Studi e riscoperte. 2
Brueghel il Vecchio, i ciechi e la cuccagna

i due voltidella stoltezza

Ammonimenti e ammaestramenti morali pervadono i dipinti di Brueghel, in sintonia con la cultura fiamminga, i suoi proverbi e le sue farse popolari. Due delle sue opere, in particolare, ci mostrano con chiarezza la capacità dell’artista di passare dal registro comico a quello tragico.

Ettore Janulardo

Nel Paese della cuccagna, olio su tavola firmato e datato al 1567, Pieter Brueghel il Vecchio s’ispira alla farsa del 1530 Schlaraffenland di Hans Sachs (1494- 1576), da cui è tratta una versione in prosa pubblicata ad Anversa nel 1546. Affabulazione ultramillenaria di un terrestre paradiso della gola e del vizio, l’immagine della terra di cuccagna attraversa le epoche e, dal mito dell’età dell’oro e dai “fabliaux”(1), trova nella Bengodi di Boccaccio, priva di connotazioni moralistiche, un compiuto paradigma dell’alimentazione italiana(2). Con questa topografia del desiderio, e attraverso riferimenti a detti e tradizioni popolari delle Fiandre - già presenti nella tavola dei Proverbi fiamminghi (1559)(3)-, Brueghel rappresenta qui, in chiave comico-grottesca, la terra della ghiottoneria e della pigrizia, ove riposano sazi un chierico, un contadino, un militare. Indefinito spazio dell’immaginario etico-favolistico, è un territorio da raggiungere aiutandosi con i rami di un albero, come raffigurato all’estremità destra del dipinto: un uomo si cala in questo giardino di delizie gastronomiche caratterizzato da forme rotonde e strutturato da cibi che si offrono spontaneamente agli avventori, mentre in alto a sinistra un soldato, a bocca aperta, è al di sotto di un rifugio ricoperto di torte, illustrazione di un benessere apportatore di stoltezza. Con tratti degni della visionarietà di Hieronymus Bosch, Brueghel infarcisce la scena del Paese della cuccagna di cibarie semoventi a disposizione di chi le desideri: un maialino avanza con un coltello che gli sta affettando il dorso; un’oca si adagia su un vassoio d’argento; un uovo dotato di zampette è aperto e parzialmente consumato. 

Quest’olio su tavola rientra in un filone moralistico di scene, incise o dipinte, ove si rappresentano stoltezze e ingenuità di un’umanità elementare e primigenia. In due incisioni databili al 1563 - la Cucina magra e la Cucina grassa, equivalente in interni del Paese della cuccagna, tratte da disegni di Brueghel -, Pieter van der Heyden e Hieronymus Cock definiscono un dittico sull’alimentazione. Se la Cucina magra evidenzia la povertà come disvalore estetico che non sembra impedire forme di compartecipazione e di umana solidarietà, la Cucina grassa mette in scena un equivalente in interni del Paese della cuccagna, ove anche i cani sono sovrappeso e aiutano a scacciare un mendicante che vorrebbe entrare in casa.


Pieter Brueghel il Vecchio, Paese della cuccagna (1567), particolare, Monaco, Alte Pinakothek.


Pieter Brueghel il Vecchio, Parabola dei ciechi (1568), Napoli, Museo di Capodimonte.

(1) Cfr. Le fabliau de Cocagne, metà del XIII secolo.
(2) Cfr. Giovanni Boccaccio, Decameron, giornata VIII, novella 3a.
(3) Più limitate raffigurazioni con intenti moralistici di proverbi popolari fiamminghi erano già presenti in Hieronymus Bosch – si pensi alla tavola dei Sette peccati capitali – o nello stesso Brueghel (Dodici proverbi, 1558, attribuito).

Un filone moralistico di scene
ove si rappresentano stoltezze
e ingenuità di un’umanità
elementare e primigenia


Nell’anno di realizzazione del Paese della cuccagna, 1567, don Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel, terzo duca d’Alba, è inviato da Filippo II come governatore generale nei Paesi Bassi spagnoli. Autore di durissime repressioni nei confronti degli insorti contro il potere imperiale, che non fermeranno il percorso verso l’indipendenza delle Province Unite, sarà tristemente conosciuto come il Duca di Ferro e personificazione di un tragico trionfo della morte. 

E all’insegna di una esemplare tragicità si situa la tempera su tela della Parabola dei ciechi, firmata e datata al 1568. Dopo aver già rappresentato l’episodio nei Proverbi fiamminghi del 1559 - con un gruppo di tre uomini in fila, nella parte alta a destra del dipinto, non esposti a immediato pericolo -, Brueghel riprende il passo 15, 14 del Vangelo di Matteo - «Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» -, isolando del tutto i sei in fila, abbandonati a se stessi e in procinto di cadere. Il primo, anzi, è già raffigurato di scorcio nel fossato, rovesciato sulla schiena e destinato a ricevere il peso del secondo cieco che sta precipitando su di lui e degli altri che seguiranno. La linea obliqua costituita dai sei ciechi caratterizza e taglia diagonalmente la composizione, riempiendo lo spazio dell’opera ma accentuando nel contempo il loro drammatico isolamento e la loro fragilità, resi pittoricamente attraverso le successive concatenate fasi della caduta. E l’espressione persa che li contraddistingue non ha nulla del comico-grottesco presente in altri personaggi, ma definisce il mutarsi della scena, sotto il nostro sguardo, da episodio quotidiano a simbolo di un destino tragico. 

Nelle due metà del dipinto divise dalla diagonale dei ciechi il piano simbolico della visione è accentuato dalla ripetuta presenza di forme triangolari: i mantelli, soprattutto dei due ultimi personaggi, i tetti delle abitazioni sulla sinistra e l’intero edificio ecclesiastico, raddoppiato nella sua “triangolarità” dal campanile, tendono verso l’alto. Nella metà inferiore del dipinto prevalgono invece diagonali e triangoli che puntano verso il basso e verso la negatività del fossato, rafforzando il senso di tragico allontanamento dalle architetture salvifiche della chiesa sullo sfondo: né il bastone del quarto cieco né il suo viso rivolto ignaro verso l’alto possono consentire alcuna salvezza, alcun avvicinamento all’edificio religioso. 

Opera della piena maturità bruegheliana, la Parabola dei ciechi si allontana dal formicolante brulichio di altre composizioni del fiammingo per senso della misura e tragica monumentalità: i sei ciechi dominano la scena, a loro volta condizionati da ciò che ignorano e non vedono. La diagonale lungo la quale si muovono i personaggi può simbolicamente interpretarsi come una sorta di “pomerium” che separa la “civitas Dei” della chiesa e delle vicine abitazioni dal luogo ctonio verso il quale “precipitano” i ciechi, impossibilitati a cogliere la natura divergente del proprio errare. La valenza metafisica della Parabola di Brueghel si evidenzierebbe anche attraverso la lettura del passo 8, 22-26 del Vangelo di Marco, ove individuiamo alcuni degli elementi raffigurati dall’artista - il cieco, il villaggio, gli uomini come alberi in movimento, il restar fuori dall’abitato - e leggiamo: «Giunsero a Betsaida, dove gli [a Gesù] condussero un cieco pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano e lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. 

Quegli, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: “Non entrare nemmeno nel villaggio”». 

Che si sia di fronte a un “luogo” fatto di alimenti e immobilità o a un paesaggio campestre all’insegna di una metafisica parabola, non resta che tentare di riconoscere, come scrive il filosofo Roberto Esposito, «il significato profondo della vita al di là della linea del nulla che, prima o poi, è destinata ad avvolgerci tutti»(6).


Pieter van der Heyden e Hieronymus Cock, La Cucina magra (1563), Cassel, Musée Départemental de Flandre.


Pieter van der Heyden e Hieronymus Cock, La Cucina grassa (1563), Cassel, Musée Départemental de Flandre.


Abraham van Beyeren, Natura morta (metà del XVII secolo), una delle opere in mostra al Forte di Bard.

(6) R. Esposito, Siamo tutti Don Chisciotte, in “La Repubblica”, 23 gennaio 2013.

IN MOSTRA
La pittura dell’età di Brueghel è in mostra al Forte di Bard (Valle d’Aosta) fino al 2 giugno prossimo. La mostra Golden Age. Jordaens, Rubens, Brueghel comprende 114 dipinti della collezione Hohenbuchau, normalmente esposti nella raccolta del principe del Liechtenstein a Vienna (che per l’occasione ha integrato la mostra con altri dipinti della raccolta stessa). Si tratta di una preziosa antologia della pittura fiamminga (e in parte olandese) del XVI-XVII secolo: nature morte, paesaggi, scene di genere, opera, oltre che dei maestri citati nel titolo, di Snyders, Van Beyeren, Van Everdingen, Dou, Van Ruisdael, Van Dyck. Telefono 0125-833811; orario 10-18, sabato, domenica e festivi 10-19, chiuso il lunedì, www.fortedibard.it.

ART E DOSSIER N. 332
ART E DOSSIER N. 332
MAGGIO 2016
In questo numero: LA VERTIGINE DELL'ACCUMULO Wunderkammer e collezionismi seriali. LA CUCINA E' ARTE?. BENI CULTURALI: il punto sulla riforma. EROINE E CONCUBINE: il mondo di Delacroix in mostra a Londra. IN MOSTRA Boccioni a Milano, Imagine a Venezia, Dimitrijevic a Torino.Direttore: Philippe Daverio