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olyMpus

Jan Fabre è insonne, di notte legge e scrive nella vasca da bagno. Ogni tanto, raramente, si addormenta. È stato durante una di queste letture notturne, Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso, che ha pensato a Mount Olympus, una maratona di ventiquattro ore durante la quale lo spettatore viene portato in un percorso attraverso la storia e i miti greci, trascinato emotivamente in un catartico rituale dionisiaco dei nostri giorni. Il 31 gennaio 2016, al teatro Bourla di Anversa, da un palco di proscenio, ho assistito, quindi partecipato, a questo viaggio, coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso. Ecuba, Odisseo, Edipo, Ercole, Agamennone, Elettra, Medea, Antigone, solo per ricordare alcuni dei personaggi, sono diretti in scena da Dioniso, maestro di cerimonia ironico e saggio, alchimista e visionario, che riesce a creare, nonostante tutte le tragedie ascoltate, viste e vissute, un’atmosfera di rinascita e di purificazione. Jan Fabre è anche l’erede dei pittori fiamminghi, antichi e moderni. Ecco dunque uscire dalle tavole di Hieronymus Bosch delle figure che si muovono sul palcoscenico del teatro Bourla, arrivate direttamente dal Giardino delle delizie, quindi dal Museo del Prado, a Madrid. Oppure, altro- 32 ve, compare il sabba delle streghe di Ensor. La colonna sonora varia da Je t’aime moi non plus di Serge Gainsbourg e Jane Birkin a dei ritmi che sembrano un omaggio al Congo e alla sua musica. Agli attori, ai danzatori, viene chiesto di superare il muro del suono della stanchezza. «O uomo, viaggia da te stesso in te stesso», scriveva in lingua persiana il poeta Rumi nel XIII secolo. Fondatore della confraternita sufi dei dervisci rotanti, quando crollava a terra dopo tanto girare, quasi in trance, dettava poesie al suo cameriere che era lì, pronto a captarne i pensieri liberi. Anche sul palcoscenico di Anversa, attrici e attori, danzatrici e danzatori sono a volte crollati per terra esausti in una sorta di estasi da sfinimento. Questi guerrieri della bellezza dell’“esercito” Troubleyn hanno studiato ciò che stanno recitando.

È da sei anni che questo spettacolo è in preparazione: «may we all die for victory», proferiscono più volte. Ogni possibile ramificazione della sfera sessuale è rappresentata. «Enough is enough», grida qualcuno degli attori. L’orgasmo, con le sue voci, spesso riempie seriamente la scena, altre volte è preso in giro come nella recita di Meg Ryan di fronte a Billy Cristal nel film Harry ti presento Sally (1989). E mentre si consumano i drammi di Edipo e di Medea, si assiste all’evoluzione dal verso alla parola. Duecentomila anni in un quarto d’ora, dai suoni onomatopeici dell’uomo di Neanderthal, peraltro molto espressivi, alle frasi compiute. Jan Fabre è uomo che non dimentica. Come non dimentica i genitori, lo zio, il fratello maggiore, le due tartarughe della sua infanzia, gli amici e il Congo, così non dimentica l’eroe, figura che va a pescare con la lente d’ingrandimento nelle pieghe della storia. Si tratta di quelle persone, spesso note a pochi, grazie alle quali siamo ancora vivi e liberi. È Fabre che dà loro voce: «La parola eroe vi offende perché vi ricorda la verità». Tutti veniamo, se non altro psicanaliticamente, dalla tragedia greca e mentre Agamennone e Aiace si mostrano a noi, Bacco chiude la maratona dicendo: «Truth is madness» (la verità è follia). Ma Jan Fabre ha fatto più volte ripetere ai suoi attori: «Give me all the love you got» (dammi tutto l’amore di cui sei capace).


FABRE
FABRE
Jean Blanchaert
La presente pubblicazione è dedicata a Jan Fabre. In sommario: L'imprinting artistico: il mito famigliare e la strada; Gli insetti: i maestri di un sapere iniziatico; La precisione del sogno; Il corpo è tutto. Tutto è corpo; Mount Olympus; Le sculture: testimoni di un'assenza; Il verde dell'Africa; Troubleyn Laboratorium. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.