Grandi mostre. 6
La collezione Cini a Venezia

vita e (soprattutto)
opere

Nel palazzo veneziano che ospita i dipinti toscani e ferraresi della raccolta di Vittorio Cini è in corso una mostra che mette in luce le scelte “venete” del grande collezionista, imprenditore, uomo di cultura.

Claudio Pescio

Giusto a metà strada fra le Gallerie dell’Accademia e la Collezione Peggy Guggenheim si affaccia su campo San Vio il palazzo Cini, sede della Galleria di palazzo Cini. Un edificio sobrio, fondato dai Loredan nel XVI secolo, con un affaccio sul Canal Grande. Un luogo «nascosto in evidenza», come lo definisce Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini e conseguentemente della galleria stessa. Nascosto in quanto niente affatto appariscente e come estraneo alle rotte mentali del turismo tradizionale, in evidenza perché collocato su uno dei percorsi più frequentati della città. Ma soprattutto sorprendente: un angolo di Toscana con un’ampia nicchia ferrarese in terra veneta.

Ma andiamo con ordine. Impossibile raccontare questa collezione senza un cenno al suo fondatore, Vittorio Cini, uno degli artefici della moderna identità di Venezia. Nato a Ferrara nel 1885, Cini è stato molte cose: fa studi commerciali in Svizzera, lavora in banca a Londra, si specializza in imprese di costruzione di infrastrutture, nei trasporti e soprattutto eccelle nella capacità di integrare fra loro attività diverse. Partecipa alla prima guerra mondiale come volontario, poi sposa Lyda Borelli, diva del muto, dalla quale ha quattro figli. Si dedica ad attività finanziarie, diventa armatore, fonda società di navigazione e assicurazioni; negli anni Trenta ha ormai scelto Venezia come città di elezione, è in carica nei consigli di amministrazione di ventinove società e ha il controllo dei traffici marittimi nell’Adriatico. Con Giuseppe Volpi contribuisce alla fondazione del porto industriale di Marghera, poi si occupa di radiotelefonia, ferrovie e sviluppo del tessile. Fonda la Ciga (Compagnia italiana grandi alberghi) ed è commissario straordinario e poi presidente dell’ Ilva (anche lui...). Diventa senatore, poi nel 1936 commissario dell’Esposizione universale di Roma (E 42). Nel 1940 ottiene il titolo di conte di Monselice (dove possiede un castello) ed è ministro delle Comunicazioni (si dimette nel giugno del 1943 per divergenze con Mussolini). Nel settembre dello stesso anno è arrestato dalle SS e trasferito a Dachau; il figlio Giorgio riesce (con molto denaro) a farlo trasferire in una clinica tedesca. Tornato in Italia finanzia il Cln. Dopo la fine della seconda guerra mondiale si impegna soprattutto nell’industria idroelettrica.

Un appassionato, colto, vorace, eclettico collezionista di opere d'arte


Tutto questo in una vita sola.

In realtà ne ha anche un’altra, di vita, che si manifesta soprattutto negli anni Quaranta-Sessanta, dedicata alla cultura e alle arti. Nel 1951 dà origine alla Fondazione Giorgio Cini (in memoria del figlio perso in un incidente aereo), che ha sede nell’isola di San Giorgio ed è il suo maggiore progetto culturale. Quello con cui ridisegna in qualche modo il profilo della città di Venezia in vista di una progettualità legata agli studi (dopo averne disegnato il profilo industriale e imprenditoriale nei decenni precedenti). La sua visione («faustiana» la definisce Barbero, per il suo bisogno inesauribile di conoscenza) inquadra Venezia in un ruolo guida nell’ambito dei fermenti culturali internazionali, perno e serbatoio di arte, biblioteche, editoria, centri convegni, attività di restauro, mostre. Un progetto di sviluppo anche economico della città ma su un piano diverso da quello della crescita, parallela e ingombrante, del turismo di massa.


Bartolomeo Montagna, Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Battista (1485 circa).

Una sola cosa non riesce a fare in vita (morirà nel 1977): costruire il “suo” museo. Perché Vittorio Cini è anche un appassionato, colto, vorace, eclettico collezionista di opere d’arte. Ad aiutarlo nelle scelte alcuni tra i più noti esperti internazionali: Bernard Berenson, Nino Barbantini, Giuseppe Fiocco, Federico Zeri.

Un’enorme quantità di oggetti, tra pitture, sculture, suppellettili, incisioni, disegni, volumi si distribuisce nelle sue molte residenze. Ma il “suo” museo veneziano vede la luce solo grazie alla figlia Yana (sposata Alliata di Montereale) che nel 1981-1982 dona buona parte della collezione del padre - e gli spazi dove è esposta, nel palazzo di campo San Vio nel quale anche lei ha abitato - alla Fondazione Cini. Nel 1984 la Galleria Cini viene inaugurata, il suo primo curatore è Federico Zeri.

E qui torniamo all’angolo tosco-ferrarese cui accennavamo. Perché la collezione permanente del museo (che si trova al piano nobile dell’edificio) è costituita dal nucleo di opere di scuola fiorentina donato da Yana Cini (oltre ad avori, rarissimi rami smaltati, porcellane, arredi) e dai dipinti ferraresi giunti nel 1989 per concessione degli eredi Guglielmi di Vulci.

Il percorso e l’allestimento, voluti dall’attuale direttore, evidenziano la strategia delle scelte di Cini, ispirate all’idea di un museo come cosa viva, luogo di un continuo dialogo tra arti diverse al più alto livello qualitativo (anche in termini di stato di conservazione), e in ultima analisi al desiderio di unire piacere della visione e conoscenza. Per nulla appariscente ma fondamentale nella sua funzione è l’illuminazione delle opere, calibratissima, studiata appositamente per la Galleria. Le sale si susseguono con fluidità, e ogni sala ha come un aggancio - una sorta di mediatore: un dipinto o un artista - che lega quell’ambiente al precedente o al successivo.


Francesco Guardi, Capriccio lagunare con colonnato in rovina (1780-1790).

Canaletto, Veduta ideata con ruderi romani medievali e architettura rinascimentale (1721-1722);


Francesco Guardi, Sfilata dei carri allegorici in piazza San Marco in onore dei conti del Nord (1782).

In quella che era un’ampia sala da pranzo si trovano tre Maestà due-trecentesche di scuola fiorentina e senese. Segue la sala dei polittici dalla quale si accede a una piccola sala da pranzo ovale neorococò realizzata da Tommaso Buzzi, l’architetto che lavorava per Cini negli anni Quaranta. In questa sala è da segnalare la Madonna dell’umiltà del Sassetta (1440 circa). Tra le altre opere della collezione permanente meritano almeno un cenno (in mancanza di maggiore spazio in queste pagine) una Madonna col Bambino attribuita a Piero della Francesca, un Giudizio di Paride di Botticelli e bottega, il Doppio ritratto di amici del Pontormo, la deliziosa Madonna col Bambino e due angeli di Piero di Cosimo; tra i ferraresi, tre pannelli di Ercole de’ Roberti (1470-1473), il San Giorgio di Cosmè Tura (1475), la Scena allegorica di Dosso Dossi (1526 circa).

Al piano superiore, il secondo, è allestita la mostra temporanea Capolavori ritrovati della collezione di Vittorio Cini. Crivelli, Tiziano, Lotto, Canaletto, Guardi, Tiepolo. Si tratta di una trentina di opere di ambito veneto, stavolta, provenienti da altre residenze ma tutte testimoni delle raffinate scelte collezionistiche del loro proprietario.

Si inizia col Trecento e l’eredità tardogotica, con due tavolette di Niccolò di Pietro, opere dell’ambito di Paolo Veneziano (Storie di san Matteo apostolo) e Le stimmate di san Francesco di Michele Giambono, interprete, a Venezia, del Gotico cortese di impronta centroitaliana. Il Quattrocento è aperto da Carlo Crivelli, veneziano attivo soprattutto in Dalmazia e nelle Marche (come Giambono potremmo considerarlo uno dei molti “tramiti” tra una sala e l’altra di cui parlavamo), sua è una Madonna col Bambino, opera giovanile (metà anni Cinquanta del XV secolo) vicina allo Squarcione e all’ambito padovano, come il San Marco evangelista di Andrea Mantegna, dipinto ospite (solo fino al 13 giugno), proveniente dallo Städel Museum di Francoforte. Bartolomeo Montagna è presente con una delle sue opere migliori, una Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Battista del 1485 circa, della quale resta impresso soprattutto il volto di quest’ultimo. Al Rinascimento veneto appartengono altre opere di Giovanni Bellini, Cima da Conegliano e Benedetto Diana


Antonio Guardi, Donna a colloquio con un notabile armeno (1741-1743).

Il Cinquecento presenta alcuni ritratti di Bernardino Licinio, Bartolomeo Veneto e un Gentiluomo di Lorenzo Lotto, oltre a un San Giorgio di Tiziano giovane. Il Settecento veneto appare particolarmente caro al Cini collezionista (che sembra trascurare il Seicento, riscoperto dal gusto corrente in tempi successivi): è soprattutto con dipinti di quel secolo che aveva decorato le stanze di questo suo palazzo veneziano. Due Capricci di Canaletto, giovanili, presentano una versione venezianizzata di una Roma ideale che specchia i suoi ruderi in un corso d’acqua: un Canaletto ancora lontano della precisione ottica delle vedute più tarde. Molto presente Francesco Guardi con la sua pittura più disfatta e materica, di una sensibilità che è lecito definire pre-romantica. Esemplari in tal senso il Capriccio con casa rustica in riva alla laguna (anni Sessanta del XVIII secolo) e una metafisica Sfilata dei carri allegorici in piazza San Marco in onore dei conti del Nord (1782), tripartita in fasce orizzontali. Una sala è poi dedicata ad Antonio Guardi con due “turcherie”, tre figure allegoriche da un soffitto del palazzo veneziano dei Zulian e i grandi album di disegni con i Fasti veneziani (1740-1750), un trionfo rococò.


La sala con tre figure allegoriche di Antonio Guardi (sesto decennio del XVIII secolo).

Capolavori ritrovati della collezione di Vittorio Cini.
Crivelli, Tiziano, Lotto, Canaletto, Guardi, Tiepolo

Venezia, palazzo Cini, campo San Vio, Dorsoduro 864
(fermate vaporetto Zattere o Accademia)
Fino al 15 novembre
Orario 11-19, chiuso il martedì
www.palazzocini.it

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio