XX secolo. 2
La collezione Peggy Guggenheim a Firenze nel 1949

Questa mostra
non s’ha da fare

Nell’immediato dopoguerra, alla fine degli anni Quaranta, l’arte contemporanea sbarca a Firenze in una mostra che desta reazioni contrastanti, ma soprattutto indignazione da parte della critica più “passatista”. Parte di quei capolavori è ora tornata sul luogo del delitto di lesa fiorentinità, a palazzo Strozzi.

Ludovica Sebregondi

Nel pomeriggio di giovedì 24 febbraio 1949, a Firenze, le sale del nuovo spazio espositivo «La Strozzina. Mostre permanenti d’arte figurativa e manifestazioni culturali e musicali» situato nei sotterranei di palazzo Strozzi vennero inaugurate con le opere della collezione di Peggy Guggenheim. Direzione, organizzazione e segreteria furono affidate allo Studio italiano di storia dell’arte, fondato e diretto da Carlo Ludovico Ragghianti, vero “deus ex machina” che era affiancato da un Consiglio direttivo tecnico di cui facevano parte, tra gli altri, gli storici dell’arte Luisa Becherucci, Enzo Carli, Cesare Gnudi, Giuseppe Marchini, Luisa Marcucci, Licia Collobi Ragghianti, Mary Pittaluga, il direttore del Vieusseux Alessandro Bonsanti, il critico Michelangelo Masciotta, i pittori Giovanni Colacicchi e Ottone Rosai, gli scrittori Piero Bargellini e Arturo Loria, Marjorie Ferguson direttrice dell’Usis (United States Information Service) di Firenze che aveva sede nello stesso palazzo, l’editore Enrico Vallecchi, l’architetto Riccardo Gizdulich della Soprintendenza ai monumenti. Personalità della cultura, influenti all’epoca non solo a Firenze.

Peggy Guggenheim, tornata in Europa dagli Stati Uniti nel 1947, alla 24. Biennale del 1948, la prima dopo la fine della guerra, aveva esposto la propria collezione con l’allestimento di Carlo Scarpa nel padiglione greco rimasto vuoto a causa della guerra civile. Il successo, anche di pubblico, era stato straordinario.

Ragghianti, che aveva fatto parte della giuria della Biennale, si fece avanti, chiedendo la collezione per la Strozzina. A Firenze, rispetto alla Biennale veneziana, fu aggiunto circa un terzo di opere inedite per il pubblico italiano, per un totale di centocinquantasette, riunite nel piccolo ma accurato catalogo che in copertina propone Il bacio di Max Ernst.


Copertina del catalogo della mostra La collezione Guggenheim del 1949 alla Strozzina di Firenze.



Alcune immagini dell’inaugurazione della mostra del 1949.



Alcune immagini dell’inaugurazione della mostra del 1949.


«Arriva a palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim»
(Pietro Annigoni)



La pagina del quotidiano del 1949 con l’articolo di Annigoni sulla mostra.

Il libretto e un servizio fotografico dell’Archivio foto Locchi consentono di ricostruire la mostra e l’essenziale allestimento delle sale in cui furono riuniti capolavori dell’avanguardia storica con opere di Brancusi, Balla, Severini, Braque, Picasso, Léger, Delaunay, Kandinskij, Arp, e inoltre dieci Ernst, tre Miró e due Dalí insieme ai lavori di giovani quali Robert Motherwell, William Baziotes, Matta, Jackson Pollock e Mark Rothko: l’arte della prima metà del Novecento ai massimi livelli.

Ma la mostra creò sconcerto in città, perché la sua presentazione a palazzo Strozzi, tempio del Rinascimento fiorentino, fu avvertita come una profanazione. Si accesero le discussioni e il primo a dare fuoco alle polveri fu il pittore Pietro Annigoni, con l’articolo Arriva a palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, uscito sul “Mattino dell’Italia Centrale”. Il pittore si scagliò contro la «vecchia e annoiata miliardaria americana», ma soprattutto contro gli organizzatori della mostra, «certi antiquari o storici d’arte o studiosi d’arte», «imbonitori di Picasso e compagni», colpevoli di aver portato a Firenze «una triste pagliacciata», un «fenomeno di demenza collettiva», che accoglieva dalle «ciniche buffonate di Picasso alla pornografia di Salvador Dalí».
La città, dal canto suo, si era dimostrata «cafona e provinciale» ospitando simili opere ma, a suo dire, «gettata appena un’occhiata nella culla», avrebbe saputo «riconoscere il mostriciattolo informe che vi si agita e saprà soffocarlo nel silenzio e nel disprezzo, magari sputandoci sopra».
Non vi furono solo critiche sdegnate: Claudio Savonuzzi sul “Nuovo Corriere” evidenziava lo straordinario rilievo della collezione nell’ambito delle raccolte di arte contemporanea. Altra voce favorevole fu quella del pittore Gianni Vagnetti che avvertiva la mostra come una grande opportunità per l’Italia poiché avrebbe consentito di recuperare quella «libertà d’informazione perduta con la guerra e ora riacquistata».

«Cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti...»
(Piero Bargellini)


Come accadde con la prima Biennale veneziana dell’anno precedente, la mostra poteva rappresentare un’occasione unica di aggiornamento, e finalmente si sarebbero potute vedere le opere esprimendo un giudizio diretto. Questo argomento, insieme alla constatazione che si trattava di lavori che avevano ormai un valore storico, fu sviluppato anche dal pittore Giorgio Settala su “Il Ponte”.

Se si considerava positiva la possibilità di un approccio personale alle opere, fu criticata la scelta di aver inaugurato gli spazi della Strozzina con una mostra di arte contemporanea, soprattutto se si fosse trattato dell’annuncio di una vocazione esclusiva alla modernità. Una modernità su cui si discuteva in quel periodo a Firenze, che doveva ricostruire i ponti minati dai nazisti in ritirata insieme alle zone limitrofe a Ponte vecchio.


Paul Delvaux, L'aurora (1937).

Nel migliore dei casi Peggy Guggenheim venne percepita come un’americana ricca e snob, un’eccentrica dilettante, tanto che Piero Bargellini in un articolo uscito anch’esso sul “Mattino dell’Italia Centrale”, intitolato con sarcastico gioco di parole Le commissioni della signora Peggy, la presentò come un’ereditiera che invece «di fare incetta di canini di varie razze» - con riferimento agli adorati terrier lhasa apso, i «beloved babies» come lei li definiva - o di ninnoli cinesi, aveva collezionato l’avanguardia: «cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivisti». Il paragone tra committenti - quali Peggy e i suoi artisti e i papi che avevano scelto Michelangelo - riportava lo scontro sul piano della discussione sul ruolo di Firenze. Bargellini e Annigoni davano voce a quegli esponenti del mondo culturale che ritenevano fondamentale che si proseguisse nel proporre la città al mondo con il suo retaggio di un glorioso passato, medievale e rinascimentale. La mostra fiorentina della collezione di Peggy Guggenheim si inserì in questo momento di vivaci dibattiti che l’esposizione contribuì ad alimentare.

La mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim allestita ora a palazzo Strozzi, che ha portato dai sotterranei della Strozzina al piano nobile una parte delle opere già esposte nel 1949, e il suo straordinario successo, confermano la lungimiranza di quanti all’epoca vollero proporre un confronto e un dialogo con la modernità. Tema ancora oggi a Firenze vivissimo, se non arroventato.
IN MOSTRA
La mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim (Firenze, palazzo Strozzi, fino al 24 luglio) è a cura di Luca Massimo Barbero, curatore associato Collezione Peggy Guggenheim Venezia. Peggy e Solomon Guggenheim sono probabilmente i più grandi collezionisti di arte contemporanea del Novecento. La selezione presentata a Firenze mette a confronto molti dei protagonisti delle prime avanguardie, come Duchamp, Man Ray, Ernst, Picasso, con quelli delle avanguardie del secondo dopoguerra: Pollock, Lichtenstein, Twombly, Rothko, Calder, De Kooning, alcuni dei quali già protagonisti di quella prima apparizione fiorentina raccontata in queste pagine. Con loro anche artisti dell’Informale europeo come Burri, Vedova, Fontana, Dubuffet. L’esposizione è promossa e organizzata da Fondazione palazzo Strozzi e da The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York e Venezia. È aperta tutti i giorni con orario 10-20, giovedì 10-23; dalle ore 9 solo su prenotazione; accesso in mostra consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura. Catalogo Marsilio. www.palazzostrozzi.org

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio