Grandi mostre. 3
Bacon nel Principato di Monaco

non c’è pace
al tormento esistenziale

Osservare le sue opere è come scandagliare le pieghe più nascoste dell’animo umano e avere di fronte gli istinti più brutali. Risultato raggiunto da Francis Bacon deformando volti e corpi in modo spesso crudele. Il Grimaldi Forum approfondisce la singolare ossessione del pittore attraverso un’esaustiva retrospettiva.

Melisa Garzonio

Head VI è un dipinto a olio eseguito da Francis Bacon nel 1949, una delle tante riproduzioni del celebre ritratto di Papa Innocenzo X di Velázquez, esposto alla Galleria Doria Pamphilj di Roma. È nel Principato di Monaco che Bacon (Dublino 1909 - Madrid 1992) dipinge il primo “papa”, e inizia a concentrarsi sulla distorsione della figura umana. Arriva lì nel 1940, ci resta fino al 1950. Risiede all’hotel Ré, poi si trasferisce in una villa, al suo seguito la governante Jessie Lightfoot e l’amante del momento, il collezionista Eric Hall. L’aria di mare fa bene alla sua asma, e il gioco d’azzardo, cui si dedica la notte nel Casino Belle Epoque di Montecarlo, giova al suo umore ballerino. Benché ateo, Bacon lavora ossessivamente sulla figura del soggetto simbolo dell’autorità religiosa per venticinque anni, realizzando circa cinquanta versioni. Di queste, la mostra al Grimaldi Forum propone la straordinaria “testa urlante” (Head VI, sopra citata). Certo, uno che dipinge il papa ingabbiato con le fauci spalancate e i denti digrignanti, o lo detesti o... lo ami alla follia. Pare che Francis Bacon molto amato.


Amava le forme scultoree ma godeva a straziarle

Di sicuro lo è di questi tempi nel Principato di Monaco. Avenue Princesse Grace, la strada più chic del principato, sarà per tutta l’estate punto di incontro obbligato dei numerosissimi fan in possesso di ticket per la mostra Francis Bacon. Monaco et la Culture Française, ospitata al Grimaldi Forum, la più ampia e ambiziosa retrospettiva europea del pittore anglo-irlandese dopo quella, storica, che si tenne al Grand Palais di Parigi nel 1971. Progetto e organizzazione sono di The Estate of Francis Bacon (Londra), e della Francis Bacon MB Art Foundation, la fondazione privata istituita nel 2014 nel Principato di Monaco dal principe Alberto, la curatela è di Martin Harrison, autore del catalogo ragionato di Francis Bacon, e regista, con Adolphe Appia ed Edward Gordon Craig, di uno scenografico allestimento, quasi un gioco di luci e ombre, per una sessantina di opere, di Bacon e degli artisti da lui frequentati a Parigi tra gli anni Venti e Settanta: Giacometti, Léger, Michaux, Soutine, solo per fare qualche nome. Un’edizione itinerante della mostra, centrata sui rapporti dell’artista con la Spagna, sarà riproposta al Guggenheim di Bilbao dal 30 settembre. Un’ottima annata, il 2016, per il pittore del tormento esistenziale, che si aggiudica anche il record delle aste: è dell’11 maggio scorso la super vendita da Sotheby’s di una sua opera, Due studi per un autoritratto del 1970, a 34,9 milioni di dollari, una cifra che ha quasi triplicato l’aggiudicazione del 2015 di un altro autoritratto del 1977.


Head VI (1949), Londra, Arts Council Collection.

Study of Portrait of Van Gogh VI (1957), Londra, Arts Council Collection.


Fragment of a Crucifixion (1950), Eindhoven, Van Abbemuseum.

Forse nessun artista del XX secolo ha interpretato così realisticamente la perversione e gli istinti più inconfessabili, come Francis Bacon. E forse nessuno, prima di lui, ha scandagliato la bestia umana in maniera così dettagliata. Amava le forme scultoree ma godeva a straziarle, a volte in modo bizzarro, a volte con immensa crudeltà. Tracce di questa attrazione per la brutalità si ritrovano nelle crocifissioni, nei ritratti intimi dei tanti amanti, nonché nei preziosi materiali d’archivio ritrovati nell’atelier londinese, al 7 di Reece Mews, a South Kensington, dove l’artista autodidatta, omosessuale, emarginato, ha vissuto in isolamento quasi totale dal 1961 al 1992.

In una sala del Grimaldi Forum è stata ricostruita, attraverso la riproduzione fotografica, l’atmosfera che si respirava nella tana dell’alchimista “maledetto”, tana che dopo la morte dell’artista fu trasferita da Londra alla Hugh Lane Municipal Gallery of Modern Art di Dublino.


Non dipingeva mai dal vero: i modelli in carne e ossa gli inibivano l'ispirazione


È un caos odoroso di pennelli, vernici, tavole, pagine staccate da un libro o ritagliate da un giornale, schizzi, appunti, soprattutto le fotografie che Bacon utilizzava come fonte d’ispirazione. Introvabili album con uomini nudi di John Deakin, o colti in frenetico movimento dal fotografo ottocentesco Eadweard Muybridge; immagini di Himmler e Goebbels prese dalla rivista “Picture Post”; dischi di Chopin, Aznavour, Barbara; radiografie di crani, torsi e di gabbie toraciche; un trattato di medicina sulle malattie della bocca, comprato in Francia, testo fondamentale per lo studio delle sue bocche aperte (nell’urlo) o socchiuse (con il ghigno dei denti scoperti) che diventarono un tratto ricorrente della sua opera: «Volevo dipingere una bocca [...] come fosse un tramonto di Monet»; preziosi fotogrammi del film di Ejzenštejn La corazzata Potëmkin: la faccia urlante con il “pince-nez” di Pope II è stata modellata distorcendo l’espressione del viso dell’anziana bambinaia, appena colpita da una pallottola sulla scalinata di Odessa. Il luogo dove Bacon lavorava, più che uno studio era uno spazio claustrofobico, in totale contrasto con l’ordine asettico e quasi maniacale della stanza accanto dove, nelle pause di lavoro, si concedeva alla birra e alle bizze dei suoi amanti. «Mi piace lavorare in mezzo a tutta questa confusione», spiegava, «trovo molto stimolante avere tutte queste immagini in giro, perché mi suggeriscono delle cose e generano altre immagini nella mia mente. Alla fine, voglio che i miei quadri abbiano un aspetto ordinato, ma per essere buoni, credo che debbano sorgere molto liberamente dal caos». In questa stanza dall’arredamento essenziale, rischiarata da un piccolo lucernario, strisciando sul pavimento viscido di vernici, invaso da cenci, vecchi pullover, cartacce, Bacon realizzava i suoi miracoli: papi, gabbie, ritratti e autoritratti, corpi. Di carattere curioso, conviviale, aveva molti amici e di alcuni, gli intimi, quelli che più lo affascinavano, fece anche il ritratto, alla sua maniera. Mai dal vero: Bacon spiegava che i modelli in carne e ossa gli inibivano l’ispirazione. Lavorava a memoria, aiutandosi con fotografie e riproduzioni delle sue “cavie” sparse sul pavimento, che consultava ansioso, e distruggeva sistematicamente, se non corrispondevano al suo modello mentale.


Portrait of a Man Walking Down Steps (1972).

Lying Figure (1958), Kunstmuseum Bochum.


Studies of the Human Body (1975).

Francis Bacon. Monaco et la culture française

a cura di Martin Harrison
Principato di Monaco, Grimaldi Forum
10 avenue Princesse Grace
dal 2 luglio al 4 settembre
orario 10-20, giovedì 10-22
catalogo Albin Michel - Francis Bacon MB Art Foundation
www.grimaldiforum.com
è in corso alla Tate di Liverpool fino al 18 settembre
Francis Bacon: Invisible Rooms
www.tate.org.uk/visit/tate-liverpool

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio