Studi e riscoperte. 4
La scultura equestre da Donatello a Giambologna

nei secoli
a cavallo

Con la riscoperta dell’antico nel XV secolo, la statuaria equestre, che celebra il valore e le virtù del condottiero, vede una vera e propria rinascita. Dai modelli di Donatello e Verrocchio ai progetti di Leonardo, fino alle invenzioni di Giambologna e Pietro Tacca, nell’arco di duecento anni intorno a questo modello si codifica l’immagine del monarca nell’età dell’assolutismo.

Davide Gasparotto

Il Quattrocento vede letteralmente rinascere, sotto l’impulso dell’entusiastica passione per l’antico e per le sue più cospicue reliquie conservate - in particolare il Marco Aurelio allora presso il Laterano, i cavalli impennati dei Dioscuri del Quirinale, ma anche i Cavalli di San Marco e il Regisole di Pavia (oltre che, ovviamente, i rovesci delle monete imperiali romane, dove spesso era raffigurato l’imperatore a cavallo) - l’idea del monumento equestre destinato a onorare e perpetuare il valore e le virtù del condottiero. 

Il XV secolo conosce le più alte realizzazioni monumentali del genere, tutte e due a opera di artisti fiorentini, il Gattamelata di Donatello a Padova e il Colleoni del Verrocchio a Venezia, destinati a diventare un modello e un imprescindibile punto di riferimento per gli artefici successivi, almeno quanto lo fu il Marco Aurelio. Meno nota, ma non meno significativa, dovette essere la statua equestre di Niccolò III d’Este a Ferrara, opera perduta ma celebrata dal De equo animante di Leon Battista Alberti. Anche un altro Este, Ercole I, volle che il proprio ritratto equestre dominasse la «platea nova», la piazza Nuova (oggi Ariostea) di Ferrara, ma il lavoro fu interrotto a causa della sua morte nel 1505. Infine, un altro sovrano illustre, Alfonso d’Aragona, aspirò al prestigio di una statua equestre di mano di Donatello: il progetto non andò oltre la realizzazione, da parte del maestro fiorentino, di una colossale testa bronzea di cavallo, più tardi donata da Lorenzo il Magnifico al conte napoletano Diomede Carafa.


Giambologna, Monumento equestre di Cosimo I de' Medici (1587-1599), Firenze, piazza della Signoria.

Marco Aurelio (II secolo d.C.) in piazza del Campidoglio a Roma, prima del restauro.


il Regisole di Pavia in un’incisione di C. Ferreri del 1832.

Per il monumento a Gian Giacomo Trivulzio, Leonardo si ispirò all’andatura scattante del Regisole più che al Marco Aurelio


Dopo l’inaugurazione nel 1496 del capolavoro verrocchiesco in campo San Zanipolo a Venezia, però, nessun’altra statua equestre in bronzo fu più realizzata in Italia fin quasi allo scadere del XVI secolo. 

Assai influenti sullo sviluppo successivo del genere furono gli studi di Leonardo da Vinci sul cavallo, compiuti sia dal vivo che sull’antico (del giugno 1490 è il viaggio a Pavia, per ammirare e trarre schizzi dal Regisole), e le ricchissime annotazioni tecniche sulle procedure della fusione in bronzo, contenute in particolare in uno dei codici di Madrid. Dopo una serie di progetti per un monumento con un cavallo impennato per Francesco Sforza, l’artista ripiegò - probabilmente in ragione delle enormi difficoltà tecniche - su un più canonico cavallo al trotto, arrivando sino alla realizzazione di un modello colossale (grande circa tre volte il naturale), distrutto durante l’occupazione francese di Milano (1499). Alcuni anni dopo, tra il 1506 e il 1511, sempre a Milano, Leonardo fu di nuovo impegnato nel progetto per un monumento equestre, a grandezza naturale, destinato a sovrastare il monumento funebre di Gian Giacomo Trivulzio: ancora una volta optò per un cavallo al trotto, ispirato nell’andatura scattante al Regisole di Pavia più che al Marco Aurelio. 

Nella prima metà del Cinquecento il monumento equestre sembra in effetti diventare la più perfetta incarnazione della regalità e i suoi destinatari privilegiati sono i due sovrani che si contendevano allora la supremazia europea: l’imperatore Carlo V e il re di Francia Francesco I. Uno degli scultori fiorentini più sensibili e attenti alla lezione di Leonardo, Giovan Francesco Rustici, quando si trasferì in Francia al servizio di Francesco I, ebbe appunto la commissione, anche se il monumento, come ci informa Vasari, «restò imperfetto» alla morte del sovrano (1547). Nel 1536 Carlo V, reduce dall’impresa di Tunisi, venne trionfalmente accolto in numerose città della penisola: a Siena Domenico Beccafumi lo raffigurò armato «sopra un cavallo di tondo rilievo di braccia otto, tutto di carta pesta e voto dentro» (Vasari); a Firenze il ritratto equestre dell’imperatore venne invece affidato al Tribolo che però non fece in tempo in quell’occasione a realizzare la figura del cavaliere.


Donatello, Protome Carafa (1455 circa), Napoli, Museo archeologico nazionale.

Dopo lo spostamento del Marco Aurelio dal Laterano al Campidoglio, voluto da papa Paolo III e affidato nel 1538 alla sapiente regia di Michelangelo, il prestigio dell’antico gruppo equestre risultò ancora più accresciuto e di conseguenza anche il suo valore di vero e proprio simbolo dell’autorità imperiale. Anche per il monumento equestre di Enrico II, commissionato da Caterina de’ Medici a Michelangelo nel 1559, subito dopo la tragica morte del marito ferito a morte in un torneo, appare evidente che il modello per il corpulento cavallo al trotto, realizzato poi da Daniele da Volterra, fu indubbiamente rappresentato dal Marco Aurelio. Caterina pensò a Giambologna per completare il monumento con la figura del cavaliere, ma il principe Francesco I de’ Medici, presso il quale Giambologna lavorava, non concesse la licenza al proprio scultore e l’opera rimase incompiuta (trasportata da Roma in Francia, fu poi distrutta durante la Rivoluzione francese). 

Lo scultore fiammingo era interessato a un progetto per la realizzazione di un monumento equestre fin dai primi tempi della sua carriera. Probabilmente non vide mai il Regisole di Pavia, conobbe tardi (in occasione del viaggio a Venezia del 1593) i Cavalli di San Marco, ma studiò senza dubbio attentamente, nel corso dei suoi ripetuti soggiorni a Roma, sia il Marco Aurelio (con il basamento disegnato da Michelangelo), sia il monumentale cavallo per Enrico II di Daniele da Volterra. 

Nel 1587, finalmente, subito dopo la sua ascesa al trono, il nuovo granduca di Toscana Ferdinando I «ordinò a Giovanni Bologna il fare gli studi per lo cavallo di bronzo lungo sette braccia, sopra cui doveva essere la statua di Cosimo Primo lor padre, per collocarlo in Piazza» (Filippo Baldinucci). Lo scultore si mise subito all’opera, rivolgendosi anche, per il disegno dell’animale, agli amici pittori Ludovico Cigoli e Gregorio Pagani. La complessa fusione ebbe luogo, nella fonderia di borgo Pinti a Firenze nella notte tra il 27 e il 28 settembre del 1591. Il 10 giugno 1592 il monumento equestre di Cosimo I de’ Medici venne finalmente scoperto al pubblico. 

Vero coronamento d’una carriera colma di successi, è un monumento di grande ambizione artistica. Lo studio dei precedenti classici non si risolve in uno sterile recupero archeologico, giacché la raffigurazione è quella di un sovrano che cavalca e veste “alla moderna”. Giambologna riesce veramente a codificare, con un’invenzione icastica, l’immagine del perfetto monarca dell’età dell’assolutismo, tanto che il modello da lui creato diverrà quello canonico anche ben oltre l’avvento di Bernini. 

Il successo fu immediato. La bottega di borgo Pinti funzionava a pieno ritmo, affollata di giovani aiuti e apprendisti. A partire dai primi anni del nuovo secolo Giambologna, ormai molto anziano, trovò sempre più nel giovane scultore carrarese Pietro Tacca il braccio atto a dare concretezza e valido sostegno alle numerose imprese che gli venivano affidate dal granduca.


Antonio Tempesta, Monumento equestre del re di Francia Enrico II di Valois (fine XVI - inizio XVIII secolo), Roma, Istituto nazionale per la grafica.


Giambologna e Pietro Tacca, Monumento equestre del re di Spagna FIlippo III d’Asburgo (1616), Madrid, plaza Mayor.

Dopo lo spostamento del Marco Aurelio al Campidoglio, affidato alla regia di Michelangelo, il prestigio dell’antico gruppo equestre risultò ancora più accresciuto


Soddisfatto del risultato del monumento al padre Cosimo, Ferdinando commissionò nel 1601 a Giambologna la realizzazione di un proprio ritratto equestre per piazza Santissima Annunziata a Firenze. Lo scultore fiammingo quasi certamente presentò al granduca come modello una statuetta, riconosciuta nel superbo bronzetto della collezione Liechtenstein. È intorno a questo periodo che, a fronte delle pressanti richieste da parte di tutti i principali sovrani europei, dovette essere messa a punto all’interno della bottega la soluzione di inviare statuette equestri, prodotte con i medesimi stampi, avendo l’accortezza di sostituire solo alcuni particolari decorativi e naturalmente la testa, fusa a parte col ritratto del destinatario. 

Durante le fasi finali del lavoro per la nuova statua equestre fiorentina, il 13 agosto Giambologna si spense all’età di settantanove anni, non riuscendo ad assistere all’erezione del monumento e all’inaugurazione ufficiale il 4 ottobre 1608. 

Se dal punto di vista tecnico il monumento a Ferdinando rappresentò un indubbio progresso, rispetto al Cosimo I si è sempre rilevata una certa freddezza e rigidità nel disegno complessivo dell’opera. Sta di fatto, però, che fu con le stesse forme del monumento a Ferdinando I che Pietro Tacca si impegnò, nell’ambito della bottega giambolognesca, nella realizzazione - negli anni immediatamente precedenti e successivi alla morte del maestro - di altri due monumenti equestri, destinati rispettivamente al re di Francia Enrico IV (distrutto nel 1792) e al re di Spagna Filippo III d’Asburgo (completato nel 1616): anche per quest’ultimo una statuetta bronzea, probabilmente quella oggi a Kassel, ebbe la funzione di pezzo di presentazione per il sovrano. 

Con la tenacia e l’abilità tecnica del Tacca, da questo punto di vista vero erede dello spirito imprenditoriale del maestro, sembrava così chiudersi l’esperienza più che ventennale della bottega di Giambologna nella produzione di monumenti equestri: con uno straordinario exploit di carattere tecnico, lo scultore fiammingo era riuscito, pur in tarda età e laddove molti prima di lui avevano fallito, a dar corpo a un’idea di regalità e a una ben precisa concezione del potere, garantendo inoltre ai suoi committenti, i Medici, un eccezionale prestigio culturale in tutta Europa. Inoltre, grazie ai ritratti equestri sotto forma di statuette bronzee che circolavano in tutte le corti europee - da Praga a Londra, da Dresda a Madrid -, grazie alla “diaspora” dei tanti allievi e frequentatori dell’attivissima bottega di Borgo Pinti, grazie ai semplici ammiratori delle statue erette a Firenze e nelle principali capitali europee, il modello di monumento equestre messo a punto da Giambologna conobbe una diffusione veramente straordinaria.


Giambologna e Pietro Tacca, Ritratto equestre del re di Spagna FIlippo III dÕAsburgo (1606 circa), Kassel, Museumslandschaft Hessen Kassel.

Il testo di questo articolo è stato tratto da D. Gasparotto, Cavalli e cavalieri. Il monumento equestre da Giambologna a Foggini, in Giambologna. Gli dei, gli eroi, catalogo della mostra (Firenze, Museo nazionale del Bargello, 2 marzo - 15 giugno 2006), a cura di B. Paolozzi Strozzi, D. Zikos, Firenze, Giunti 2006, pp. 88-105.Il testo di questo articolo è stato tratto da D. Gasparotto, Cavalli e cavalieri. Il monumento equestre da Giambologna a Foggini, in Giambologna. Gli dei, gli eroi, catalogo della mostra (Firenze, Museo nazionale del Bargello, 2 marzo - 15 giugno 2006), a cura di B. Paolozzi Strozzi, D. Zikos, Firenze, Giunti 2006, pp. 88-105.

ART E DOSSIER N. 333
ART E DOSSIER N. 333
GIUGNO 2016
In questo numero: DARE FORMA ALL'EMOZIONE La scultura in terracotta di Niccolò dell'Arca, Mazzoni e Begarelli. CAVALLI E ALTRI ANIMALI Fare arte con i batteri; Il circo di Calder; Sculture equestri tra Quattro e Cinquecento. IN MOSTRA Fabre a Firenze, Picasso scultore a Parigi, Vetri e architetti a Venezia.Direttore: Philippe Daverio