XXI secolo
Takashi Murakami

il TAlENTOdi liTTlE BOY

Animazione, manga, antiche stampe e pittura giapponese hanno ispirato Murakami nella creazione del movimento chiamato Superflat, un mix di tradizione, cultura popolare ed estetica commerciale dove le superfici piatte sono esaltate da una decisa varietà cromatica.

Jessica Consalvi

Nato a Tokyo nel 1962 in una famiglia di umile estrazione, Takashi Murakami ha oggi raggiunto vette di grande notorietà grazie al suo innovativo connubio tra arte occidentale e tradizione orientale, nonché tramite un attento studio del mercato internazionale dell’arte, ormai estremamente globalizzato. Murakami incomincia a dedicarsi all’arte contemporanea dopo aver conseguito un dottorato in pittura tradizionale giapponese all’Università delle Belle arti di Tokyo e corona il suo sogno di artista esponendo alla Biennale di Venezia più volte. 

A partire dagli anni Novanta si sono susseguite numerose mostre a lui dedicate, specialmente negli Stati Uniti, dove a New York l’artista ha fondato un suo studio che rappresenta ufficialmente un occhio vivo sul Giappone. Nel 2007 il Moca -Museum of Contemporary Art di Los Angeles gli dedica una prima grande retrospettiva, mentre nel 2010 le sue opere vengono esposte persino all’interno della reggia di Versailles in Francia. Si ricorda inoltre la mostra intitolata Takashi Murakami. Il ciclo di Arath, tenutasi nel 2014 nella Sala delle cariatidi del Palazzo reale di Milano.


Melting DOB E (2001).

Sia la sua arte sia i manga confermano una forte identità giapponese nonostante l’invasione e l’influenza della cultura americana


Ben tre sono i suoi atelier in patria: uno a Tokyo e due nella non distante prefettura di Saitama. Soltanto nel suo studio di Tokyo l’artista può contare all’incirca su novanta aiutanti: si tratta di una vera e propria officina così come fu lo studio di Andy Warhol e come è stato lo studio d’animazione di Hayao Miyazaki, una delle dichiarate fonti di ispirazione di Murakami, che aveva originariamente intrapreso gli studi artistici proprio con l’aspirazione di diventare animatore. La sua produzione si basa su forme tradizionali quali pittura e scultura, ma nel corso della sua carriera si è dedicato anche a performance, animazioni e persino all’ideazione di lussuosi oggetti di consumo per Louis Vuitton, popolarizzando poi la sua arte firmando prodotti quali le caramelle Frisk, o le scarpe Vans. 

Dopo il “japonisme” dei secoli passati, l’arte giapponese sta oggi entrando nel contesto internazionale soprattutto tramite l’opera di Murakami, connotata da un personale interesse a testimoniare il Giappone contemporaneo. Il linguaggio utilizzato nelle sue forme artistiche rimane ancora americanofilo, com’è in effetti tipico dell’arte contemporanea giapponese postbellica, a partire dal gruppo Gutai sino a Yayoi Kusama, ma Murakami manifesta apertamente la volontà di testimoniare la propria generazione basata sulla fruizione dei manga, anch’essi invero caratterizzati da un’originaria impronta statunitense.


Me and Mr. Dob (2009).


Flower Matango (2001-2006), opera esposta in occasione della mostra al palazzo di Versailles (14 settembre - 12 dicembre 2010);

Sia la sua arte sia i manga confermano però una forte identità che il Giappone ha saputo tener ben salda nonostante l’invasione e l’influenza della cultura americana. Nel catalogo della sua mostra Little Boy (2005), il cui titolo riprende schiettamente il nomignolo della prima bomba atomica sganciata su Hiroshima, Murakami ripercorre quella generazione di fanatici appassionati di manga e animazione, ovvero gli “otaku”, a cui l’artista stesso sente in parte di appartenere. Il termine, già desueto nella lingua giapponese, veniva originariamente usato dagli appassionati di fumetti per darsi una sorta di “voi” durante le loro goffe relazioni interpersonali. Venne poi adottato non più come pronome, ma come sostantivo, proprio per designare in maniera ironica questi individui. Ben presto, però, la parola “otaku” si connotò molto negativamente, a seguito di una serie di omicidi di bambine da parte di un coetaneo di Murakami, che venne arrestato nel 1989 e definito dai mass media come il “killer otaku”. Si originò così una grande abbondanza di articoli giornalistici che denunciavano il fenomeno sociale diffondendo le foto della stanza dell’assassino, che si presentava piena di videocassette (soprattutto di genere “horror splatter”). Murakami, definendosi «un otaku che non è riuscito a divenirlo completamente », ha dichiarato che quando vide la stanza del serial killer, la trovò essenzialmente simile alla sua e a quelle dei suoi amici. 


L’arte di Murakami rispecchia quel Giappone che non ha avuto l’occasione di crescere dopo gli eventi della seconda guerra mondiale


Tutta la sua attività artistica si presenta come una lotta per tramandare questa subcultura, che l’artista ritiene discriminata. È proprio questo l’obiettivo della corrente artistica denominata Superflat, di cui Murakami è fondatore e che è caratterizzata da un linguaggio senza traccia di prospettiva e profondità di campo, ma accostabile alla tradizione delle antiche stampe e pitture giapponesi, come agli stessi manga, anche per l’estetica tendente alla “carineria”. Tramite un uso del colore, tipico del linguaggio infantile, l’arte di Murakami rispecchia quel Giappone che non ha avuto l’occasione di crescere dopo gli eventi della seconda guerra mondiale e che è rimasto esso stesso un ragazzino, ovvero un “little boy”, nel processo di forzosa americanizzazione: un’azione che Murakami paragona a quella di una società orwelliana, che è di fatto “superflat”, ovvero “superpiatta” e dove l’appagamento estetico risulta facilmente ottenibile grazie a una forte produzione e un elevato consumo. 

A Tokyo, il quartiere tecnologico di Akihabara è sempre aggiornato sulle ultime tendenze “otaku”, che la galleria di Murakami, la Kaikai Kiki, testimonia presentando diverse mostre, molte delle quali sono personali di artisti emergenti. Con la consapevolezza che ormai la sua opera sarà riportata nei manuali di storia dell’arte di tutto il mondo civilizzato, Murakami incentiva le attività di giovani artisti anche tramite la fiera d’arte Geisai, che si tiene a Tokyo ben due volte all’anno, mantenendo così viva la testimonianza delle varie generazioni di “otaku”.


Kiki (2000-2005).


Superflat Monogram (2004).

Hiropon (1997).


Close Encounters of the Third Kind (2002).

Bibliografia essenziale:
H. Azuma, Generazione otaku: uno studio sulla postmodernità, Milano 2010.
F. Fabbri, Lo zen e il manga. Arte contemporanea giapponese, Milano 2009.
L. Le Bon, Murakami Versailles, Parigi 2010. T. Murakami, Superflat, Tokyo 2000.
M. Wakasa, Interview of Takashi Murakami, in “The Journal of Contemporary Art”, 24 febbraio 2000.
A. Cruz, Takashi Murakami, New York 1999.

ART E DOSSIER N. 331
ART E DOSSIER N. 331
APRILE 2016
In questo numero: SGUARDI L'occhio nell'arte tra mito e fascinazione. STEREOTIPI Immagini d'oriente nella pittura occidentale. MITI D'OGGI Puer aeternus Murakami. LONDRA Nuove sale al V&A. IN MOSTRA Piero della Francesca a Forlì, Correggio e Parmigianino a Roma, Severini a Mamiano, Matisse a Torino.Direttore: Philippe Daverio.