Grandi mostre. 2
Il giardino dipinto, da Monet a Matisse, a Londra

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la natura

In occasione della mostra in corso alla Royal Academy of Arts pubblichiamo un testo sul giardino di Monet a Giverny scritto dalla co-curatrice dell’esposizione.

Ann Dumas

«A parte dipingere e coltivare il giardino, non sono buono a niente», diceva Claude Monet (Parigi 1840 - Giverny 1926), che arrivò a dichiarare di dovere forse ai fiori il fatto di esser diventato pittore. Per oltre quarant’anni, dal 1883, Monet ha curato il suo giardino di Giverny, in un’incomparabile simbiosi tra artista e ambiente naturale da lui stesso concepito e forgiato. Nell’aprile del 1883 aveva affittato a Giverny (circa ottanta chilometri da Parigi, nella valle della Senna), una lunga casa rosa. Suo principale obiettivo era ottenere soggetti per dipingere. 

Oggi Giverny è il più noto giardino d’artista dei tempi moderni, visitato da centinaia di migliaia di persone all’anno. In realtà Monet teneva molto alla privacy e scoraggiò sempre il visitatore casuale che lo avrebbe distratto dal suo lavoro. Accolse invece amici, artisti e scrittori, specialmente chi come lui amava l’arte dei giardini. Giornalisti, critici, esperti di orticoltura, fotografi hanno lasciato una ricca documentazione sulla Giverny di Monet; nel testimoniarne l’evoluzione, hanno registrato così il modo in cui le coltivazioni furono via via ideate, in connubio con l’evolversi della pittura del maestro impressionista. 

Prima di allora, negli anni Ottanta del XIX secolo Monet aveva vissuto ad Argenteuil e a Vétheuil, ma vi aveva realizzato solo modesti giardini, seppur variopinti. Il vasto terreno attorno alla dimora di Giverny gli permise invece di soddisfare appieno la sua passione. Al principio aveva magre risorse per supportare questa nuova avventura ma s’impegnò subito, dapprima con l’aiuto di bambini.


Le opere illustrate in questo articolo, dove non diversamente indicato, sono di Claude Monet. Anonimo, Monet nel suo giardino a Giverny (1921), Parigi, Musée d’Orsay.

Lo stagno delle ninfee era attraversato da un ponte ispirato alle incisioni di Hiroshige


Nel 1885 poteva già scrivere a Durand-Ruel, il suo mercante: «Ho deciso di coltivare il giardino e preparare motivi floreali per l’estate». Cinque anni dopo gli chiese un aiuto finanziario per acquistare la casa. Lasciarla avrebbe comportato gravi ripercussioni sul suo lavoro, dato che era impossibile, secondo lui, trovare «un luogo altrettanto bello [per dipingere]». 

Nella prima dozzina d’anni Monet non raffigurò il giardino, ma dedicò tutte le sue energie a disegnarlo e a idearne le coltivazioni. Iniziò con la zona di fronte alla casa, detta Clos Normand, dove rimpiazzò il preesistente “jardin potager” e il frutteto con un fitto tappeto di piante stagionali. I vivaci colori di questo schema sono influenzati dai giardini mediterranei che Monet aveva visto a Bordighera, nel 1884. Invece, la cura con cui calcolò le armonie cromatiche si deve al suo occhio di pittore, e forse anche ai giardini informali inglesi che all’epoca si stavano concretizzando grazie a William Robinson o a Gertrude Jekyll. La più completa descrizione della trasformazione di Clos Normand si deve a Jean- Pierre Hoschedé, figliastro di Monet ed entusiasta orticoltore: «La parte occidentale divenne un prato all’inglese, e poi, qua e là […] erano disseminati gruppi di iris e papaveri d’Oriente. Gli alberi da frutto ormai secchi furono rimpiazzati da pezzature di alberi da fiore - ciliegi giapponesi e meli. Nella parte orientale furono create altre “macchie”, ciascuna con piante di diverse specie: gladioli, grandi margherite, asteri, speronelle […] sopra questi fiori, su leggere strutture cresceva la Montana rubens clematis. Gran parte del terreno fiorito era bordato con varietà di iris tanto amati da Monet […] I nasturzi […] s’arrampicavano sul corrimano per tutta la lunghezza delle aiuole». 

Monet aveva conoscenze botaniche eccelse, ben oltre la perizia da giardiniere dilettante. Già attorno agli anni Ottanta e Novanta le lettere ad Alice Hoschedé, sua futura seconda moglie, testimoniano il pensiero costante per il suo giardino in fieri: «A proposito delle margherite», scrive, fra l’altro, nell’ottobre del 1886 «non credo sia ancora il tempo, perché se viene una gelata, è impossibile capire di che colore siano». Nell’unica lettera sopravvissuta al suo giardiniere Félix Breuil, si capisce quanto il pittore fosse totalmente preso da ogni dettaglio: «Semina: circa trecento papaveri, sessanta piselli dolci, circa sessanta ciotole di agremonia, salvia blu, ninfee blu in serra, margherite 

[…] Dal 15 al 25, lasciare le margherite radicare, piantare altrove quelle con i tralci prima che io sia tornato 

[…] In marzo seminare l’erba, piantare i piccoli nasturzi, stare attenti alla gloxinia, alle orchidee…».


Lo stagno delle ninfee, armonia in verde (1899), Parigi, Musée d’Orsay.


Ninfee (1914-1915), Portland, Portland Art Museum.


Ninfee (1914-1917), Parigi, Musée Marmottan Monet.

Nel febbraio 1893 Monet cominciò a occuparsi dell’ambizioso progetto del giardino acquatico, per il quale dovette affrontare non poche difficoltà, anche per le petizioni dei fattori della zona, i quali temevano che le piante avrebbero avvelenato l’acqua del bestiame. Il grande stagno delle ninfee fu infine creato e attraversato da un ponte di legno giapponese ispirato alle incisioni di Hiroshige, che Monet collezionava. Nel 1894 l’artista ordinò le rinomate ninfee rosa e rosse al vivaio specializzato di Latour- Marliac, nella regione del Lot. Riuscì poi, nel 1901, a deviare il corso del fiume Epte, triplicando la superficie dello stagno, con un isolotto al centro collegato ai bordi da quattro ponticelli. Un anno dopo lo stagno fu ulteriormente modificato, e Monet poté ordinare altre ninfee. Solo nel 1895 cominciò a dipingere il giardino, ma già prima aveva invitato amici artisti come Caillebotte, anch’egli appassionato giardiniere (aveva un giardino a Petit-Gennevilliers), Renoir, Berthe Morisot, Sargent, Rodin, Cézanne e l’americano Theodore Robinson, appartenente a quella colonia di pittori americani la cui ammirazione per Monet li portò a insediarsi a Giverny. Un’intensa descrizione di Giverny si deve allo scrittore Octave Mirbeau, che aveva uno splendido giardino a Les Damps, non lontano da Pont-del’Arche. Nel 1891 Mirbeau descrisse in una prosa quasi psichedelica i cambiamenti stagionali del giardino di Monet: dalle tentazioni e i sogni primaverili delle perverse orchidee, e dagli iris coi petali ricurvi increspati di bianco, malva, lilla, giallo e blu, screziati di strisce marroni, cremisi e porpora ai colori caldi estivi, con l’esplosione dell’arancio, ai girasoli che girano la testa e abbagliano… La sua descrizione contribuì alla leggenda di Giverny, nonostante gli anni successivi pochi giornalisti (in genere amici di Monet) siano stati ammessi a visitare il giardino. 

La massima espressione della simbiosi tra il giardino e la sua arte sono le tele monumentali con la serie delle Ninfee dipinte negli ultimi dieci anni di vita: un’immersione estetica che assume anche la valenza di una risposta tutta personale alla tragedia della prima guerra mondiale.


Lo stagno con ninfee (1917-1919), Parigi, Musée Marmottan Monet.


Lo stagno e il giardino di Giverny, 27 agosto 2014.

Questo testo è un estratto-sintesi di un saggio di Ann Dumas, tradotto da Gloria Fossi, e pubblicato nel catalogo della mostra Painting the Modern Garden: Monet to Matisse (Londra, Royal Academy of Arts, 30 gennaio - 20 aprile), a cura di A. Dumas e W. H. Robinson, Londra 2016.

LA MOSTRA

L’abilità di Monet nel dipingere giardini è consacrata nella mostra ospitata alla Royal Academy of Arts (Londra, fino al 20 aprile, www.royalacademy.org.uk). Sono presenti trentacinque opere dell’artista francese accompagnate da ottantacinque lavori di protagonisti dell’impressionismo, postimpressionismo e avanguardia del primo Novecento. Tra gli altri Kandinskij, Nolde, Klimt fino ad arrivare a Bonnard e Matisse. Painting the Modern Garden: Monet to Matisse, a cura di Ann Dumas e William H. Robinson, sviluppa il tema del giardino con dovizia di riferimenti iconografici: da luogo onirico a luogo di rifugio e guarigione, a luogo di beatitudine. Troviamo così, accanto a un’emblematica selezione della serie delle Ninfee di Monet (tra queste il Trittico Agapanthus del 1916- 1919 per la prima volta esposto in Gran Bretagna), Giardino a Murnau II di Kandinskij e Riposo nel giardino di Bonnard, solo per citare alcuni dei capolavori compresi nel percorso espositivo. Catalogo Royal Academy of Arts.


Pierre Bonnard, Riposo nel giardino (1914), Oslo, Nasjonalmuseet.


Auguste Renoir, Monet mentre dipinge nel suo giardino ad Argenteuil (1873), Hartford, Wadsworth Atheneum of Art.

ART E DOSSIER N. 330
ART E DOSSIER N. 330
MARZO 2016
In questo numero: VENEZIA DOCET Un pittore per il re d'Etiopia; La maniera veneta; Il libro e la pittura; L'oriente di Zecchin. PALMIRA I ritratti sopravvissuti allo scempio. IN MOSTRA Schiavone, Manuzio, Giardini, Art Brut.Direttore: Philippe Daverio