La nuova elaborazione
del ritratto e della figura, il colore
come «sentimento e musica»
La mostra attuale riunisce oltre trecento opere tra disegni, dipinti, sculture, foto d’epoca, libri, riviste, documenti, di Boccioni e di altri artisti, giunte da collezioni e archivi milanesi, da musei italiani, europei, americani e giapponesi. Progettata dal Gabinetto dei disegni della Soprintendenza del Castello sforzesco, è prodotta e organizzata da Castello sforzesco, Museo del Novecento e Palazzo reale di Milano, curata da Francesca Rossi e Agostino Contò. Fiore all’occhiello è il corpus completo dei sessanta disegni e pastelli del Castello sforzesco, un nucleo eccezionale, esposto solo una volta al PAC - Padiglione d’arte contemporanea di Milano nel 1979, che permette di seguire attraverso gli studi preparatori di dipinti e sculture lo sviluppo artistico di Boccioni dal 1906 al 1916. Si tratta di un nucleo caratterizzato da un vasto campionario di tecniche esecutive, in gran parte ritrovato nell’atelier dell’artista alla sua morte. Passato alla madre, alla sorella e ad alcuni amici, era entrato al Castello sforzesco fornendo la più antica collezione museale di opere di Boccioni insieme ai dipinti conservati al Museo del Novecento di Milano. Al gruppo appartengono alcuni Dinamismi riferibili alle sperimentazioni dell’artista nella scultura dal 1912, sui quali il giovane Roberto Longhi fece alcune annotazioni critiche. Nel 1914 infatti lo storico pubblicava nelle edizioni della Libreria della “Voce” un lungo articolo dal titolo Scultura futurista di Boccioni, in cui esaltava la distanza della sua arte dalla staticità formale del cubismo: «La compenetrazione dei piani, che nel Cubismo non è spesso che un arbitrario prolungamento lineare, in lui è vera e propria compenetrazione materiata di piani colorati, vibranti, pulviscolari, atomici».
Ma quando il critico scriveva il suo giudizio, Boccioni aveva percorso quasi tutto il suo breve ma ricchissimo arco di vita e attività. Era passato dal disegno dal vero, sperimentato a Roma con Severini, al divisionismo di Balla, dalle assimilazioni delle novità parigine nel 1906 al soggiorno russo nello stesso anno, dalla Scuola libera del nudo a Venezia nel 1907 all’allontanamento dalla poetica divisionista di Balla e dello studio oggettivo del paesaggio e della figura, sino a una «pittura di stati d’animo» in linea con Gaetano Previati nel 1908. «Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale. Sono nauseato di vecchi muri, di vecchi palazzi, di vecchi motivi di reminiscenze: voglio avere sott’occhio la vita d’oggi». Di Balla rimaneva la trama luminosa, ma intanto Boccioni cercava il «nuovo, l’espressivo, il formidabile!». E anche gli strumenti: «Col colore? O col disegno? Con la pittura? Con tendenze veriste che non mi soddisfano più, con tendenze simboliste che non ho mai tentato? Con un idealismo che mi attrae e che non so concretare?». Poi ci sarebbe stata l’esperienza futurista nel 1909 e 1910 con Marinetti e tutto il gruppo, i vari Manifesti, la ricerca della «sensazione dinamica», la nuova elaborazione del ritratto e della figura, il colore come «sentimento e musica», la pittura come veicolo di emozioni. E poi dal 1912 la scultura futurista e altro ancora. Insomma una ricerca febbrile e ansiosa da parte di un’«anima avventurosa e inquieta di lottatore», come lo definisce Marinetti nel catalogo della personale a Ca’ Pesaro di Venezia nel luglio del 1910.