Le prime commissioni
a Firenze

Nel 1457 Andrea afferma di essere stato educato all’arte dell’oreficeria secondo una prassi comune anche ad altri grandi artisti del tempo come Brunelleschi, Ghiberti e Antonio Pollaiolo.

Opere come i bottoni da piviale, lavori di cesello minuzioso e prezioso, e le tazze all’antica caratterizzate da un formato maggiore del normale e da una caleidoscopica inventiva, attestano la notevole versatilità del peritissimo orafo Verrocchio nel passare dal piccolo al medio, al grande formato dove l’ornamento giocava un ruolo fondamentale(26). Vasari descrive un soggiorno a Roma di Andrea(27), allora all’inizio della sua carriera, per eseguire dei lavori di oreficeria per papa Sisto IV della Rovere, sul soglio pontificio dal 1471 al 1484. All’inizio degli anni Sessanta del Quattrocento, Verrocchio era ben introdotto nel vivace ambiente artistico fiorentino non solo come orafo, ma anche come scultore e architetto(28). Lo scultore cinquecentesco Baccio Bandinelli, in una missiva edita a cura di Giovanni Gaetano Bottari(29), attesta che Andrea frequentava le più famose botteghe scultoree del tempo ed era attivo nell’équipe di Ghiberti per i lavori alle porte del battistero fiorentino con Antonio e Piero del Pollaiolo, Desiderio da Settignano e Maso Finiguerra. Fonti(30) come l’Anonimo Magliabechiano, Antonio Billi, Giovanni Battista Gelli e Filippo Baldinucci attestano che Andrea era entrato nella bottega di Donatello prima del soggiorno senese di quest’ultimo tra il 1457 e il 1461 e che poi avrebbe frequentato le botteghe di Desiderio o dei Rossellino. Vasari(31) attribuisce al giovane Andrea la lunetta del monumento funebre di Leonardo Bruni, eseguito da Bernardo Rossellino nel 1451 in Santa Croce a Firenze. Il Billi e l’Anonimo Magliabechiano attestano, invece, la partecipazione di Andrea all’esecuzione del tondo della tomba di Carlo Marsuppini realizzata nella stessa basilica da Desiderio tra il 1453, anno della morte del cancelliere, e il 1460. 

Il confronto stilistico tra i due gruppi pare confermare la partecipazione di Verrocchio al cantiere di Desiderio: Ulrich Middeldorf propone di vedere la mano del giovane Andrea nell’angelo di destra inscritto nella lunetta(32), mentre Andrea Covi ravvisa le stesse caratteristiche nel putto reggi-scudo di destra(33) e specialmente nell’angelo reggi-ghirlanda posto in alto a sinistra(34). È sempre Vasari a ricordare Verrocchio come artista autonomo dotato di competenze in architettura nel 1461, quando Andrea riceveva un pagamento dagli operai del duomo di Orvieto per aver disegnato un progetto ai fini della realizzazione di una cappella commissionata dal vescovo di Ascoli, Francesco Monaldeschi, potentissimo prelato molto legato a Roma. Ai progetti forse troppo moderni proposti dagli artisti fiorentini, richiesti anche a Desiderio e a Giuliano da Maiano, il prelato preferì quello del senese Giovanni di Meuccio(35), cui affidò l’incarico con un atto del 30 maggio 1462.


Resurrezione di Cristo (1465-1480); Firenze, Museo nazionale del Bargello.


Campana detta la Piagnona (1464 circa); Firenze, Museo di San Marco.

(26) G. Vasari, op. cit., III, p. 358.

(27) Ibidem.

(28) Ivi, p. 359.

(29) Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI, e XVII, pubblicata da M. Gio. Bottari e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi, VIII voll., Milano 1822- 1825, I, pp. 104-105, XLV.

(30) D. A. Covi, op. cit., pp. 23-24.

(31) G. Vasari, op. cit., III, p. 361.

(32) U. Middeldorf, “Frühwerke des Andrea del Verrocchio” (Résumé of lecture), Report on the 51st Session on 29th May 1935, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, 5, 1937-1940, pp. 209-210; I. Cardellini, Desiderio da Settignano, Milano 1962, pp. 44 e 159.

(33) D. A. Covi, op. cit., pp. 24-26.

(34) Ivi, pp. 26-27; G. Gentilini, Desiderio in bottega. Maestri e allievi, opere e committenti nelle attestazioni documentarie e delle fonti, in Desiderio da Settignano, catalogo della mostra (Parigi, Musée du Louvre, 27 ottobre 2006 - 22 gennaio 2007; Firenze, Museo nazionale del Bargello, 22 febbraio - 6 marzo 2007; Washington, National Gallery of Art, 1° luglio - 10 agosto 2007), a cura di M. Bormand, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, Milano 2007, p. 40; Id., L’amorevolezza del maestro. Compagni e discepoli di Desiderio, “giovane eccellente nella scultura”, in Desiderio da Settignano, a cura di J. Connors, A. Nova, B. Paolozzi Strozzi, G. Wolf, Firenze 2011, pp. 111-116, fig. 16; F. Caglioti, Da una costola di Desiderio. Due marmi giovanili di Andrea Verrocchio, in Desiderio da Settignano, a cura di J. Connors, A. Nova, B. Paolozzi Strozzi, G. Wolf, Firenze 2011, pp. 127-128.

(35) L. Fumi, Ricordi di un oratorio del secolo XV nel Duomo di Orvieto, in “Archivio Storico dell’Arte”, 4, 1891, p. 47. L’oratorio della Madonna della Tavola, costruito tra 1462 e il 1480, sarà distrutto agli inizi del XVII secolo.

Tra le prime opere assegnate ad Andrea su basi stilistiche è la grande terracotta verticale raffigurante la Resurrezione(36), conservata a Firenze al Museo nazionale del Bargello. L’opera, databile tra il 1465 e il 1480 e composta da nove sezioni con tracce di pittura inquadrate entro una struttura lignea, era collocata sopra la porta della cappella della villa di Careggi di proprietà di Cosimo il Vecchio. Vicina per impostazione alla terracotta invetriata di Luca della Robbia nel duomo fiorentino di Santa Maria del Fiore, la Resurrezione di Careggi è realizzata con una maestria d’eccezione, passando elegantemente dallo stiacciato all’altorilievo. Straordinaria è la terracotta di Berlino, recentemente studiata da Pietro C. Marani e Maria Teresa Fiorio, che raffigura un Giovane addormentato(37). Questa scultura, forse un Abele o un Adamo o addirittura un Endimione, presenta un livello elevato di finitezza e di definizione anatomica, mentre il modellato delicato, esaltato dal gioco delle luci e delle ombre, valorizza la posa studiata dal vero.


Giovane addormentato (1474-1475); Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst.

L’ornato che decora la ex grande campana del convento fiorentino di San Marco detta la Piagnona(38) commissionata, come recita l’iscrizione, da Cosimo il Vecchio, è considerato da Butterfield tra le prime opere scultoree in bronzo di Verrocchio. L’attribuzione è motivata sia dalla vicinanza con i puttini schizzati su un foglio del Louvre sia dai ricordi di Vasari di una «tazza […] dove è un ballo di puttini molto bello» e di una campana in bronzo «lavorata a bassorilievi con figure ed ornate» per l’abbazia di Montescalari nel 1474. Attorno al 1465-1466, dovrebbe anche collocarsi l’esecuzione della tomba di fra Giuliano Verrocchi nella basilica di Santa Croce(39), assegnata ad Andrea su basi stilistiche da Covi e commissionata da fra Antonio de’ Medici, ministro provinciale dell’ordine francescano in Santa Croce dal 1465 al 1470.

Momento fondamentale della carriera di Verrocchio fu la realizzazione della tomba di Cosimo il Vecchio in San Lorenzo a Firenze tra il 1465 e il 22 ottobre 1467 quando i resti mortali del “pater patriae” furono deposti nella cripta sottostante, come attesta l’iscrizione(40). Il monumento, posto esattamente sotto la cupola della chiesa, si sviluppa in profondità con una preziosa lastra terragna a motivi geometrici e iconici realizzati in marmi di scavo - porfido rosso di Volterra e porfido verde di Grecia -, che corrisponde al grande sarcofago posto nella cripta sottostante che ha funzione di pilastro. La lastra tombale della sepoltura del “pater patriae” gioca con l’idea dell’unione perfetta tra terreno e divino, possibile omaggio al defunto sull’assonanza di “Cosimo-Cosmos”. A seguito dello straordinario successo della tomba di Cosimo il Vecchio, Verrocchio diventa uno degli artisti più amati dai Medici che gli commissionano il David(41) oggi al Bargello entro il 10 maggio 1476 quando la Signoria di Firenze acquistò la scultura per centocinquanta fiorini larghi «pro ornamento et pulchritudine ac etiam magnificentia palati»(42) da Lorenzo e Giuliano de’ Medici ponendola in Palazzo vecchio davanti alla rampa delle scale di fronte alla Sala dei gigli (al tempo detta Sala dell’orologio).


Campana detta la Piagnona (1464 circa), particolare del fregio con puttini; Firenze, Museo di San Marco.

(36) D. A. Covi, op. cit., pp. 29-31. La scultura fu scoperta a pezzi nella soffitta della villa di Careggi (Firenze) alla fine dell’Ottocento dal proprietario Carlo Segré che la fece ricomporre e reinstallare nel cortile centrale dove rimase fino al 1930 quando l’opera, comprata dallo Stato, fu trasferita al Museo nazionale del Bargello.

(37) A. Butterfield, op. cit., p. 215, n. 12; D. A. Covi, op. cit., pp. 33-34; M. T. Fiorio in Leonardo da Vinci, 1452-1519: il disegno del mondo, catalogo della mostra (Milano, Palazzo reale, 16 aprile-19 luglio 2015), a cura di P. C. Marani e M. T. Fiorio, Milano 2015, pp. 107-119 e II.9, 525-526.

(38) L’attribuzione, condivisa da Butterfield (op. cit., p. 202, n. 2) e Rosenauer (A. Rosenauer, Proposte per il Verrocchio giovane, in Verrocchio and late Quattrocento Italian Sculpture, atti delle conferenze [Provo, Utah, Brigham Young University, aprile 1988; Firenze, Accademia delle arti del disegno e Villa I Tatti, giugno 1989], a cura di S. Bule e A. Phipps Darr, Firenze 1992, pp. 101-105), non convince Covi.

(39) D. A. Covi, op. cit., pp. 35-36. L’attribuzione, proposta da Covi (D. A. Covi, An Unnoticed Verrocchio?, in “Burlington Magazine”, 110, 1968a, pp. 4-9), non è condivisa da Butterfield (op. cit., p. 237, n. 27).

(40) A. Butterfield, op. cit., pp. 205-207, n. 6; D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 38-40.

(41) A. Butterfield, op. cit., pp. 204-205, n. 5; D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 45-50.

(42) Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, pubblicato e illustrato con documenti pure inediti da G. Gaye, Firenze 1939-1940, I, p. 572.

Lapide sepolcrale sopra la tomba di Cosimo il Vecchio de’ Medici (1465-1467); Firenze, San Lorenzo, pavimento.


Sepolcro di Cosimo il Vecchio de’ Medici (1465-1467); Firenze, San Lorenzo, cripta.

Con questa scultura in bronzo, Andrea si confronta con un tema caro ai Medici e dai precedenti illustri, primo tra tutti il David di Donatello, e sviluppa il soggetto rappresentando l’eroe biblico come un paggio adolescente atteggiato in un contrapposto deciso ma delicato grazie a una torsione impercettibile. La posa di rarefatta bellezza invita a girare attorno all’opera. La scelta del tipo fisico del giovane efebico, atteggiato in una posa naturale, è valorizzata dalla lorica di pelle attillata, dal corto gonnellino e dai gambali al ginocchio impreziositi da una decorazione a motivi calligrafici arabeggianti in oro. Senza raggiungere gli esiti dell’energia esplosiva dell’Ercole e Anteo del Pollaiolo, l’incisività della linea riesce a valorizzare l’idea del movimento come una forza compressa che si risolve nel passaggio da una forma chiusa a una aperta, capace di espandersi in molteplici direzioni. A parte alcuni piccoli difetti causati dalla tecnica fusoria e dalla non ancora perfetta padronanza di quel pittoricismo atmosferico e luminoso delle opere più tarde(43), l’effetto ottenuto con il lavoro di cesello a fusione avvenuta e la resa dell’epidermide attraverso la stesura di una patina scura sono il più alto risultato dell’apprendistato di orafo(44). Si suppone che il David sia una committenza da riferire a Cosimo il Vecchio, oppure al figlio Piero. A quest’ultimo è ascritta la commissione del dibattuto lavabo(45) in origine addossato al muro sinistro della Sacrestia vecchia di San Lorenzo, poi smontato e riallestito, con alcune differenze rispetto all’assetto originale, nel piccolo ambiente a essa attiguo.


Donatello, David (1435-1440 circa); Firenze, Museo nazionale del Bargello.


David (1468-1475 circa); Firenze, Museo nazionale del Bargello

Il lavabo, in puro marmo di Carrara e serpentino verde di Prato, è inquadrato da un arco di marmo rosato addossato alla parete ed è sormontato da una lunetta con un rapace ad ali spiegate che tiene tra le zampe artigliate e munite di sonagli un lungo nastro, su cui compare il motto «semper» e un anello con un diamante(46). Sotto la lunetta, la specchiatura quadrata marmorea è decorata da una ghirlanda di foglie e ghiande di quercia trattenuta da nastri svolazzanti. Lo specchio rotondo in serpentino al centro inquadra un vaso baccellato con lo stemma dei Medici, posto sopra al bacile. Ai bordi del vaso si arrampicano i corpi degli straordinari animali fantastici caratterizzati da ali di pipistrello uncinate, code di serpente e teste di lupo che gettano acqua. La vasca mostra al centro una testa leonina e ai lati due arpie angolari che risultano essere la commistione di più creature sia reali che fantastiche: rettili per le code squamose, fiere per le zampe e le criniere leonine, draghi per le ali membranose con occhi di pavone.

Le eccellenti doti di orafo, unite a un linguaggio di estrema raffinatezza e al perfetto controllo della fusione, si mostrano nella prima opera documentata di Andrea, il candelabro bronzeo di Amsterdam. Il manufatto, di committenza medicea e realizzato per la cappella della Sala delle udienze in Palazzo vecchio tra maggio e giugno 1468, come conferma la datazione apposta alla base(47), si segnala come un capolavoro di toreutica per lo slancio verticale e per la sobria eleganza dell’insieme. Un passo avanti nella carriera di Verrocchio è rappresentato anche dalla realizzazione di un busto in marmo, ora alla Frick Collection di New York, nel quale si apprezza l’influsso di Desiderio(48) nei tratti affilati mentre il piglio da orafo si manifesta nella decorazione straordinaria dell’abito alla moda e nella descrizione dell’acconciatura.


Lavabo (1468-1472 circa); Firenze, San Lorenzo, Sacrestia vecchia, ricetto laterale.

(43) A. Butterfield, op. cit., pp. 204-205, n. 5; B. Paolozzi Strozzi, Il David del Verrocchio, un capolavoro dopo il restauro, Firenze 2004; D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 45-50; M. L. Nicolai, Il “David” del Verrocchio, considerazioni circa la tecnica, l’approccio metodologico e alcune soluzioni riguardanti il restauro, in “Kermes”, 19, 2006, pp. 39-45.

(44) A. Butterfield, op. cit., p. 20.

(45) D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 50-56. Le fonti lo attribuiscono ad Antonio Rossellino (Albertini), a Donatello e Verrocchio (Billi, Anonimo Magliabechiano, Vasari). Per Passavant (op. cit., pp. 197-198) e Gentilini (op. cit., pp. 25-47) è di Desiderio, mentre per Butterfield del Rossellino con la partecipazione di Andrea nella lunetta (op. cit., pp. 201-201, n. 1).

(46) P. Giovio, Ragionamenti sopra i motti, Venezia 1552, p. 32.

(47) D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 56-60.

(48) A. Butterfield, op. cit., p. 203, n. 4; D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 60-63; F. Caglioti, op. cit., pp. 127-128.

Tra il 1468 e il 1469, Verrocchio doveva essere già molto attivo e si apprestava a iniziare altre numerose e prestigiose commissioni, prima tra tutte il gruppo bronzeo dell’Incredulità di san Tommaso che ha il merito di consacrare Andrea come un artista maturo e di grande successo(49).

L’opera fu commissionata per decorare la nicchia centrale - appartenente all’Arte del Tribunale della mercanzia - nella parete orientale esterna della chiesa fiorentina di Orsanmichele. Sebbene manchi un’attestazione circa la data precisa dell’allocazione della commissione, la grande scultura è la seconda opera documentata appartenente al corpus di Verrocchio. I documenti attestano che Andrea ricevette un primo pagamento il 15 gennaio 1466, anche se Luca Landucci nel suo Diario fiorentino attesta che il gruppo fu posto nel tabernacolo soltanto il 21 giugno 1483. Il gruppo bronzeo fu elogiato dagli eruditi coevi: per il Landucci era la «più bella cosa che si truovi», mentre Raffaello Borghini nel Riposo del 1584 lo definiva «opera di somma bellezza»(50). L’Incredulità di san Tommaso determina il definitivo superamento del limite imposto dalla nicchia a preludio di quella libertà di inserimento nello spazio e della molteplicità di punti di vista da cui poter guardare una scultura che caratterizzeranno d’ora in poi l’opera scultorea di Andrea come risultato magistrale di una riflessione del tutto personale. In parallelo all’esecuzione delle importanti sculture di committenza medicea, Verrocchio doveva occuparsi anche della realizzazione di commissioni che lo presentavano come uno dei tecnologi più ingegnosi del tempo. È l’inventario delle cose lasciate da Andrea nella sua bottega, redatto nel 1496 dal fratello minore Tommaso, a far luce su questo aspetto molto spesso trascurato.


Busto di giovane gentildonna (1468-1472 circa); New York, Frick Collection. Verrocchio orafo si rivela nella decorazione straordinaria dell’abito impreziosito da una fibbia con doppia sagoma fogliacea paripennata. La veste e l’acconciatura concorrono ad affermare lo “statusÓ della giovane raffigurata secondo la moda del tempo.

L’elenco comprendeva anche strumenti come lingotti di stagno, blocchi di cera, della «pietra per fare in gesso», soffietti di diverse dimensioni, un forno metallurgico, stampi per la colata di statue e per fabbricare artiglierie(51). Tali strumenti attestano che la bottega era anche un laboratorio dove poter condurre esperimenti sulle tecniche e sui materiali non soltanto necessari per l’arte, come la preparazione delle materie prime per la pittura o la verifica degli accorgimenti tecnici della fusione per la scultura, ma anche per altri settori specifici per i quali era richiesta una conoscenza approfondita di metallurgia e di chimica applicata. Un controllo incrociato dei documenti, al momento inedito, porta ad attribuire a Verrocchio un’altra opera legata all’Arte della mercanzia e da collocare alla fine degli anni Settanta del Quattrocento: il putto battitore posto sull’orologio realizzato da Lorenzo della Volpaia per la Torre del saggio in piazza del Mercato nuovo a Firenze(52). Negli appunti di Lorenzo si legge che l’orologio era munito di «un putto che batteva le ore, e a piè della sfera si vedeva la palla della Luna che voltando per forza di ingegni, segnava le sue apparenze»(53). Si trattava di un orologio dal meccanismo piuttosto complesso coronato da un putto con la funzione di “jacquemart”, un automa che scandiva le ore, gli anni, l’ingresso dei solstizi e degli equinozi, da identificare proprio con quello che Vasari dice che fu realizzato da Andrea e che, di probabile ascendenza nordica, doveva essere uno dei primi automi applicati a congegni di orologeria a Firenze. Il punto più alto dello sperimentalismo tecnico è però raggiunto da Verrocchio con la commissione della grande sfera in rame(54), il 10 settembre 1468, per la lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore, opera di ingegno del Brunelleschi. Convocato insieme ad altri periti per dare un giudizio su come realizzare la palla, poiché il primo tentativo di fusione non era riuscito, Verrocchio decise di optare per la saldatura di otto fogli di rame messi in forma e poi dorati.


Incredulità di san Tommaso (1466-1483 circa); Firenze, Orsanmichele.


Candelabro (1468); Amsterdam, Rijksmuseum.

Erano necessari studi approfonditi di catottrica, la cui conoscenza era mediata grazie ai testi classici di Tolomeo, Euclide e Archimede e dai compendi di Vitellio, Alhazen, Bacone e Witelo, utilizzati anche da Ghiberti. Si spiega così la presenza nei fogli giovanili di Leonardo di macchine da cantiere e per la lavorazione degli specchi ustori. In particolare, sul foglio 847r del Codice Atlantico il da Vinci disegna una macchina che lui stesso chiama «viticcio di lanterna», ovvero una gru girevole con argano, accanto alla quale schizza un diagramma dell’occhio colpito da raggi luminosi derivato dal De aspectibus di Alhazen, testo già familiare al giovane genio toscano ma poi approfondito dopo il 1508(55). Come ricordato da Luca Landucci(56), il 27 maggio 1471, al momento del suo posizionamento, la palla fu ancorata a un “bottone” in bronzo, disegnato e realizzato da Giovanni di Bartolomeo e Bartolomeo di Cosimo, e fu coronata da una croce, realizzata da Paolo di Matteo. Questo prodigio della tecnica fu posto a oltre cento metri di altezza utilizzando le macchine da cantiere ideate da Brunelleschi: furono, quelli, giorni di intenso lavoro che offrirono una preziosa esperienza ai giovani della bottega verrocchiesca. La grande impresa è ricordata da Leonardo ancora nel 1515 in un foglio del Manoscritto G di Parigi dove si legge il promemoria: «Ricordati delle saldature con che si saldò la palla di Santa Maria del Fiore».


Lanterna della cupola del duomo fiorentino di Santa Maria del Fiore, completata dalla palla in rame (1468-1471) realizzata da Verrocchio e bottega.

(49) A. Butterfield, op. cit., pp. 209-212, n. 8; L. Dolcini, La scultura di Andrea Verrocchio: un itinerario fiorentino, Firenze 1992; Id., Il Maestro di Leonardo: il restauro dell’Incredulità di san Tommaso di Andrea del Verrocchio, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo vecchio, Salone dei cinquecento, 5 dicembre 1992 - 17 aprile 1993; New York, Metropolitan Museum, 16 giugno-26 settembre 1993), a cura di L. Dolcini, Milano 1992; D. A. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 71-87.

(50) Diario fiorentino dal 1450 al 1516 di Luca Landucci continuato da un anonimo fino al 1542, pubblicato sui codici della Comunale di Siena e della Marucelliana, con annotazioni da I. Del Badia, Firenze 1883, p. 45 e R. Borghini, Il Riposo, Reggio 1826, II, p. 103.

(51) D. A. Covi, Four New Documents Concerning Andrea del Verrocchio, in “The Art Bulletin”, 48, 1966, p. 103; A. Bernardoni, Leonardo and the “Chemical Arts”, in “Nuncius”, 27, 2012, pp. 11-55.

(52) Ho ritrovato la notizia, di cui parla anche Vasari (G. Vasari, op. cit., II, p. 593, nota 1 e III, p. 375), anche in: Venezia, Biblioteca nazionale marciana, Mss. Ital., cl. IV, 41 (= Codice Marciano 5363), ff. 18 v, 31 r, 55r (carta non datata). Dice Vasari (II, p. 593, nota 1): «Fu Lorenzo temperatore dell’orologio pubblico dal 1490 al 1494, e poi dal 1500 (nel quale anno fece l’orologio di palazzo) fino al 1511. Parimente temperò quello di Santa Maria del Fiore dal 1497 al 1499, e l’altro della torre del Saggio in Mercato nuovo, rifatto da lui nel 1511». Nella piazza del Mercato Nuovo si trovava un palazzo che ospitava il cosiddetto “Ufficio del saggio”. Il saggio era una carica conferita alla persona preposta a verificare sia il peso e la lega delle monete, sia la qualità della merce contrattata nel vicino mercato. Su questo palazzo doveva trovarsi l’orologio. L’edificio, ancora esistente, ha subito un pesante intervento di riconfigurazione databile al Settecento, un intervento di ripristino nel 1931, seguito da un successivo intervento di restauro degli anni Settanta del Novecento. Si veda: M. Jacorossi, I Palazzi fiorentini. Quartiere di San Giovanni, Firenze 1972, p. 77; P. Bargellini, E. Guarnieri, Le strade di Firenze, Firenze 1977, II, p. 268. Jacorossi così descrive il palazzo: «Un’antichissima torre scapezzata, che appartenne in origine ai Giandonati, venne concessa dalla Signoria alla Mercanzia, la quale vi istituì l’ufficio del Saggio delle monete. […] La Mercanzia trasferì altrove gli Ufficiali del Saggio, e ai primi del XVI secolo cedette la torre a Manno degli Ughi, in cambio di un podere. Dagli Ughi la casa passò poi ai Cavalcanti e agli Zati, poi alle monache di San Pier Maggiore».

(53) S. Taglialagamba, Dal bello all’utile e viceversa, in I cento disegni più belli dalle raccolte di tutto il mondo: macchine e strumenti scientifici, scelti e ordinati da C. Pedretti, con l’assistenza di S. Taglialagamba, Firenze 2014, p. 211 e note relative. Il documento è in: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Miscellanea Palagi, II, I, 462, Ins. I, f. 6. Estratto da: Archivio di Stato di Firenze, Mercanzia vol. 1406, dal 1508 al 1521 (debitori e creditori segnato F), c. 91 (in data 1511). Nella trascrizione si legge che Lorenzo dichiara di avere «a di primo d’aghosto» per «un oriuolo in mercato nuovo con contrappesi di piombo con ruote e ferramenti fanno voltare la palla luna a pié della spera di detto oriuolo». Si veda in particolare: Venezia, Biblioteca nazionale marciana, Mss. Ital., cl. IV, 41 (= Codice Marciano 5363), ff. 27 v-28 r dove sono descritti i computi per l’orologio ma non il putto battitore. In un appunto di sua mano (Venezia, Biblioteca nazionale marciana, Mss. Ital., cl. IV, 41) Benvenuto, figlio di Lorenzo, afferma di avere aggiustato l’orologio in data 9 maggio 1521 poiché alla morte del padre, nel 1512, insieme alla bottega, passarono a Benvenuto anche gli incarichi paterni di temperatore, ovvero la carica della persona che controllava, restaurava e rendeva funzionanti gli orologi pubblici.

(54) C. Guasti, La cupola di Santa Maria del Fiore, illustrata con i documenti di archivio dell’Opera Secolare, Firenze 1857, pp. 111-113; D. A. Covi, Verrocchio and the Palla of the Duomo, in Art the Ape of Nature, Studies in honor of H. W. Janson, a cura di M. Barasch, New York 1981, p. 151; Id., Andrea del Verrocchio. Life and Works, cit., pp. 63-69.

(55) C. Pedretti, The Codex Atlanticus of Leonardo da Vinci. A catalogue of its restored sheets, New York 1978, II, p. 144; Id., Leonardo architetto, Milano 1978, pp. 11-18; F. Fiorani, Leonardo’s optics in 1470s, in Leonardo da Vinci and optics, a cura di F. Fiorani e A. Nova, Venezia 2013, pp. 265-292.

(56) Diario fiorentino dal 1450 al 1516 di Luca Landucci…, cit., p. 10.

VERROCCHIO
VERROCCHIO
Sara Taglialagamba
La presente pubblicazione è dedicata a Verrocchio. In sommario: L'orafo, il pittore, lo scultore, il tecnologo; Le prime commissioni a Firenze; Il viaggio a Venezia, la pittura e le opere scultoree degli anni Settanta; Il monumento equestre al Colleoni e un'opera tarda; Verrocchio e l'anatomia. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.