Studi e riscoperte. 3
Un modello per il “mesiodens”

marsiae michelangelo

Una scultura antica, già nelle collezioni medicee e ora agli Uffizi, presenta un dettaglio anatomico che entrò a far parte degli elementi iconografici con cui il giovane Michelangelo avrebbe poi caratterizzato, nel tempo, alcune delle proprie opere.
Un dettaglio che finora era sfuggito.

Marco Bussagli

Talvolta, per comprendere a fondo un’opera d’arte non basta neppure l’osservazione diretta che, però, è un approccio che deve rimanere un punto fermo nel metodo degli studiosi; da non dimenticare e da non barattare neppure con le migliori tecniche di riproduzione. Tuttavia, come nel caso che sto per esporvi, non è stato sufficiente neppure restaurare l’opera per scorgere una particolarità che è sfuggita fino a ora. Gli studi di percezione visiva hanno da tempo dimostrato che esiste un processo noto come “conformità della visione”, a causa del quale vediamo quello che pensiamo, secondo parametri in linea con quel che consideriamo la norma. In altre parole, non riusciamo a esercitare un controllo critico su ciò che guardiamo (ma non vediamo) anche se, in realtà, l’oggetto della nostra osservazione non è del tutto sovrapponibile all’idea che ci siamo formati(1). Non staremo qui a ricordare gli esperimenti di percezione visiva che hanno portato a questa constatazione, ma - per fare un esempio concreto - basterà rammentare quanto difficili appaiano quei giochi enigmistici nei quali bisogna trovare la (oppure le) differenza che scaturisce dal confronto di due o più disegni in apparenza identici. Il cosiddetto Marsia rosso conservato agli Uffizi appartiene proprio a questo genere di casi. Restaurata oltre vent’anni fa, la statua è costituita di due tipi di marmo: la gran parte in rosso pavonazzetto (utilizzato per alludere al tragico destino del satiro, scorticato vivo) e il resto in un marmo più pallido. L’accurato intervento conservativo del 1992, però, non ha svelato agli studiosi che il “sorriso” di Marsia (in realtà una smorfia di dolore) ha un’evidente anomalia, ovvero la presenza di un quinto incisivo al centro della chiostra dentaria superiore(2). Ancora nel 2007, nonostante il titolo (Un volto per Marsia), il dotto articolo di Lorenzo Fatticcioni non notava né affrontava questo problema(3).


Marsia rosso (arte romana, I-II secolo d.C.), particolare, Firenze, Galleria degli Uffizi.

(1) Sui “concetti percettivi”: R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Milano 1971, pp. 28-36. Sui processi della visione, si veda pure: L. Maffei, A. Fiorentini, Arte e cervello, Bologna 1995.
(2) A. Casciani, Il Marsia. Relazione sull’intervento di restauro, in A. Petrioli Tofani (a cura di), Itinerario laurenziano, Firenze 1992, pp. 73-80. Si veda pure: M. C. Monaco, Marsia (scheda), ivi, pp. 60-61.
(3) L. Fatticcioni, Un volto per Marsia. Modalità di raffigurazione e testi letterari nella fruizione cinquecentesca di un mito antico, in “Prospettiva”, 126/127, 2007, pp. 128-148.

L’inquietante statua degli Uffizi fu forse il primo grande marmo a entrare nella collezione di Cosimo il Vecchio e fu certamente studiata dal giovane Buonarroti


Non si può qui sviscerare tutta la tematica di questa statua, la cui storia è assai complessa, in quanto il suo stato attuale risulta dall’integrazione della copia romana (II secolo d.C.) dell’originale ellenistico databile intorno al 160 a.C. con il pesante intervento di restauro del quale riferì lo stesso Vasari che vi vedeva la mano di Andrea Verrocchio(4). Quel che interessa notare, invece, è che il Marsia rosso ha costituito la fonte iconografica primaria per il giovane Michelangelo che si è trovato qui per la prima volta dinanzi alla presenza di quel quinto incisivo, o “mesiodens”, che poi avrebbe più volte utilizzato, con estrema coerenza, nel corso della sua carriera artistica per indicare l’assenza dello stato di grazia oppure la presenza del peccato nelle figure che ha dipinto o scolpito(5)

Bisogna infatti ricordare che l’inquietante statua degli Uffizi fu forse il primo grande marmo a entrare nella collezione di Cosimo il Vecchio e fu certamente studiata dal giovane Buonarroti. Non è infatti possibile che Michelangelo non lo abbia visto e conosciuto, se il disegno di Zanobi Lastricati, conservato a Milano presso la Biblioteca ambrosiana nel codice miscellaneo Resta (67/2), mostra, nel primo progetto mai realizzato del catafalco per le esequie di Michelangelo, una specchiatura nella quale è chiaramente rappresentata la statua. In basso, sulla base del sarcofago vero e proprio, infatti, la tabella mostra sulla sinistra la scena che ricorda l’episodio in cui Lorenzo de’ Medici riconosce il talento del giovane Michelangelo e lo accoglie nella sua casa. Sul lato opposto, si scorge il David, esempio massimo dell’arte del Buonarroti. Al centro, infine, accanto al fornice della porta - più che del «“mitico” giardino di San Marco», di quello di «via Larga» - sono abilmente disegnati il Marsia rosso e quello bianco(6). La cosa, oltre che da padre Resta (che l’annotò sul disegno), fu vista tanto da Parronchi quanto da Caglioti, ed è chiara testimonianza dell’influenza che queste due statue ebbero sulla grande arte del Buonarroti(7). Di sicuro, Michelangelo fu profondamente colpito dalla presenza del quinto incisivo nella statua del Marsia rosso che, certamente, pose in relazione con la predica di Savonarola sul «dente del peccato». Del resto, la storia di Marsia può considerarsi quella che meglio d’ogni altra esemplifica l’idea di disarmonia, come risulta bene dai versi delle Metamorfosi di Ovidio(8)

La vicenda, però, si complica perché la testa del Marsia rosso è ormai unanimemente attribuita a un artista rinascimentale che, secondo Caglioti, sarebbe Mino da Fiesole. Ora, sebbene nulla cambierebbe nei riguardi della suggestione comunicata al giovane Buonarroti, tuttavia vale la pena di accennare a qualche riflessione sulla base di questa nuova constatazione relativa alla presenza del quinto incisivo. La prima, riguarda il fatto che non paiono esserci le condizioni culturali perché lo scultore di Poppi possa aver introdotto tale particolarità iconografica in questo personaggio mitologico già prima del 1464, anno della scomparsa del committente del restauro, Cosimo il Vecchio. La diffusione del quinto incisivo nell’arte rinascimentale e in quella successiva è certamente dovuta all’uso che ne fece Michelangelo; anche se un primo esempio compare, come ho già avuto modo di scrivere, nella testa della Carità scolpita da Antonio del Pollaiolo dopo il 1484 nella bronzea tomba di Sisto IV, e, più tardi, nel Cristo dolente di Bramantino(9). Al contrario, il confronto con un altro Marsia, recentemente recuperato, quello dei Musei capitolini - che, a una diretta osservazione lascia intravedere un incisivo centrale -, riapre i termini della questione(10). Del resto, a testimoniare di un percorso dell’iconografia del quinto incisivo dall’Antichità al Medioevo sta anche il mosaico con La discesa di Cristo al limbo in San Marco a Venezia. Qui la figura del vecchio calpestato dai piedi del Salvatore che squassa le ante della porta è quella di Ade, trasformato nel limbo cristiano che reca in bocca un macroscopico “mesiodens”(11)

L’ipotesi che allora si può timidamente avanzare e che andrà ancor meglio verificata è che il Marsia rosso sia il pastiche di due statue antiche, di identico soggetto. Il restauro di cui parla Vasari, perciò sarebbe un assemblaggio e non un rifacimento. Il che corrisponde, grosso modo, a quel che aveva scritto il grande aretino(12). Certo è che a questa statua guardò Michelangelo per le sue suggestioni artistiche e teologiche.


Il Marsia rosso a figura intera.


Zanobi Lastricati, disegno di progetto per il catafalco funebre di Michelangelo (1564), codice Resta, Milano, Biblioteca ambrosiana.

(4) G. Vasari, Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, a cura di M. Marini, Roma 1991, p. 505.
(5) In proposito: M. Bussagli, I denti di Michelangelo. Un caso iconografico, Milano 2014.
(6) S. Osano, Due “Marsia” nel giardino di Via Larga. La ricezione del “décor” dell’antichità romana nella collezione medicea di sculture antiche, in “Artibus et Historiae”, XVII, 34, 1996, p. 102. L’articolo di Osano che pubblica il disegno, poi, analizza i motivi della collocazione nel giardino di palazzo Medici (poi Riccardi) e ricostruisce il processo di contaminazione fra il concetto di décor nell’antichità e quello rinascimentale (ivi, pp. 105 sgg.).
(7) Ibidem. Si veda pure: A. Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo, Firenze 1968, pp. 8-9; F. Caglioti, Due “restauratori” per le antichità dei primi Medici: Mino da Fiesole, Andrea del Verrocchio e il “Marsia rosso” degli Uffizi, in “Prospettiva”, 72, 1993, pp. 27-28. Caglioti ritornò sull’argomento anche l’anno successivo sulle pagine della stessa rivista (73-74, 1994, pp. 74- 96) e pubblicò anche l’unica bella foto del volto del satiro con bene in evidenza il ghigno, di cui, però, non notò il “mesiodens”.
(8) Ovidio, Metamorfosi, VI, vv. 383-400. Sulla predica di Savonarola: M. Bussagli, op. cit., pp. 134-136.
(9) In proposito: M. Bussagli, La bocca della Verità, I denti di Michelangelo, in “Art e Dossier”, 319, aprile 2015, pp. 58-61.
(10) Nel 2009, le indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza capitolina in convenzione con l’American Institute for Roman Culture nell’area del Parco degli acquedotti hanno rinvenuto un Marsia appeso, nell’identica posizione di quello fiorentino. L’opera è stata esposta ai Musei capitolini di Roma dal 17 dicembre 2014 al 1° febbraio 2015, nella mostra intitolata Marsia. La superbia punita, a cura di N. Angoli. Osservata direttamente, l’opera lascia scorgere un incisivo centrale molto abraso. Ringrazio Lauretta Colonnelli che me lo ha segnalato e Sergio Guarino che mi ha permesso di verificare.
(11) M. Bussagli, I Denti, cit., pp. 44 e 46.
(12) Scrive Vasari (op. cit., p. 505): «Avendo dunque Cosimo de’ Medici avuto di Roma molte anticaglie, aveva dentro alla porta del suo giardino […] che riesce nella via de’ Ginori fatto porre un bellissimo Marsia di marmo bianco impiccato a un tronco […] perché volendo Lorenzo suo nipote al quale era venuto un torso con la testa d’un altro Marsia antichissimo e molto più bello che l’altro e di pietra rossa, accompagnarlo al primo, non poteva fare ciò essendo imperfettissimo; onde datolo a finire et acconciare ad Andrea [Verrocchio], egli fece le gambe, le cosce e le braccia che mancavano a questa figura di pezzi di marmo rosso». Dunque, nonostante le imprecisioni di Vasari, la presenza qui del “mesiodens” sarebbe da attribuirsi alla cultura greco-romana e non a quella quattrocentesca.

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio