Impossibile non associare questa descrizione con l’immagine icona La libertà che guida il popolo, dove Delacroix rappresenta la celeberrima donna del popolo che sbandiera il vessillo della libertà della Repubblica francese. È l’opera più famosa del pittore, realizzata nel 1830 per celebrare gli insorti a Parigi contro Carlo X. Ma la mostra londinese si concentra su altri dipinti: i naufragi, i temi biblici, le grandi mitologie, le beltà nordafricane, con una sessantina di capolavori che hanno ispirato “tutti”: impressionisti, postimpressionisti, simbolisti e fauves alla ricerca di nuovi orientamenti. Possibile che il realista Courbet non abbia guardato, magari con la coda dell’occhio, al romantico Delacroix? E le tele dei viaggi algerini di Théodore Chasserieu avrebbero potuto esistere senza gli interni marocchini di Delacroix? C’è chi lo cita indirettamente, e chi lo fa proprio replicando, a suo modo, i suoi dipinti. L’ha fatto Manet nel 1854 con una versione di La barca di Dante dipinta da Delacroix nel 1822, dopo aver visto a sua volta La zattera della Medusa di Théodore Géricault. Il quadro di Delacroix, che illustra il canto VIII dell’Inferno, fu criticato al Salon di Parigi per l’eccessiva passionalità e lo stile poco aderente alle regole imposte dall’Accademia, anche se poi l’opera fu acquistata dallo Stato francese.
La mostra londinese ospita molte opere di artisti influenzati in modi diversi da Delacroix: oltre a Bazille con l’esotico La toilette, c’è Van Gogh con una scarna Pietà (da Delacroix) del 1889, L’apoteosi di Delacroix di Cézanne del 1890, e uno studio per Lusso, calma e voluttà di Matisse. Delacroix fu tutta la vita al centro di sentimenti ambivalenti, criticato dagli accademici e molto amato dai giovani artisti che cominciavano il mestiere cercando di emularlo. Uomo altero, bello, colto (lo si vede nel magnetico autoritratto del 1837), fu pittore e anche scrittore, ci ha lasciato un diario (Journal), uno zibaldone di notizie, idee sull’arte e curiosità piccanti sulla sua vita d’artista.
Nato a Charenton, nei pressi di Parigi, nel 1798, Ferdinand- Victor-Eugène Delacroix rimane orfano a sedici anni, i suoi tutori lo indirizzano agli studi classici e alla pittura. Diventa allievo del neoclassico Jacques-Louis David, ma adora il disordine e lo sfarzo della tavolozza del fiammingo Rubens, e ama soprattutto la pittura del suo amico Théodore Géricault, apripista della pittura romantica. Nel 1825, in Inghilterra, frequenta gli studi di Thomas Lawrence e Richard Parkes Bonington e qui dipinge il suo unico ritratto a figura intera per Louis-Auguste Schwiter, e inizia a interessarsi a temi emozionanti, dove violenza e sensualità s’incontrano con un gusto eccelso per il macabro. Piccoli, meravigliosi orrori s’insinuano nella sua pittura. è in questo senso che realizza La morte di Sardanapalo, dipinto al tempo stesso attraente e irritante che ritrae il re assiro impassibile mentre i suoi soldati massacrano servi, concubine, animali, perché ogni cosa amata nella vita muoia con lui.
In mostra è esposta una replica del 1846 che Delacroix dipinse per se stesso. Altre opere sono più spiccatamente orientaliste, influenzate anche dal viaggio compiuto in Marocco nel 1832, del quale restano diversi album di schizzi che prefigurano numerosi dipinti successivi: La festa araba, Festa di nozze ebraiche in Marocco, I fanatici di Tangeri, l’animata Caccia al leone, dipinta nel 1861, due anni prima di morire. Sono opere che indussero artisti giovani come Renoir, Gauguin, Matisse (che godranno di maggiore celebrità del maestro) a cimentarsi in repliche.