CATALOGHI E LIBRI

GIUGNO 2016

AGOSTINO BONALUMI

Il catalogo ragionato dell’opera di un artista dei nostri tempi è sempre un’impresa mastodontica, tanto più nel caso di un maestro prolifico come Agostino Bonalumi, scomparso a Vimercate nel 2013 a settantotto anni, dopo una quantità impressionante di lavori. Bonalumi è arcinoto nel mercato dell’arte contemporanea, in Italia e all’estero, forse meno studiato dal punto di vista storico e artistico. I due volumi in cofanetto sono un’opera monumentale, strumento indispensabile per i collezionisti, e sono stati curati con acribia e competenza da Marco Meneguzzo e dal figlio dell’artista, Fabrizio Bonalumi, che dal 2006 dirige e presiede l’archivio del padre (www.archiviobonalumi.com). Agostino, nato nel 1935 a Vimercate, con una formazione di disegno tecnico e meccanico che si rileverà sempre in filigrana nella sua opera, allestisce la sua prima personale a Milano nel 1956, alla Galleria Totti. Risale a circa due anni dopo il breve sodalizio milanese con Enrico Castellani (1930) e con Piero Manzoni (1933-1963). Bonalumi, il più giovane dei tre, aveva iniziato a frequentare l’ambiente di Brera, e Baj gli aveva presentato Manzoni, allora vicino al cosiddetto Movimento nucleare. In trattoria avviene l’incontro fortuito con Castellani, e i tre giovani cominciano a esporre assieme. Alla Galleria Pater Bonalumi espone con Castellani, Manzoni, Biasi, Rumney, Swan, e poi, ancora insieme a Castellani e Manzoni, alla Galleria Prisma, a Roma all’Appia Antica, e anche a Losanna. Le loro idee sull’“ azzeramento” dell’arte tradizionale costituiranno i principi del gruppo d’avanguardia e della rivista omonima “Azimuth”. Tuttavia, nel dicembre del 1959, alla vigilia dell’uscita del primo numero della rivista, Bonalumi comincia ad allontanarsi dai due amici, e da allora lavorerà sempre in modo del tutto autonomo. Quello stesso anno inizia la sua sperimentazione con le tele “estroflesse”. Da allora la sua attività può essere contraddistinta da tre fasi: 1959-1971 (estroflessioni di diverse fogge); 1971-1989 (estroflessioni concepite come strisce parallele lineari); 1989- 2013 (estroflessioni ricondotte a geometria). I due volumi ripercorrono l’intera vicenda critica del maestro, grazie anche a una ricca documentazione di fotografie d’epoca, saggi critici e schede.

A cura di Fabrizio Bonalumi e Marco Meneguzzo 2 tomi, edizione bilingue (italiano-inglese) Skira, Milano-Ginevra 2015 840 pp., 179 colore, 2227 b.n. € 300

«FECE DI SCULTURE DI LEGNAME E COLORÌ»

Il primo corridoio degli Uffizi era nato come Galleria delle statue, e alla fine del Cinquecento ospitava sculture antiche e moderne (fra cui il Bacco di Michelangelo ora al Bargello). Oggi il museo è arcinoto invece per i dipinti. Ed è dunque scelta ammirevole quella di Alfredo Bellandi, assieme all’ex direttore Antonio Natali, di allestire agli Uffizi una mostra (fino al 28 agosto) su un argomento poco noto come la scultura lignea policroma del Quattrocento fiorentino, in gran parte destinata in origine alla devozione. Le opere esposte, di cui discute il catalogo, vengono da chiese fiorentine ma anche da musei di tutto il mondo. I saggi del catalogo illuminano sul rapporto stretto, senza distinzioni di casta, di grandi maestri e scultori meno noti, con artigiani e “dipintori” nella Firenze del Quattrocento.


A cura di Alfredo Bellandi Giunti, Firenze 2016 290 pp., 259 ill. colore, 5 ill. b.n. € 35

CAMILLE CLAUDEL

Ormai non è più possibile, neppure in Italia, considerare poco nota la figura di Camille Claudel (1864-1943), scultrice francese di talento, entrata nel mito per la sua travagliata, intensa relazione col maestro tanto più anziano di lei, Auguste Rodin: un sodalizio sensuale e artistico di alterne sudditanze, che ebbe fine perché Rodin non volle lasciare per lei la compagna di una vita. Autoreclusa per anni in un atelier affacciato sulla Senna (oggi resta una targa sulla facciata del palazzo), nel 1913 Camille fu fatta internare dalla famiglia in manicomio, dove morì nel 1943: lunghi, miserrimi anni, testimoniati dalla fitta, disperata corrispondenza col fratello Paul, celebre poeta, cattolico intransigente, e con l’algida madre. Camille fu “riscoperta” dal femminismo militante e dai critici francesi negli anni Ottanta del secolo scorso. Il grande pubblico ha imparato a conoscerla col film di Bruno Nuytten (Camille Claudel, 1988, con l’interpretazione struggente di Isabelle Adjani, tanto somigliante alla bella Camille). Poi sono venuti documentari, mostre, romanzi e nel 2008 la splendida indagine biografica di Odile Ayral-Clause, tradotta in Italia nel 2013, anno dell’angosciante film di Bruno Dumon, con Juliette Binoche (Camille Claudel 1915) focalizzato, come gran parte del libro di Ayral-Clause, sul lunghissimo periodo dell’internamento. Le vicende di Camille sono state rievocate anche da noi, a partire dalla Vita immaginaria di Camille Claudel, scultrice, di Paolina Preo (Giunti, Firenze 1993), dal quale è stata tratta una pièce teatrale. In seguito, gli studi di Maria Antonietta Trasforini sugli “effetti di genere” nell’arte (2007) e di Marilena Mosco (2012 e 2015) hanno contribuito alla conoscenza profonda di questa donna dalla personalità complessa, artista coraggiosa in un mondo che poco riconosceva alle donne. Esce oggi, per la collana “Profilo di donna”, una nuova, interessante biografia di un’insegnante e storica dell’arte romana, già autrice di un libro su Caravaggio e Giordano Bruno. Anna Maria Panzera è molto brava a ripercorrere la ricca documentazione su Camille, della quale ha piena padronanza, ma ha anche il merito di approfondire con sue interpretazioni i possibili motivi della sua tragica vita: la contingenza storica, l’oppressione familiare, la passione d’amore senza dubbio ossessiva.

Anna Maria Panzera L’asino d’oro, Roma 2016 238 pp. € 29

PICASSO

Antonina Vallentin, detta Tosia (al secolo Antonina Silberstein, Leopoli 1893 - Parigi 1957) è stata una prolifica autrice di biografie. In Italia pochi la conoscono. Solo Einaudi pubblicò nel 1953 Il romanzo di Goya (oggi introvabile), e nel 1961, con l’impeccabile traduzione di Renzo Federici, questa biografia su Picasso, uscita in Germania e in Francia sulla metà degli anni Cinquanta, poi ristampata con aggiornamenti. Con la stessa traduzione la ripropone Castelvecchi, senza le illustrazioni di corredo (i diritti degli eredi Picasso sono proibitivi). A meno che non siate fra i fortunati possessori dei trentatré volumi del catalogo completo dell’opera di Picasso curato da Christian Zervos, ripubblicato in questi giorni dai Cahiers d’art e in vendita a un prezzo astronomico, consigliamo la connessione internet. Nel corso della lettura sarà così possibile seguire le ancora interessanti osservazioni dell’autrice su molte opere che è impossibile trovare tutte in un unico libro sull’artista. Sul web la ricerca è semplice, anche per i dipinti che l’autrice vide in collezioni private o nell’atelier di Picasso stesso, che di recente sono passati di proprietà: fra questi, la post-cubista Nature morte au filet de pêche (1925), che all’asta di Christie’s (New York 2014, n. 2844) ha realizzato oltre 9 milioni di dollari (è descritta nel libro a pagina 232). Peccato che questa edizione italiana, utile per le tante notizie di prima mano anche su opere meno note, e la rievocazione di tanti personaggi (non solo delle compagne e dei figli del pittore) non sia corredata da un indice dei nomi. L’autrice, che si firmava col nome del primo marito, era nata da una famiglia di ebrei polacchi. Nel 1929, a Parigi, sposò Julien Luchaire, raffinato scrittore e intellettuale. Il loro salotto parigino fu frequentato da esuli come Thomas Mann e da artisti, appunto, come Picasso, che a lei sopravvisse di molti anni. Va dunque considerato che la biografia si ferma al 1955, quando Picasso, come la biografa racconta alla fine, viveva a Cannes con Jacqueline Roque, che ancora non aveva sposato. Nel panorama vastissimo delle biografie sul più grande artista del Novecento, questa - che parte dalle origini iberiche e attraversa tutta la carriera di Picasso - ci pare fondamentale, anche per la magistrale conduzione del racconto: lineare, intelligente, mai di parte.


Antonina Vallentin Castelvecchi, Roma 2016 381 pp. € 12,50

ART E DOSSIER N. 333
ART E DOSSIER N. 333
GIUGNO 2016
In questo numero: DARE FORMA ALL'EMOZIONE La scultura in terracotta di Niccolò dell'Arca, Mazzoni e Begarelli. CAVALLI E ALTRI ANIMALI Fare arte con i batteri; Il circo di Calder; Sculture equestri tra Quattro e Cinquecento. IN MOSTRA Fabre a Firenze, Picasso scultore a Parigi, Vetri e architetti a Venezia.Direttore: Philippe Daverio