Grandi mostre. 3
Boccioni a Milano

forme multipledella modernità

Ha vissuto solo trentaquattro anni ma è riuscito a realizzare un’enorme quantità di opere tra dipinti, sculture, disegni.
A cent’anni dalla sua morte Palazzo reale omaggia Umberto Boccioni con un’esposizione che mette in luce la sua ostinata attitudine alla ricerca e alla sperimentazione.

Maurizia Tazartes

«Possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottambulismo, alle figure febbrili del viveur, della cocotte, dell’apache e dell’alcolizzato?» recitava il Manifesto dei pittori futuristi. E tra loro, a dirlo e farlo, c’era quel genio della modernità, Umberto Boccioni. Un artista che, come gli amici futuristi, cercava un’arte nuova e voleva imprimervi il fremito della vita delle grandi città, delle nuove scoperte scientifiche, della velocità, del dinamismo, della simultaneità delle visioni. Un artista vissuto pochissimo, solo trentaquattro anni, dal 1882 al 1916, ma che ha prodotto una quantità di opere, disegni, dipinti, sculture, di grande fascino e originalità. 

Un ricercatore appassionato, un innovatore, che ci avrebbe riservato ancora sorprese, se la morte non lo avesse colto improvvisamente, per una caduta da cavallo, a Sorte di Verona il 16 agosto 1916. Ora, a distanza di cento anni, Milano lo ricorda con una grande mostra a Palazzo reale, aperta dal 23 marzo al 10 luglio. Un risarcimento, perché, dopo la ricca rassegna organizzata da Marinetti a palazzo Cova di Milano nel 1916-1917 in seguito alla scomparsa, la fortuna espositiva di Boccioni sembra rallentarsi in Italia. Dopo alcune retrospettive negli anni Venti, l’importante mostra del 1947 a Milano a cura di Raffaele Carrieri, la romana curata da Giulio Carlo Argan nel 1953, la Biennale di Venezia del 1950, bisogna arrivare gli anni Ottanta/Novanta per imbatterci in esposizioni su alcuni aspetti dell’attività dell’artista e al 2006-2007 per Boccioni: pittore, scultore futurista al Palazzo reale di Milano, mentre negli Stati Uniti i riconoscimenti sono stati maggiori.


Le opere illustrate in questo articolo, dove non diversamente indicato, sono di Umberto Boccioni. Elasticità (1912), Milano, Museo del Novecento.

La nuova elaborazione
del ritratto e della figura, il colore
come «sentimento e musica»


La mostra attuale riunisce oltre trecento opere tra disegni, dipinti, sculture, foto d’epoca, libri, riviste, documenti, di Boccioni e di altri artisti, giunte da collezioni e archivi milanesi, da musei italiani, europei, americani e giapponesi. Progettata dal Gabinetto dei disegni della Soprintendenza del Castello sforzesco, è prodotta e organizzata da Castello sforzesco, Museo del Novecento e Palazzo reale di Milano, curata da Francesca Rossi e Agostino Contò. Fiore all’occhiello è il corpus completo dei sessanta disegni e pastelli del Castello sforzesco, un nucleo eccezionale, esposto solo una volta al PAC - Padiglione d’arte contemporanea di Milano nel 1979, che permette di seguire attraverso gli studi preparatori di dipinti e sculture lo sviluppo artistico di Boccioni dal 1906 al 1916. Si tratta di un nucleo caratterizzato da un vasto campionario di tecniche esecutive, in gran parte ritrovato nell’atelier dell’artista alla sua morte. Passato alla madre, alla sorella e ad alcuni amici, era entrato al Castello sforzesco fornendo la più antica collezione museale di opere di Boccioni insieme ai dipinti conservati al Museo del Novecento di Milano. Al gruppo appartengono alcuni Dinamismi riferibili alle sperimentazioni dell’artista nella scultura dal 1912, sui quali il giovane Roberto Longhi fece alcune annotazioni critiche. Nel 1914 infatti lo storico pubblicava nelle edizioni della Libreria della “Voce” un lungo articolo dal titolo Scultura futurista di Boccioni, in cui esaltava la distanza della sua arte dalla staticità formale del cubismo: «La compenetrazione dei piani, che nel Cubismo non è spesso che un arbitrario prolungamento lineare, in lui è vera e propria compenetrazione materiata di piani colorati, vibranti, pulviscolari, atomici».

Ma quando il critico scriveva il suo giudizio, Boccioni aveva percorso quasi tutto il suo breve ma ricchissimo arco di vita e attività. Era passato dal disegno dal vero, sperimentato a Roma con Severini, al divisionismo di Balla, dalle assimilazioni delle novità parigine nel 1906 al soggiorno russo nello stesso anno, dalla Scuola libera del nudo a Venezia nel 1907 all’allontanamento dalla poetica divisionista di Balla e dello studio oggettivo del paesaggio e della figura, sino a una «pittura di stati d’animo» in linea con Gaetano Previati nel 1908. «Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale. Sono nauseato di vecchi muri, di vecchi palazzi, di vecchi motivi di reminiscenze: voglio avere sott’occhio la vita d’oggi». Di Balla rimaneva la trama luminosa, ma intanto Boccioni cercava il «nuovo, l’espressivo, il formidabile!». E anche gli strumenti: «Col colore? O col disegno? Con la pittura? Con tendenze veriste che non mi soddisfano più, con tendenze simboliste che non ho mai tentato? Con un idealismo che mi attrae e che non so concretare?». Poi ci sarebbe stata l’esperienza futurista nel 1909 e 1910 con Marinetti e tutto il gruppo, i vari Manifesti, la ricerca della «sensazione dinamica», la nuova elaborazione del ritratto e della figura, il colore come «sentimento e musica», la pittura come veicolo di emozioni. E poi dal 1912 la scultura futurista e altro ancora. Insomma una ricerca febbrile e ansiosa da parte di un’«anima avventurosa e inquieta di lottatore», come lo definisce Marinetti nel catalogo della personale a Ca’ Pesaro di Venezia nel luglio del 1910.


Autoritratto (1909);


La madre (1911).

Interno con due figure femminili (1915). Le tre opere sono conservate a Milano nel Civico Gabinetto dei disegni del Castello sforzesco.


Giacomo Balla, La fidanzata a villa Borghese (1902), Milano, Galleria d’arte moderna.

Una trama di vibrazioni
e tessiture luminose,
una «pittura degli stati d’animo»


Un percorso intenso che la mostra testimonia, attraverso documenti e opere, in due grandi sezioni, la prima dedicata alla “formazione”, la seconda alla “pratica e teoria di Boccioni futurista”, cioè alle teorie espresse dall’artista in scritti programmatici e alla loro applicazione nel disegno, pittura e scultura. A condurre idealmente il visitatore è lo stesso artista presente con l’Autoritratto del Castello sforzesco e con i tre Diari, scritti tra il 1907 e il 1908, concessi in prestito straordinario dalla Getty Research Institute Library di Los Angeles. L’itinerario, cronologico-tematico, si apre con opere divisioniste di Balla come La fidanzata a villa Borghese collocata a fianco della Campagna romana o meriggio del 1903 di Boccioni, per sottolineare l’alunnato del secondo presso il primo. Prosegue incrociando artisti e movimenti con i quali l’artista ha avuto scambi o da cui è stato influenzato nell’ambito di una cultura complessa, che va da opere rinascimentali (copie da Raffaello, dipinti leonardeschi, xilografie di Dürer) al tardo Ottocento di Vincenzo Vela e Auguste Rodin sino al cubismo di Picasso. Non mancano testimonianze impressioniste ed espressioniste incontrate da Boccioni tra Venezia e Milano ed esempi di Segantini, Previati e Fornara, ammirati nel 1907 alla Biennale di Venezia e al Salon parigino des Peintres Divisionnistes Italiens. E poi i capolavori stessi dell’artista, molti citati nei Diari, come Veneriamo la madre del 1907-1908, Ritratto di Innocenzo Massimino, l’Autoritratto di Brera, il Romanzo di una cucitrice, tutti del 1908, Tre donne del 1909-1910. Opere che dal 1909 mettono alla ribalta anche la città con le sue periferie, le officine (Officine a Porta Romana, 1910), i condomini e le case in costruzione con i loro ponteggi in strade desertiche battute da qualche carro e cavallo, come nello sfondo dello splendido Autoritratto di Brera del 1908. La tecnica è ancora divisionista, una trama di vibrazioni e tessiture luminose, che stanno per trasformarsi in una «pittura degli stati d’animo» alla maniera di Previati. I contenuti sono quelli della vita moderna, delle piazze affollate, delle industrie, dei sentimenti e delle emozioni. 

Soggetti che troveranno una loro nuova interpretazione, insieme ad altri, nel futurismo con la sua forza di abbattimento del passato e la sua rivoluzionaria visione del mondo nel suo continuo divenire. Vediamo così Forze di una strada, Elasticità in cui l’artista rappresenta la sensazione del cavaliere che asseconda il ritmo del cavallo al trotto. Materia del 1912-1913, la “grande madre” che nell’animo del pittore assomma il significato della totalità cosmica e una proiezione della coscienza in una realtà in continua trasformazione, resa attraverso una complessa ricerca plastica e cromaticoluminosa. E ancora Antigrazioso, in pittura e scultura, che sintetizza la polemica futurista contro il bello tradizionale, gli oli su tela con immagini fortemente dinamiche Cavallo+case+cavaliere, Dinamismo di un ciclista e Forme uniche della continuità nello spazio, del 1913.


Forme uniche della continuità nello spazio (1931), Milano, Museo del Novecento. Il calco è stato realizzato da Boccioni nel 1913.


Giovanni Segantini, Angelo della vita (1894), Milano, Galleria d’arte moderna.


Antigrazioso (1950-1951), New York, Metropolitan Museum of Art. Il calco è stato realizzato da Boccioni nel 1913.

Umberto Boccioni (1882-1916). Genio e memoria

a cura di Francesca Rossi e Agostino Contò
Milano, Palazzo reale, piazza Duomo 12
fino al 10 luglio
orario 9.30-19.30, giovedì 9.30-22.30, lunedì 14.30-19.30
catalogo Electa
www.palazzorealemilano.it

ART E DOSSIER N. 332
ART E DOSSIER N. 332
MAGGIO 2016
In questo numero: LA VERTIGINE DELL'ACCUMULO Wunderkammer e collezionismi seriali. LA CUCINA E' ARTE?. BENI CULTURALI: il punto sulla riforma. EROINE E CONCUBINE: il mondo di Delacroix in mostra a Londra. IN MOSTRA Boccioni a Milano, Imagine a Venezia, Dimitrijevic a Torino.Direttore: Philippe Daverio