Il Museo immaginario

la frida khalo
dell'india

di Alfredo Accatino - Il Museo Immaginario
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Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla riscoperta di grandi artisti, di opere e storie spesso dimenticate: Amrita Sher-Gil

Più la storia è maledetta, più la pittura ci appare affascinante e ricca di sottintesi. Siamo tutti un po’ cialtroni, noi “art addicted”, e ci piace guardare nelle pieghe del quadro, negli sguardi, cercando di individuare segreti e presagi. Fingiamo di essere sensibili, colti, ma poi leggiamo le biografie, da Caravaggio a Van Gogh, e ci emozioniamo per i delitti e per gli eccessi. Quando l’acquaragia, per intenderci, si mischia all’odore del sangue. Come non inserire in questa élite Amrita Sher-Gil (30 gennaio 1913 - 5 dicembre 1941), una pittrice indiana nata da padre del Punjab, Umrao Singh Sher-Gil Majithia, aristocratico sikh, fotografo per passione, e da una madre ebrea-ungherese, cantante lirica.

Nota anche come la Frida Kahlo indiana - grazie pure alla riscoperta effettuata in occasione del centenario della nascita - Amrita Sher-Gil è oggi considerata forse la più importante pittrice asiatica del XX secolo, con una influenza pari ai maestri del Bengala, tale da esercitare un ascendente anche su mostri sacri come Syed Haider Raza e Arpita Singh. Diciamo subito che era bellissima e che un film sulla sua vita sarebbe sicuramente vincente, ma anche molto costoso, a iniziare dalle location. Amrita nasce infatti a Budapest, ancora ricca città imperiale, e a otto anni si trasferisce in India.

È intelligente, vivace e dimostra subito predisposizione per la musica e per il disegno, e il gioco è fatto: a soli undici anni (sic!) viene mandata a studiare pittura a Firenze, poi dopo un breve ritorno in India, si reca a Parigi dove frequenta l’Académie de la Grande Chaumière e quindi l’Ecole des Beaux-Arts.

Ritratto di giovane uomo (1930), Nuova Delhi, National Gallery of Modern Art.


Gruppo di tre ragazze (1935), Nuova Delhi, National Gallery of Modern Art.

Negli anni Trenta, tornata a casa, dopo un periodo di sperimentazione e di accademismo formale abbandona finalmente lo “stile europeo”, e a Summer Hill, una piccola città nella periferia di Shimla (capitale dello stato Himachal Pradesh), dove la famiglia risiede, approfondisce la ricerca sulla materia e cerca di creare, anche nei colori, una reale identità indiana. Sfida, in quei tempi, molto più impegnativa di quanto si potrebbe oggi immaginare. Nascono così una serie di dipinti dedicati alle donne indiane dei villaggi del Sud, che oggi fanno scuola. Non solo sperimenta forme e cromie fatte di terra e spezie, ma riesce anche a donare alle sue figure femminili espressioni realistiche, ed emozioni, che la pittura indiana non aveva mai esplorato prima. Attenta, anche politicamente, a voler raccontare la vita dei poveri, dei derelitti, dei rappresentanti delle caste più umili. La sua non è una fuga intellettuale alla Gauguin, è una presa di coscienza.


La toilette della sposa (1937).


Con lei finisce l’orientalismo, e nasce la pittura d’Oriente contemporanea, anche se alcuni suoi dipinti ci appaiono oggi leziosi e un po’ oleografici. Ma ognuno ha un prezzo da pagare quando cerca di cambiare le cose, e traccia nuove strade. Sposatasi con il cugino Victor Egan, ungherese, un po’ per amore, un po’ per mettere pace in casa, lo tradisce però costantemente con uomini e con donne, che spesso usa come modelle. I detrattori la chiamano “gipsy”, la zingara, per le sue origini e la sua volubilità. La nobiltà indiana vorrebbe prenderne le distanze. Con Victor si trasferisce a Saraya, nell’Uttar Pradesh, regione ai confini con il Nepal, attraversata dal Gange. Non riesce però ad ambientarsi e si sposta ancora una volta, a Lahore, oggi in Pakistan. È proprio qui, nel 1941, pochi giorni prima dell’apertura della sua prima grande mostra personale, che si ammala gravemente, scivola in coma e muore. La madre accusa il marito di averla uccisa, forse con il veleno. Molti credono (o dicono) che la causa della morte possa essere in realtà un aborto clandestino. Amrita è morta da poche ore quando l’Inghilterra dichiara guerra all’Ungheria e Victor viene arrestato e messo in prigione come nemico della nazione. Il corpo di Amrita verrà cremato, rendendo impossibile risalire alla causa del decesso. Aveva ventotto anni. Salman Rushdie si è ispirato a lei per la protagonista del romanzo L’ultimo sospiro del Moro (The Moor’s Last Sigh), del 1995. Sua sorella minore, Indira Sundaram, era la madre dell’artista contemporaneo Vivan Sundaram che spesso ha utilizzato la figura della zia per la sua ricerca.

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio