Grandi mostre. 4
Moholy-Nagy a New York

innovatore
inquieto

Nel nome dell’opera totale e di una sperimentazione continua, Moholy-Nagy è passato dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al design, traendo ispirazione, al suo esordio, dal costruttivismo russo, dal movimento Dada e successivamente dal Bauhaus. Oggi il Solomon R. Guggenheim celebra la sua arte con una retrospettiva di oltre trecento opere provenienti dal tutto il mondo.

Gloria Fossi

Pittore, scultore, educatore, scrittore, poeta, sperimentatore di tecniche fotografiche, sostenitore di un nuovo ruolo dell’artista nella società moderna, il poliedrico László Moholy-Nagy, nato in Ungheria, è protagonista in questi giorni di una grande mostra al Solomon R. Guggenheim Museum di New York (Moholy-Nagy: Future Present), la prima a lui dedicata da cinquant’anni a questa parte negli Stati Uniti, sua patria d’adozione dopo l’ascesa del nazismo.

Di famiglia ebraica, Moholy-Nagy nasce nel 1895 a Borsód (oggi Bácsborsód), un villaggio nell’Ungheria meridionale, allora sotto l’impero austroungarico. Di formazione cosmopolita, dopo la guerra inizia nel 1918 un articolato percorso artistico, ispirato dal costruttivismo russo ma anche dagli artisti dada incontrati Berlino nel 1920. Nel 1921 collabora con Hans Arp e altri al Manifesto dell’arte elementare, e un anno dopo espone con successo alla Galleria berlinese Der Sturm presentando assemblaggi, dipinti astratti e rilievi con materie industriali. Alla sua pratica artistica sempre più apprezzata e all’impegno antimilitarista unisce l’insegnamento sulla scia di Gropius a Weimar, Dessau e infine a Chicago. Le sue teorie puntano a rimpiazzare «i principi statici dell’arte classica con il dinamismo della vita universale», come scrisse lui stesso. Oltre all’arte astratta, che non deve riferirsi ad alcun oggetto reale, comincia a occuparsi di fotografia, suoni, filmati: luci, ombre, prospettive inconsuete, punti di vista enfatizzati contribuiscono all’idea di una “nuova visione” del mondo che sposta l’attenzione, appunto, dalla staticità della pittura alla dinamicità dell’arte cinetica.

Luci, ombre, prospettive inconsuete, punti di vista enfatizzati contribuiscono all’idea di una “nuova visione” del mondo


Con l’ascesa di Hitler, nel 1935 Moholy-Nagy si trasferisce a Londra. Qui apre uno studio di design. Chiamato dalla London Film per ideare gli effetti speciali del film La vita futura (Things to Come) - un film di fantascienza di William Cameron Menzies del 1936 - crea luminescenze tanto all’avanguardia da essergli rifiutate. Già negli anni Venti aveva iniziato a dipingere su plastica opaca, ma ora si appresta a lavorare su materiali trasparenti (la fragilità di questi mezzi ha fatto sì che poche di quelle opere siano sopravvissute). Nel 1937 si trasferisce a Chicago su invito di Gropius, che essendo stato chiamato a insegnare a Harvard, gli propone di dirigere al suo posto la nuova scuola dell’Association of Arts and Industries. Moholy-Nagy accetta entusiasta, lascia Londra e battezza l’istituzione da lui presieduta The New Bauhaus - American School of Design.


Kai-Uwe Hemken e Yakob Gebert Stanza del presente (2009), basata su disegni e altri documenti originali del 1930 di Moholy- Nagy (Play Van Abbe - Part 2: Time Machines, Eindhoven, Van Abbemuseum, 10 aprile - 12 settembre 2010).

In quel periodo di crisi i fondi non tardano a esaurirsi, e a giugno del 1938 la scuola chiude. Senza perdersi d’animo, nel febbraio del 1939, grazie anche a finanziamenti privati, Moholy-Nagy istituisce la School of Design, trasformata poi nel prestigioso Institute of Design di Chicago, oggi parte dell’Illinois Institute of Technology. Proprio a Chicago Moholy-Nagy, ormai cittadino americano a tutti gli effetti, morirà di leucemia, a soli cinquantun anni, nel 1946. Questa, in estrema sintesi, la sua biografia.

Ancor oggi i suoi scritti, oltre che le sue opere, continuano a ispirare artisti e designer di tutto il mondo.


La mostra conferma la precoce apertura di Moholy-Nagy verso un mondo interdisciplinare e multimediale


Fotogramma (1941), Chicago, Art Institute of Chicago.


B-10 Spazio modulare (1942), New York, Solomon R. Guggenheim Museum

copertina e design di Vision in Motion edito da Paul Theobald nel 1947.


Costruzione AL6 (1933-1934), Valencia, Ivam - Institut Valencià d’Art Modern.


Inquieto innovatore, nel corso di pochi decenni, in Europa e poi negli Stati Uniti, Moholy-Nagy ha messo in pratica le sue idee con eccezionale varietà di mezzi, nel rifiuto totale di ogni categorizzazione, in nome della totalità dell’arte. Basti pensare ai “photograms cameraless” (fotogrammi ottenuti senza macchina fotografica, poggiando direttamente gli oggetti su una carta sensibile alla luce), o ai fotomontaggi (composizioni di diverse immagini che nel loro insieme producono nuove forme e sottintendono nuovi significati); e ancora, alle opere realizzate con le termoplastiche, adatte a essere modellate, o ai brevi documentari (short film, in anticipo sui nostri “corti”), o all’utilizzo nei suoi dipinti di formica, plexiglas, zinco, alluminio.

Non è un caso che a settant’anni dalla morte sia proprio il Solomon R. Guggenheim Museum a dedicargli questa grande mostra, che poi si sposterà a Chicago e a Los Angeles. La figura di Moholy- Nagy è centrale nella genesi del museo newyorchese, inaugurato dal suo creatore nel 1937 come Museum of Non-Objective Painting e solo in seguito esteso ad altri orientamenti, e ridenominato Guggenheim Museum. L’industriale Solomon R. Guggenheim, consigliato da un’intraprendente artista tedesca, la baronessa Hilla Rebay, sua consulente e direttrice fondatrice del museo, aveva iniziato nel 1929 a comprare in Europa dipinti, opere su carta e sculture di Moholy-Nagy, destinati alla sua collezione dapprima focalizzata sulla pittura non oggettiva. E subito dopo la morte di Moholy- Nagy, lo stesso museo presentò a New York una mostra in memoria dell’artista.


CH BEATA I (1939), New York, Solomon R. Guggenheim Museum.

L’esposizione odierna illumina ogni aspetto della proteiforme attività di Moholy-Nagy. Grazie a oltre trecento opere da musei e collezioni di tutto il mondo (dipinti, collage, disegni, stampe, filmati, fotogrammi e fotomontaggi, fotografie, documenti), si comprende come Moholy-Nagy, sempre in cerca, con ogni mezzo, di giochi di luce e insolite trasparenze, si sia mosso in modo fluido, fin dagli esordi, tra arti figurative e arti applicate, a rilevare la relazione ininterrotta fra vita, arte e tecnologia. Fra i progetti esposti, spicca la ricostruzione (eseguita nel 2009 per essere presentata in diversi musei europei) della cosiddetta Stanza del presente, basata sui rari disegni autografi e ispirata alla Sala 2 ideata da Moholy-Nagy per la sezione tedesca del Salon des artistes décorateurs (Parigi, 1930). La Stanza del presente gli fu richiesta da Alexander Dorner, giovane e ambizioso direttore del museo di Hannover, ma difficoltà logistiche ed economiche resero impossibile l’attuazione di questo singolare ambiente concepito come una sorta di ibrido fra galleria di un museo e opera d’arte, con video, documenti, modellini: «Un’arena di comunicazione di massa che avrebbe trasformato la vita moderna », secondo l’autore. Dall’Europa Moholy-Nagy aveva portato negli Stati Uniti una grande fiducia nell’umanità, proprio nel fatidico periodo fra le due guerre e nel momento che segnò l’apice dei più significativi sviluppi dell’arte moderna. La mostra conferma la precoce apertura di Moholy-Nagy verso un mondo interdisciplinare e multimediale e la sua adesione coerente e continua al concetto di “Gesamtwerk” (opera totale). Il suo orrore per la bomba atomica lanciata sul Giappone nel 1945 si manifesta nelle ultime opere (le tele nucleari), che alludono alle drammatiche conseguenze delle radiazioni, responsabili di provocare il cancro, male che avrebbe strappato anche la sua vita, un anno dopo.

Questo articolo è basato su testi di Karole P. B. Vail, elaborati per il catalogo della mostra Moholy-Nagy: Future Present (New York, Solomon R. Guggenheim Museum, 27 maggio - 7 settembre), a cura di Karole P. B. Vail, Carol S. Eliel e Matthew S. Witkovsky, New York 2016. Texts by Karole P. B. Vail © 2016 Solomon R. Guggenheim Foundation.

Moholy-Nagy: Future Present

a cura di Karole P. B. Vail, Carol S. Eliel e Matthew S. Witkovsky
New York, Solomon R. Guggenheim Museum, 1071 Fifth Avenue
fino al 7 settembre
orario 10-17.45, sabato 10-19.45, chiuso giovedì
catalogo Art Institute of Chicago
www.guggenheim.org
La mostra sarà allestita all’Art Institute of Chicago dal 2 ottobre 2016 al 3 gennaio 2017 (www.artic.edu) e al Lacma - Los Angeles County Museum of Art dal 12 febbraio al 18 giugno 2017 (www.lacma.org)

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio