Mentre queste vicende colpivano il Museo Settala nelle sue collezioni, nel corso del tempo un giudizio pesantemente negativo l’aveva colpito nella sua natura e nella sua identità.
Nel 1908, infatti, Julius Schlosser nel suo fondamentale Raccolte d’arte e di meraviglie del tardo Rinascimento scrisse che il Museo Settala era «il più vicino ai caratteri delle collezioni tedesche», a loro volta assimilate ai «romanticismi da cucina delle streghe».
E il giudizio fu ribadito ottant’anni dopo dagli studi di Giuseppe Olmi, che individuò nella “curiosità” il centro della raccolta settaliana. Olmi, inoltre, rincarò la dose considerando un elemento pesantemente negativo anche la posizione sociale di Manfredo e il fatto che egli, a differenza di Aldrovandi o di Calzolari, non fosse un medico o un farmacista (e in questo Olmi non si rese conto che mentre Aldrovandi o Calzolari erano collezionisti a tempo perso, Manfredo Settala era “direttore” del suo museo a tempo pieno).
Giudizi del genere, naturalmente, erano in parte fondati. Ma solo ed esclusivamente su un’analisi superficiale dei cataloghi a stampa della raccolta. Schlosser e Olmi, infatti, ignoravano i sette volumi mezzani (ne sono stati individuati solo cinque) che costituivano il catalogo illustrato del museo e presentavano una classificazione dei reperti molto poco barocca. Soprattutto le note manoscritte dello stesso Manfredo a commento delle immagini degli oggetti mostrano come il collezionista lavorasse a studiare e a classificare i reperti e come prendesse nota delle sue attività tecnico-scientifiche.
Il Museo Settala, disposto nell’avito palazzo di via Pantano, comprendeva oltre cinquemila oggetti, che spaziavano dall’arte e dall’artigianato (quadri, statue, produzioni di gusto barocco), all’archeologia, alle scienze naturali, all’etnografia, agli strumenti allora di maggiore interesse tecnologico (orologi, strumenti di precisione), ai reperti che erano il risultato della personale sperimentazione tecnico-scientifica di Manfredo (oggetti torniti, specchi ustori e altro).
La collezione si era andata formando verso il 1630, dopo un viaggio nel Vicino Oriente, dal quale Manfredo era tornato con antichità egizie e parti di una mummia.
Da allora, pur ricoprendo la carica di canonico di San Nazaro, o forse grazie a essa, poté dedicarsi totalmente alla sua attività di collezionista e alle sue ricerche.
Il Museo Settala naturalmente era espressione del suo tempo, pertanto molti oggetti e gli stessi cataloghi a stampa molto concedevano alla ricerca della meraviglia. Tuttavia, le glosse di Manfredo ai codici illustrati e la sua corrispondenza con Redi, Magliabechi, Kircher e Oldenburg dimostrano chiaramente che egli concepiva la sua raccolta come un centro di ricerca. Da questo punto di vista particolarmente interessanti furono i suoi tentativi di produrre la porcellana dura. Non è noto se Manfredo raggiunse l’obiettivo, dato che il vaso che aveva realizzato imitando il blu su bianco delle produzioni cinesi è andato perduto. Certo è che nel 1676 Ehrenfried Walther von Tschirnhaus, l’inventore della porcellana dura europea, venne a Milano appositamente per incontrare Manfredo.
Altrettanto importanti furono le sue ricerche preetnografiche. Infatti, a differenza di quanto avveniva in quasi tutte le raccolte europee del tempo, nel Museo Settala i reperti americani, africani, asiatici non erano genericamente inseriti tra i “curiosa”, ma erano individuati nella loro specificità ed erano suddivisi per aree tematiche con un’impostazione ormai comparativistica. Tuttavia, al contrario dei suoi contemporanei Athanasius Kircher o Lorenzo Pignoria che cercavano di spiegare le caratteristiche delle culture lontane nello spazio (India e Cina) utilizzando le categorie interpretative che servivano per studiare società lontane nel tempo (l’antico Egitto), Settala non si cimentò in avventate teorizzazioni e si limitò allo studio dei singoli reperti, di quella che oggi si chiama la cultura materiale, evitando quella lettura simbolica dell’oggetto, tipica del Cinquecento e del Seicento e presente anche in scienziati come Aldrovandi.