, Arturo Martini, Edita Walterowna zur-Mühlen e altri, già noti a tanti artisti, critici e appassionati tedeschi proprio attraverso le riproduzioni della rivista di Broglio.

Anche Martini, protagonista indiscusso della scultura italiana degli anni Venti e Trenta, come Sironi lo è stato per la pittura, ci ha analogamente lasciato opere dalle forti consonanze con la tendenza. È il caso del gesso colorato dell’Amante morta, d’intonazione arcaisticamente popolare, eseguito nel periodo in cui “Valori Plastici” - per manifesta sintonia di poetica - dedicava uno spazio privilegiato a sue sculture e rilievi, dal Pastore alla Donna della colomba, dalla Testa di giovane alla Pulzella d’Orléans. Alberto Savinio presenta l’opera di Martini nel catalogo dell’esposizione La Fiorentina Primaverile, pubblicato nel 1922, scrivendo di «drammi fermati per sempre nella tersa compostezza dei minerali».

La componente quattrocentista del realismo magico è evidente in modo particolare nella Silvana Cenni di Felice Casorati, ritratto di un’allieva carico di riferimenti alla pittura antica - si pensi alla Madonna della misericordia di Piero della Francesca - e alle ricerche sui rigori della prospettiva e sulle leggi immutabili della geometria: «base», scrive de Chirico nella stessa occasione della Fiorentina Primaverile, «d’ogni grande bellezza e d’ogni profonda malinconia». Essenzialmente mentale - ma in tutt’altra chiave - è l’Idolo del prisma di Ferruccio Ferrazzi, sviluppo di un’idea pittorica originaria concretizzatasi nel quadro del 1919 Bambola nella vetrina, che nell’Idolo prende forma in un corpo ambiguamente sospeso tra natura e artificio, realtà e messa in scena: il nudo è realisticamente rappresentato ma la collocazione - su una base metallica entro una teca di vetro sfaccettata, come il prisma che la fanciulla tiene in mano - conferisce all’insieme il sapore di una meraviglia più meccanica che umana, quasi da “Wunderkammer” animata.


Ferruccio Ferrazzi, Idolo del prisma (1925). Il “realismo moderno” di Massimo Bontempelli può essere inteso come il versante letterario del realismo magico in pittura. Taluni suoi intrecci di mondo reale e mondo ideale, di natura e artificio, trovano interessanti paralleli in ambito sia italiano (l’“idolo” di Ferrazzi), sia tedesco (gli uomini-automi di Grosz).


Arturo Martini, L’amante morta (1921 circa); Milano, Villa Necchi Campiglio (Fai - Fondo ambiente italiano).

I temi dell’uomo meccanizzato, incrocio di artificio e natura, così come della vetrina specchio e teatralizzazione di ambiguità, hanno evidenti connessioni, entrambi, con la tradizione del manichino metafisico, toccati e variamente interpretati da pittori di differenti origini e culture. Le due opere di Grosz pubblicate da Roh hanno in comune la magia del realismo assai “sui generis” di figure costruite con l’inserzione, anche a collage, di parti meccaniche in corpi umani a loro volta costituiti da elementi geometrici astratti, ovoidali, cilindrici, come quelli che arredano lo spazio metafisico del Giocatore di diabolo. In Daum sposa il suo pedante automa George nel maggio 1920, John Heartfield ne è molto felice - di un Grosz ancora pervaso di umori dadaisti - la comunicazione tra una donna tutta istinto e carnalità e un uomo macchina non è meno difficile di quella immaginata dal pittore di Colonia Anton Räderscheidt o dall’ungherese Sándor Bortnyik, in contesti urbani così essenzialmente e staticamente delineati da diventare, soprattutto nel secondo, composizioni neoplastiche, dove l’immobile freddezza delle figure concorda in pieno con il rigore strutturale di interni ed esterni. In tale universo, indicano la prospettiva più modernista-costruttivista della tendenza proprio le invenzioni di Bortnyik, come il nuovo uomo messo in moto da una manovella e la nuova donna senza volto, ma capace di spingere a battersi per lei due robot grazie alle calze arrotolate al ginocchio e a un frutto seduttivamente offerto da un arto meccanico.


George Grosz, Il giocatore di diabolo (1920).

George Grosz, Daum sposa il suo pedante automa George nel maggio 1920, John Heartfield ne è molto felice (1920); Berlino, Berlinische Galerie.


Anton Räderscheidt, Autoritratto (1928); Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville.


Sándor Bortnyik, Il nuovo Adamo (1924); Budapest, Szépmüvészeti Múzeum, Magyar Nemzeti Galéria.

Sándor Bortnyik, L’architetto e sua moglie (1924).


Sándor Bortnyik, La nuova Eva (1924); Budapest, Szépmüvészeti Múzeum, Magyar Nemzeti Galéria.

Ritornando al contesto italiano, bisogna ricordare come il realismo magico nelle ultime accezioni indicate - italiane o meno che siano - vi abbia trovato un’importante sponda letteraria nell’opera del primo dopoguerra di Massimo Bontempelli: suoi romanzi quali La vita intensa (1920) e La vita operosa (1921), poi La donna del Nadir, quindi le opere teatrali Nostra dea (1925) e Minnie la candida (1927) ruotano intorno al tema dei rapporti tra mondo reale e mondo ideale con tutte le loro ambiguità, in una prospettiva di realismo moderno dai tanti elementi di affinità con la pittura. Secondo la poetica bontempelliana, anche espressa nel preambolo alla Justification pubblicata nel primo numero della rivista “900” (1926), è al mondo dell’immaginazione che tocca di fecondare e arricchire senza sosta la realtà; e «l’arte di dominare la natura», conclude lo scrittore, «è la magia».

Mario Tozzi, Dopo il bagno (1922).


Una strada ulteriore percorsa da pittori italiani che nella propria storia hanno attraversato fasi riconducibili alla nuova tendenza, pur circoscritte nel tempo, è proprio quella dello stupore incantato e incantevole di quotidianità meravigliose e un po’ segrete: lo si coglie nella Maternità di Achille Funi e nei quadri di Mario Tozzi del 1922 dedicati a domestiche intimità. Questi ultimi sono metafisiche prospettive d’interni che nascondono sempre qualcosa: fanno immaginare altro rispetto a quanto fan vedere e sulla sensualità dei nudi femminili bene in mostra finisce per prevalere l’icastica, oggettiva e silenziosa nettezza degli oggetti rappresentati, che si trasformano in unici e solitari protagonisti in dipinti di Edita Walterowna zur-Mühlen come Le scarpe.

Edita Walterowna zur-Mühlen, Le scarpe (1920 circa).


Cagnaccio di San Pietro, Bambini che giocano (1925).

Un ruolo analogo giocano altri oggetti - i giocattoli - in quadri di Cagnaccio di San Pietro e Riccardo Francalancia, dove ritorna il tipico tema del rapporto tra animato e inanimato, nell’aura malinconica di spazi destinati alla memoria d’intense esperienze emotive come quelle dell’infanzia.

La magia ammaliatrice degli oggetti, la loro vita nascosta, in presenza o meno di esseri umani, trova notevoli riscontri, aprendo un’altra parentesi tedesca, nella Bottega del robivecchi di Ernst Thoms e nel Banco di osteria di Erich Wegner.


Ernst Thoms, Bottega del robivecchi (1926); Hannover, Sprengel Museum.


Riccardo Francalancia, Interno melanconico (La stanza dei giochi) (1928).

Virgilio Guidi, In tram (1923); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna.

Né si possono dimenticare, per un’esemplificazione di ulteriori declinazioni del realismo magico, ciascuna con proprie originalità, certe composizioni con figure di Virgilio Guidi e Antonio Donghi e taluni paesaggi di Gigiotti Zanini, che condividono con quadri di analogo soggetto di Scholz l’armonica compenetrazione di modernità e tradizione in un’atmosfera di tersa analiticità.

Nel Grande paesaggio del pittore italiano, un esempio di edilizia rurale moderna introduce a una vallata di sapore antico; nel Paesaggio presso Berghausen del tedesco, stabilimenti con ciminiere dialogano con le architetture vernacolari della cittadina che conclude la veduta di una bella campagna ordinata, anch’essa di sapore antico ma ora attraversata dalla ferrovia.

Questo di Scholz si può considerare un quadro esemplare del paesaggismo magico tedesco per la minuziosa restituzione degli oggetti, delle pianticelle e dei fiori che compongono la natura morta a sinistra - testimone di un recente “déjeuner sur l’herbe” - ma anche per la tagliente freddezza dei capannoni industriali più in basso: due quinte spazialmente sfasate che guidano gradatamente l’occhio dell’osservatore dal primo piano in ombra a uno sfondo di diffusa luminosità.

Tale analiticità nella restituzione della natura è un tratto tipico della tradizione figurativa nordica, tanto antica quanto di età romantica e - ora - moderna: in Wilhelm Heise la si ammira singolarmente applicata alla litografia, una tecnica i cui più consueti effetti pittorici di ricerca chiaroscurale vengono nelle sue opere sostituiti dall’esattezza di composizioni estremamente dettagliate di forme naturali - come le Piante di notte riprodotte da Roh - ma anche di magici notturni dove alle Spiree in fiore si combinano figure evocatrici di romantici passati. Al grande romantico Philipp Otto Runge - autore di un famoso ritratto di bambini nella natura (I bambini Hülsenbeck) - si direbbe guardare Otto Dix quando ritrae la figlioletta in mezzo ai fiori, con un ostentato arcaismo che si fa ben più duro e affilato nell’Autoritratto con modella.


Otto Dix, Mia figlia (Nelly nei fiori) (1924).

Gigiotti Zanini, Grande paesaggio (1922).


Georg Scholz, Paesaggio presso Berghausen (1924); Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle.

Wilhelm Heise, Spiree in fiore (1920).


Otto Dix, Autoritratto con modella (1923).

REALISMO MAGICO
REALISMO MAGICO
Antonello Negri
La presente pubblicazione è dedicata al Realismo magico. In sommario: La bibbia del realismo magico; Carrà, De Chirico, ''Valori Plastici''; Passato e presente; Altri italiani e non solo; La magia delle cose, al di là degli stili; Walter Spies, Paul Citroen, Max Ernst. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.