Non si può qui sviscerare tutta la tematica di questa statua, la cui storia è assai complessa, in quanto il suo stato attuale risulta dall’integrazione della copia romana (II secolo d.C.) dell’originale ellenistico databile intorno al 160 a.C. con il pesante intervento di restauro del quale riferì lo stesso Vasari che vi vedeva la mano di Andrea Verrocchio(4). Quel che interessa notare, invece, è che il Marsia rosso ha costituito la fonte iconografica primaria per il giovane Michelangelo che si è trovato qui per la prima volta dinanzi alla presenza di quel quinto incisivo, o “mesiodens”, che poi avrebbe più volte utilizzato, con estrema coerenza, nel corso della sua carriera artistica per indicare l’assenza dello stato di grazia oppure la presenza del peccato nelle figure che ha dipinto o scolpito(5).
Bisogna infatti ricordare che l’inquietante statua degli Uffizi fu forse il primo grande marmo a entrare nella collezione di Cosimo il Vecchio e fu certamente studiata dal giovane Buonarroti. Non è infatti possibile che Michelangelo non lo abbia visto e conosciuto, se il disegno di Zanobi Lastricati, conservato a Milano presso la Biblioteca ambrosiana nel codice miscellaneo Resta (67/2), mostra, nel primo progetto mai realizzato del catafalco per le esequie di Michelangelo, una specchiatura nella quale è chiaramente rappresentata la statua. In basso, sulla base del sarcofago vero e proprio, infatti, la tabella mostra sulla sinistra la scena che ricorda l’episodio in cui Lorenzo de’ Medici riconosce il talento del giovane Michelangelo e lo accoglie nella sua casa. Sul lato opposto, si scorge il David, esempio massimo dell’arte del Buonarroti. Al centro, infine, accanto al fornice della porta - più che del «“mitico” giardino di San Marco», di quello di «via Larga» - sono abilmente disegnati il Marsia rosso e quello bianco(6). La cosa, oltre che da padre Resta (che l’annotò sul disegno), fu vista tanto da Parronchi quanto da Caglioti, ed è chiara testimonianza dell’influenza che queste due statue ebbero sulla grande arte del Buonarroti(7). Di sicuro, Michelangelo fu profondamente colpito dalla presenza del quinto incisivo nella statua del Marsia rosso che, certamente, pose in relazione con la predica di Savonarola sul «dente del peccato». Del resto, la storia di Marsia può considerarsi quella che meglio d’ogni altra esemplifica l’idea di disarmonia, come risulta bene dai versi delle Metamorfosi di Ovidio(8).
La vicenda, però, si complica perché la testa del Marsia rosso è ormai unanimemente attribuita a un artista rinascimentale che, secondo Caglioti, sarebbe Mino da Fiesole. Ora, sebbene nulla cambierebbe nei riguardi della suggestione comunicata al giovane Buonarroti, tuttavia vale la pena di accennare a qualche riflessione sulla base di questa nuova constatazione relativa alla presenza del quinto incisivo. La prima, riguarda il fatto che non paiono esserci le condizioni culturali perché lo scultore di Poppi possa aver introdotto tale particolarità iconografica in questo personaggio mitologico già prima del 1464, anno della scomparsa del committente del restauro, Cosimo il Vecchio. La diffusione del quinto incisivo nell’arte rinascimentale e in quella successiva è certamente dovuta all’uso che ne fece Michelangelo; anche se un primo esempio compare, come ho già avuto modo di scrivere, nella testa della Carità scolpita da Antonio del Pollaiolo dopo il 1484 nella bronzea tomba di Sisto IV, e, più tardi, nel Cristo dolente di Bramantino(9). Al contrario, il confronto con un altro Marsia, recentemente recuperato, quello dei Musei capitolini - che, a una diretta osservazione lascia intravedere un incisivo centrale -, riapre i termini della questione(10). Del resto, a testimoniare di un percorso dell’iconografia del quinto incisivo dall’Antichità al Medioevo sta anche il mosaico con La discesa di Cristo al limbo in San Marco a Venezia. Qui la figura del vecchio calpestato dai piedi del Salvatore che squassa le ante della porta è quella di Ade, trasformato nel limbo cristiano che reca in bocca un macroscopico “mesiodens”(11).
L’ipotesi che allora si può timidamente avanzare e che andrà ancor meglio verificata è che il Marsia rosso sia il pastiche di due statue antiche, di identico soggetto. Il restauro di cui parla Vasari, perciò sarebbe un assemblaggio e non un rifacimento. Il che corrisponde, grosso modo, a quel che aveva scritto il grande aretino(12). Certo è che a questa statua guardò Michelangelo per le sue suggestioni artistiche e teologiche.