Secondo Antonio (così come tutto l’ambiente artistico veneto) sin dagli anni Trenta vede l’arrivo e l’attività di artisti provenienti da Firenze e dalla Toscana, impiegati o addirittura chiamati per lavorare ai mosaici della basilica di San Marco e in altre imprese decorative veneziane e venete: Paolo Uccello, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e altri ancora; così come si è indotti a credere che sia transitato sulle lagune Masolino da Panicale (collega e sodale di Masaccio, come si sa). Ma forse il ruolo decisivo per l’orientamento artistico del nostro è un’altra sua bruciante esperienza: quella che egli ebbe a compiere a Padova, dove per ben dieci anni lavora Donatello e dove, iniziando dalla frequentazione della bottega di Squarcione, sta crescendo potentemente la personalità di Andrea Mantegna. Tra questi poli Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna si ritagliano, nel corso di un intenso decennio, uno spazio di straordinaria qualità e di indubbia efficacia. Circa l’influsso esercitato a Venezia e Padova dagli artisti toscani, oggi si invita alla prudenza, rispetto a una corrente critica che ha a lungo enfatizzato questo apporto; ma è certo che tali passaggi non potevano lasciare indifferenti i veneti ed è altrettanto certo che, per esempio, le scene storiche, allegoriche o letterarie in uso per i cassoni da camera a Firenze, Siena e altrove non erano ignote ai nostri protagonisti.
Il rapporto di Antonio con Giovanni d’Alemagna ha fornito ai critici materia infinita di discussione: già sulla identificazione dell’artista le opinioni hanno a lungo oscillato; alcuni hanno ritenuto di vedere in lui un operatore prevalentemente di carattere decorativo o, addirittura, organizzativo al fianco di Antonio. Oggi i ruoli sono stati molto più equilibrati: vi è chi vede in Giovanni una forte presenza innovatrice pur dentro a una collocazione mediana tra le novità della pittura moderna e le sopravvivenze di decorativismo tardogotico. Altri gli assegnano in toto opere prima considerate di collaborazione, come le piccole storie, vere vignette narrative di grande fascino e di concezione assai moderna, di santa Apollonia, di santa Monica, forse di san Pietro martire. Senza pretendere di dar risposte definitive a un problema forse senza soluzione, pare di poter dire che la pittura della coppia Antonio/Giovanni ha costituito, nel suo insieme, un passaggio di straordinaria importanza per il rinnovamento dell’intera pittura del medio Quattrocento.
La forma classica dell’ancona gotica prevede una complessa cornice intagliata e dorata articolata verticalmente su uno o più livelli e orizzontalmente su una serie di edicole o scomparti ciascuno occupato da una o più figure (di santi); gli scomparti centrali erano solitamente destinati alla Vergine con il putto oppure al santo titolare dell’altare. In alto, nel fastigio che concludeva l’insieme, compare il più delle volte il Cristo in passione sotto la forma tradizionale dell’“Uomo dei dolori” di antica tradizione iconografica. Va detto che la parte intagliata e dorata, spesso impreziosita da rilievi in pastiglia e policromi, non aveva minor importanza e dignità delle parti dipinte: prova ne sia che nei contratti pervenutici falegnami, intagliatori e doratori ottengono compensi analoghi se non superiori a quelli dei pittori e i loro titoli e menzioni sono simili.