Studi e riscoperte. 2
Bosch e l’alchimia

un immaginarioermetico

Le opere di Bosch sono ricche di riferimenti all’alchimia.
Quel che è indecifrabile è il significato che l’artista dava a questa presenza di simboli ermetici e il suo ambiguo rapporto con la disciplina.

Daniele Trucco

Il fiorire degli studi sull’alchimia, soprattutto negli ultimi anni, ha generato una sterminata mole di scritti che, nonostante tutti gli sforzi, non sono ancora riusciti a esaurire la complessità interpretativa della materia(1). È risaputo inoltre quanto il fascino esercitato dall’“Arte” abbia contagiato anche i grandi nomi della storia: celebri sono le annotazioni alchemiche di Newton; visionari gli scritti del premio Nobel William Butler Yeats dedicati all’arte della trasmutazione; acute e inquietanti le ricerche condotte da Jung sugli archetipi alchemici. La lista potrebbe essere lunghissima e anche nel campo delle arti figurative si spazia da nomi come Lorenzo Lotto e Parmigianino a Mantegna, tutti in qualche modo accomunati dalla stessa esoterica passione. 

Non stupisce dunque che anche Jeroen Anthoniszoon van Aken, meglio conosciuto come Hieronymus Bosch (1450 circa - 1516) potesse in una certa misura rimanervi imbrigliato. L’esasperata visionarietà e l’uso ridondante del simbolismo rendono le sue opere complesse quasi quanto un testo alchemico e perfettamente passibili di un’interpretazione psicanalitica. Accanto al problema del male, filo conduttore di molti suoi lavori, che si materializza con l’impatto visivo suscitato dalle metamorfosi mostruose dei soggetti, si dipana anche quello della ricerca ermetica. Bosch gioca con l’alchimia in modo ambiguo, sia condannandola apertamente, sia facendoci partecipi delle sue conoscenze in modo più distaccato e neutro, disseminando comunque in molte opere (Trittico del giardino delle delizie, Trittico degli eremiti, Trittico del Giudizio di Bruges, Trittico del Giudizio di Vienna) concetti chiave dell’arte alchemica come l’uovo filosofico (simbolo della materia o del vaso in cui si pone per lavorarla), l’unione degli opposti principi, gli incendi (fuoco per la cottura) o le navi (allegoria della ricerca). 

Per comodità di analisi mi soffermerò sulle sue due opere più rappresentative. 

Nel Trittico degli eremiti (1495-1505 circa) e in particolare nella tavola centrale con san Girolamo, l’antagonismo fra la dottrina cristiana e quella esoterico-alchemica appare evidentissimo: al santo in meditazione davanti al crocifisso è contrapposta la meditazione dell’alchimista sulla (o meglio “nella”) sua opera. L’identificazione con un “athanor”(2) del curioso oggetto cilindrico presente sulla sinistra della tavola non lascia dubbi, soprattutto considerando l’aiuto interpretativo fornitoci dall’artista con la raffigurazione del Sole e della Luna (opposti fisici e filosofici) contemplati dall’alchimista genuflesso. Ciò che se ne ricava è un dualismo ambiguo: quale delle due meditazioni può considerarsi corretta? E se fossero complementari? Oltretutto il rilievo del trono raffigura un uomo che si getta in un alveare: il miele, tenendo conto del messaggio esplicitato da Bosch con l’immagine dell’alchimista, è facilmente assimilabile al mercurio e all’idea dell’unione mistica del filosofo con la sua opera. Perché san Girolamo pregherebbe proprio sopra una tale immagine?


Trittico degli eremiti (1495-1505 circa), Venezia, Gallerie dell’Accademia.

(1) Per una panoramica sulla materia suggerisco alcuni testi. Storia dell’alchimia: M. Pereira, Arcana sapienza. L’alchimia dalle origini a Jung; alchimia e psicanalisi: C. G. Jung, Studi sull’alchimia; alchimia e musica: D. Trucco, Suono originario. Musica, magia e alchimia nel Rinascimento; alchimia e mistica ebraica: G. Scholem, Alchimia e Kabbalah; alchimia e arte: J. van Lennep, Arte e alchimia.
(2) Termine derivato dall’arabo “al-tannur”, che significa forno o fornace.

«Sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio, / che falsai li metalli con alchìmia; / e te dee ricordar, se ben t’adocchio, / com’io fui di natura buona scimia» Dante Alighieri, Inferno, XXIX, 136-139


Ritroviamo la presenza massiccia di elementi alchemici nello sportello sinistro del Trittico del giardino delle delizie (1480-1490 circa), meglio noto come Inferno musicale

In questo dipinto, contrariamente a quanto visto con il san Girolamo, sembrano concretizzarsi tutte le condanne scagliate non solo contro gli alchimisti ma anche verso coloro che praticano l’Arte, come il Capocchio dantesco (l’Alighieri lo incontra nella bolgia dei fraudolenti), solo per avidità. La degenerazione è simboleggiata dall’uomo-uovo che costituisce la parte centrale del dipinto: in quest’immagine sono presenti, fusi in un’unica figura, molti elementi caratteristici. Le imbarcazioni (si veda la scarpa-barca nella tavola centrale del Trittico di Bruges) non sono più emblemi della faticosa ricerca, ma dell’inconcludenza e dello sbando: lo “spiritus” divino non soffia e non rigonfia le vele (peraltro assenti), ma il moto è provocato da una figura mostruosa che brancola in una dimensione di oscurità e di incertezza. Il corpo cavo che forma l’addome è l’athanor in cui vengono riprodotte, attraverso un sapiente uso delle tonalità di colore e la presenza delle tre figure demoniache al tavolo, le tre fasi dell’opera (nero, bianco, rosso). 

L’analogia con l’uovo alchemico è resa palese non solo dalle colorazioni suddette (biancoalbume e rosso-tuorlo), ma anche dalla semplicità con cui il guscio - confine fra i due piani esistenziali - può essere rotto dal sapere occulto volto, in questo caso specifico, al male. La presenza della cornamusa a guisa di cappello (il volto rappresentato è probabilmente quello dell’autore, ulteriore elemento di ambiguità) è sicuramente indice di bassa corporalità (oltre alla pelle d’animale si utilizzano per la sua costruzione anche vesciche e intestini) e quindi di nefandezza. 

I medesimi rimandi a una bassa corporalità applicata alla condanna alchemica sono ben visibili nella rappresentazione del demone assiso sul trono-latrina nella parte inferiore destra della tavola. La presenza dei corvi neri (“nigredo”) uscenti dal deretano dell’anima dilaniata dal demone sono una prima valida indicazione della condanna, confermata dal fatto che l’uovo-escremento (uovo filosofico) contiene due anime (dualità alchemica) in procinto di cadere in un pozzo nero (“putrefactio”); il declassamento è confermato dalle feci a forma di monete (trasmutazione a scopo di lucro) prodotte da un misterioso personaggio e dall’anima che vomita, sorretta probabilmente da una suora. 

A fare da collante tra l’alchimia e il male è stata scelta la musica, mezzo pneumatico per agire sulla psiche dei dannati. Sta scritto che Davide curò la possessione (o forse la melanconia) di Saul con il suono della cetra: il rimando è esplicito. Lo è meno quello alchemico-musicale, conosciuto solo dagli addetti ai lavori: in alcuni scritti ermetici si sostiene che la materia emette dei sibili di altezza differente a seconda del suo grado di perfezione e, per aiutare il processo di trasmutazione, l’alchimista deve riprodurre melodie diverse associate alle varie fasi di preparazione della Grande opera. 

Assodata la presenza di messaggi subliminali nei dipinti di Bosch, come suggerisce anche quest’ultimo caso, non rimane che abbandonarsi alla loro ambiguità e al relativismo di un’interpretazione che mai - come per l’alchimia - ne potrà esaurire i significati.


Trittico del giardino delle delizie, anta destra con Inferno musicale, (1480-1490 circa), Madrid, Museo del Prado.


Hieronymus Bosch e bottega, Trittico del Giudizio, anta centrale (1486 circa), Bruges, Groeningemuseum.

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio