Arte contemporanea 


la Biennale
di Marrakech

Cristina Baldacci

«Negli ultimi decenni la questione dell’impossibilità di realizzare qualcosa di nuovo in arte si è diffusa esercitando una grande influenza […]. Sembra che tutti siano felici per la perdita della storia, dell’idea di progresso, del futuro utopistico: tutte cose tradizionalmente connesse al fenomeno della novità». Così il mediologo russo-tedesco Boris Groys apre uno dei saggi raccolti nel suo Art Power (trad. it. Postmedia Books, 2012), dove affronta l’idea di “nuovo” nell’arte capovolgendo in parte la tradizione avanguardista che ci ha abituati a pensare che la novità risieda nella diversità e che il museo s i a unicamente l a roccaforte del vecchio. Al contrario, il museo è, secondo Groys, il luogo dove trovare, o meglio, prendere coscienza dell’innovazione attraverso il confronto con la storia e con ciò che già esiste, tenendo conto più delle uguaglianze che delle differenze. 

Anche la sesta edizione della Biennale di Marrakech (dal 24 febbraio all’8 maggio) si interroga sull’altalenante rapporto dell’arte con il nuovo. Intitolata Not New Now, sposta l’attenzione dall’anelito al nuovo, cioè al futuro, verso una maggiore consapevolezza della realtà presente, dove ciò che veramente conta, soprattutto in una prospettiva sociopolitica, è l’azione nel qui e ora. Per questo la mostra darà particolare rilievo ai progetti di carattere pubblico, coordinati dal collettivo franco-marocchino Awaln’art, la cui attività riguarda fin dagli esordi la promozione dell’arte nel contesto urbano. 

Ma a trattare temi d’attualità, legati soprattutto all’intricata relazione tra mondo occidentale e mondo arabo, saranno molti degli artisti presenti in Biennale, che appartengono per la maggior parte all’ambito culturale e geografico afro-mediorientale. Ci sono nomi storici come quelli del pittore Farid Belkhaia (1934- 2014) e del cineasta Ahmed Bouanani (1938-2011) - entrambi marocchini e scomparsi di recente -, che nella seconda metà del secolo scorso hanno presentato e contribuito a rinnovare l’identità del loro paese. Il primo attraverso una sorta di alfabeto berbero fatto di materiali tradizionali come il cuoio, la pelle, l’henné; il secondo con cortometraggi (e un solo lungometraggio del 1979, Mirage) dove la memoria storica si alterna a un immaginario poetico dolce e al contempo amaro. 

Ad artisti ormai celebri sulla scena internazionale - come la libanese Mouna Hatoum (1952) e il franco-algerino Kader Attia (1970) - si affiancano giovani emergenti, tra cui la marocchina Bouchra Khalili (1975), che con i suoi video racconta metaforicamente la vita come un continuo viaggio e passaggio da un continente all’altro; il libanese Haig Aivazian (1980), le cui narrazioni sono frutto di diverse sovrapposizioni linguistiche e semantiche; e l’architetto siriano Khaled Malas - che ha partecipato all’ultima Biennale architettura di Venezia costruendo un padiglione temporaneo all’interno della sezione Monditalia alle Corderie - con un progetto di ricerca sui cambiamenti ambientali e paesaggistici che la guerra ha prodotto nel suo paese (Excavating the Sky, 2014).


Il rapporto fra tradizione e innovazione – tra passato, presente e futuro – è al centro dell’attenzione della Biennale marocchina che apre questo mese.


Speeches-Chapter 3: Living Labour (2013); still dalla trilogia The Speeches Series, film digitale.

Marrakech Biennale
24 febbraio - 8 maggio
www.marrakechbiennale.org

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio