CATALOGHI E LIBRI

LUGLIO-AGOSTO 2016

ORAZIO GENTILESCHI

Per quel modo unico, anche fra i caravaggeschi, di mettere in risalto la serica luminosità delle vesti (perfino, aggiungiamo, il morbido candore di una pelle di pecora) Roberto Longhi lo aveva definito nel 1916 «il più meraviglioso sarto e tessitore» che mai avesse lavorato fra i pittori. Fu il primo, Longhi, a considerare con acuto piglio critico la vicenda pittorica di Orazio Gentileschi, nato a Pisa nel 1562 ma d’origine fiorentina, formatosi poi a Roma in ambito caravaggesco e morto a Londra nel 1640 dopo molto peregrinare in Italia, Francia e Inghilterra. Era collerico e imprevedibile: secondo Longhi «astratto e superbo toscano» ma le fonti ci vanno più pesante: aveva i modi più d’una bestia che di un essere umano, si diceva, e certo non giovò alla sua fortuna, in vita e dopo. Era invidioso, forse davvero morbosamente geloso della figlia, che si distaccò presto da lui, e in modo deciso. Si riavvicinò al padre solo negli ultimi tempi della sua vita, quando fu chiamata a collaborare con lui a Londra. Sulla pittura di Orazio ha pesato la maggior fama di Artemisia, non solo per la clamorosa vicenda dello stupro subito nella casa paterna, ma anche per un talento tanto più stupefacente in quanto si trattava di una donna. Su Artemisia la letteratura e le mostre si sono infittite, e alla conoscenza non solo della sua pittura ma anche della sua figura umana (più complessa, a nostro parere, di quanto non abbia voluto interpretare la visione femminista) hanno contribuito recenti scoperte documentarie. Dopo il libro Artemisia “tintora romana” (Sillabe, Livorno 2013), la Tazartes si addentra nel mondo di Orazio: partendo da Longhi, rivisita non solo la bibliografia successiva, nota quasi esclusivamente agli studiosi del Seicento, ma indaga con acribia certosina e ottimo metodo anche sulle numerose fonti, creando una revisione critica anche nel campo delle attribuzioni e della cronologia delle opere, anche sui rapporti con potenti mecenati e le rivalità con artisti come Rubens e Van Dyck a Londra. Un libro di studio ma comunque piacevole, che può essere letto da tutti, ed è un gran merito.

Maurizia Tazartes Mauro Pagliai, Firenze 2016 176 pp., 179 b.n., 17 tavv. colore € 16

ANDREA APPIANI

Francesco Leone ricostruisce qui con rara maestria il catalogo delle opere e la biografia della complessa figura, «talvolta inafferrabile », di Andrea Appiani (1754- 1817). Noto per esser stato il pittore di Napoleone a Milano, Appiani fu eccelso disegnatore oltreché innovatore nel campo dell’affresco e della pittura a olio; non decorò solo le volte di Palazzo reale a Milano con i Fasti napoleonici (distrutti in gran parte dal bombardamento del 1943) ma ideò scenografie, apparati effimeri e fu attivo riordinatore di raccolte artistiche. Leone contestualizza la sua figura unica nel panorama dell’arte europea fra i due secoli, grazie anche alla trascrizione integrale di un patrimonio documentario imponente, ricco anche di sapide notazioni di vita: circa centoventi cartelle del Fondo Appiani alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Il libro resterà senza dubbio la pubblicazione imprescindibile per qualsiasi ricerca futura su Appiani, e non solo su di lui.


Francesco Leone Skira, Ginevra-Milano 2015 368 pp., 111 ill. colore, 42 b.n. € 42

AMEDEO MODIGLIANI.
LE PIETRE D’INCIAMPO

Nel 1984 tre “teste” di pietra emersero assai poco per caso dal Fosso reale di Livorno, a pochi giorni dall’inaugurazione di una discutibile mostra su Modigliani e la scultura. Erano false. Zeri le chiamò subito «mammozzi», Calvesi e Pepi si associarono a lui; ma furono i soli, fra i critici, finché tre studenti e un artista livornese dissero di averle gettate loro nel fosso dopo averle “create” a imitazione delle poche decine sopravvissute che Modigliani aveva scolpito fra 1909 e 1916 (la più nota è a New York al Guggenheim). Leggenda vuole che nel 1909, in uno dei rari ritorni estivi a Livorno, Modigliani avesse buttato alcune sue teste di pietra nel Fosso reale. Nella città del “Vernacoliere” non stupisce la boutade di chi, una notte al caffè Bardi, allora ritrovo di artisti, avrebbe detto ad Amedeo: «Buttale nel fosso». Stupisce invece la faciloneria di chi, nel 1984, prima della rivelazione della beffa inneggiò alla scoperta, prima fra tutti la curatrice della mostra livornese e deus ex-machina dell’infausta iniziativa del dragaggio del fosso, peraltro già svuotato molte volte prima e subito dopo la guerra. Chissà se della beffa giunse notizia a Orson Welles, che nel 1973 aveva documentato in F for Fake la falsificazione di alcuni “Modigliani” da parte del più abile contraffattore del secolo, l’ungherese Elmyr. Certo il regista si sarebbe appassionato alle ulteriori vicende ricostruite in questo libro dal nipote di un carrozziere livornese, Piero Carboni, che in un intenso diario raccontò un’altra storia, questa sì, con tutti gli aspetti di autenticità. Dopo il bombardamento di Livorno Carboni aveva recuperato fra le macerie tre sculture che nel 1909 un giovane artista aveva lasciato a un fruttivendolo del mercato affacciato sul fosso, assieme ad alcuni libri in un baule, fra cui le Egloghe di Virgilio. Modigliani amava la poesia, e le perizie confermano che le chiose a margine dei versi sono sue. Come sue paiono davvero le tre teste oggi sotto sequestro. Questo, in estrema sintesi (cercheremo di riparlarne). Approfondimenti su www.modigliani1909.com/ video.html.


Maurizio Bellandi Sillabe, Livorno 2016 222 pp., 80 ill. b.n. e colore € 20

UMBERTO BOCCIONI

Il 4 novembre s’inaugura a Rovereto la seconda tappa della mostra per il centenario di Boccioni, scomparso a trentaquattro anni nel 1916 per una caduta da cavallo. A Rovereto l’accento cadrà sui rapporti del celebre futurista con gli artisti contemporanei (sulla prima fase milanese della mostra vedi “Art e dossier”, n. 332, maggio 2016, pp. 34- 39). Per approfondire consigliamo ovviamente il catalogo a cura di Francesca Rossi Umberto Boccioni. Genio e memoria (Electa, Milano 2016), che indaga, fra le altre cose, sull’atlante con le riproduzioni dei maestri del passato creato dal giovane nel 1905, e sul meno noto corpus grafico. Sulle sue vicende biografiche segnaliamo qui l ’edizione arricchita e aggiornata della Vita di Boccioni di Agnese, da tempo esaurita (Camunia, Firenze 1996), dove fra le altre novità l’autore, puntiglioso ricercatore di dati, parlò per la prima volta di un figlio, Piotr Berdnikoff, nato nel 1907 dalla relazione romana del giovane artista con la russa Augusta Petrovna. Scorrevole come un romanzo, la “nuova” biografia parte dalle origini catanesi di Boccioni (in Sicilia il padre romagnolo si era trasferito per lavoro); ripercorre poi gli incontri, gli amori scostanti, le introversioni, il rapporto esclusivo con madre e sorella, le precoci idee moderniste, i dubbi sul proprio talento e sulla via da intraprendere per superare ogni forma di “passatismo”. Seguiamo Boccioni a Roma, dove approda nel 1899 e frequenta Balla (poi coinvolto nell’avventura futurista); e via via a Parigi, Padova, Milano, in Russia, a Londra, Bruxelles, Berlino, Firenze, sul lago Maggiore. Rileggiamo il diario, le lettere, le descrizioni delle opere, le testimonianze di Marinetti, Apollinaire, Soffici, Severini, Sironi, Balla e molti altri. Ne emerge l’immagine di un uomo dal carattere complesso, soggetto a cambi d’umore, passionale, concentrato sulla propria arte e su poche, alterne amicizie. Ritratti di figure di primo piano per la cultura europea del primo Novecento scorrono vividi in queste pagine, arricchite da un importante indice dei nomi.


Gino Agnese Johan & Levi, Milano 2016 388 pp., 11 ill. colore, 50 b.n. € 29

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio