Il gusto dell'arte


l’essenzialeè di rigore

di Ludovica Sebregondi

Un viaggio nel Bel Paese alla scoperta delle tradizioni culturali e sociali che legano arte e cucina regionale. Seconda tappa: Toscana

«Il paese è stampa, più che pastello; linea, spirito, pensiero. L’odore di cucina campestre, il sapore di un baccello, di un cantuccio di pane casalingo, o la fragranza di un ciuffo di nepitella, hanno una preziosità che, più che ai sensi, parla all’intelletto». Le parole dello scrittore Bino Samminiatelli delineano concisamente - e con grande poesia - lo spirito di una regione, la Toscana, che si offre al mondo come luogo dell’immaginario, non solo per la bellezza dei suoi panorami e delle straordinarie opere d’arte che conserva, ma anche per quell’insieme di rigore e semplicità che ha caratterizzato la sua cucina nei secoli, e che ancora oggi la connota. 

Caratteristiche dovute al terreno spesso sassoso e scabro, poco adatto a colture estensive, che necessita di un lavoro aspro e continuo per ottenere produzioni limitate, ma di qualità eccelsa: olio e vino, verdure sapide e croccanti, manzi di razza chianina, animali da cortile. 

Un quadro in parte legato a un’immagine idealizzata della campagna toscana, mentre a lungo la popolazione ha sofferto la fame, e non solo nei periodi di carestia.


Lorenzo Lippi, Esaù cede la primogenitura (1645), Firenze, Seminario arcivescovile.

Le zuppe, le minestre, i legumi costituivano la base dell’alimentazione contadina insieme al pane, e proprio una pagnotta divisa a metà e una minestra di lenticchie dipinge Lorenzo Lippi (Firenze 1606-1665) per illustrare il passo della Genesi (XXV, 29-34) in cui Esaù, primogenito di Isacco, tornato affamato dai campi, è disposto a cedere al fratello minore Giacobbe la primogenitura - e dunque il diritto di regnare sul popolo di Israele - in cambio di pane e di una ciotola di minestra di legumi. Il testo biblico sottolinea il disprezzo riservato ai valori morali da chi è attaccato alla materialità e a un’effimera soddisfazione di necessità primarie. Una contrapposizione che il pittore esprime anche con i due abbigliamenti: l’uno rosso, più adatto a un lavoro fisico, l’altro di lucente velluto azzurro, già regale. Questa ricchezza contrasta fortemente con la tavola rivestita di una tovaglia di ruvido tessuto su cui posano un coltello e un pezzo di pane; unica stoviglia è la ciotola di terraglia bianca che accoglie i preziosi legumi. La cucina toscana nella sua forma più semplice è tutta qui. 

L’essenzialità è tratto distintivo anche della Natura morta ovale di Ardengo Soffici (Rignano sull’Arno 1879 - Vittoria Apuana 1964), già aderente al futurismo ma che, nel clima di “ritorno all’ordine” seguito alla fine della prima guerra mondiale, recupera i caratteri della tradizione del Quattrocento toscano: uno spesso bicchiere colmo di vino di un rosso scurissimo, una pera, un tovagliolo annodato appoggiati su una tovaglia. Certo la cucina toscana è anche carne cotta sulla griglia o nei girarrosti, frattaglie come trippa o lampredotto, pesce povero della costa reso sapido dagli intingoli, verdure quali cardi, carciofi morelli o baccelli da accompagnare al pecorino. E - tutto - sublimato dal sapore forte, acre, pungente dell’inimitabile olio delle sue colline.


Ardengo Soffici, Natura morta ovale (1919).

ART E DOSSIER N. 330
ART E DOSSIER N. 330
MARZO 2016
In questo numero: VENEZIA DOCET Un pittore per il re d'Etiopia; La maniera veneta; Il libro e la pittura; L'oriente di Zecchin. PALMIRA I ritratti sopravvissuti allo scempio. IN MOSTRA Schiavone, Manuzio, Giardini, Art Brut.Direttore: Philippe Daverio