la nascitadella grafica moderna
in italia

La grafica, intesa in senso ampio come produzione di segni e scritture, è uno dei grandi capitoli della storia della cultura visuale dell’umanità.

Oggi il termine - adottato spesso anche in Italia nella versione inglese “graphic design” - viene impiegato comunemente per fare riferimento alla progettazione di artefatti replicabili con una funzione comunicativa(1). In tal senso, l’attività contemporanea dei grafici o progettisti grafici è considerata parte integrante della pratica del design. Secondo alcuni autori, le stesse origini del disegno industriale sono da rintracciare proprio nell’introduzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg e nella progettazione di un prodotto già seriale come il libro(2). Tuttavia, se è vero che la grafica moderna affonda le sue radici nella prima riproduzione di testi e immagini attraverso la stampa, è a partire dalla rivoluzione industriale che essa diventa uno strumento indispensabile di comunicazione di massa e, in quanto tale, assume una posizione centrale nell’economia e nella cultura della società contemporanea. 

È noto che l’Italia possiede un’illustre tradizione tipografica, rappresentata dall’opera di maestri come Aldo Manuzio (1449- 1515) e Giambattista Bodoni (1740-1813), che costituisce un patrimonio di tutta la cultura grafica occidentale. Più raramente si ricorda che il nostro paese ha anche conosciuto, a partire dal secondo dopoguerra, una straordinaria fioritura del design grafico, dando vita a una delle scuole nazionali più importanti e influenti a livello internazionale emerse nel Novecento. 

Il lavoro dei progettisti grafici ha svolto un ruolo chiave nel configurare il paesaggio quotidiano dell’Italia moderna: dai marchi ai manifesti, dagli annunci pubblicitari alle confezioni di prodotti entrate ormai nella memoria collettiva, dalla segnaletica dei mezzi di trasporto ai libri e alle riviste dei maggiori editori, fino all’immagine della moda e del design made in Italy. La grafica ha incrociato inoltre costantemente le diverse manifestazioni della cultura nel nostro paese: non solo le arti visive e l’architettura, con cui è esistita una relazione di scambio privilegiata, ma anche la letteratura, il teatro, il cinema, la musica, la politica, il sistema di informazione giornalistica e dei mass media. 

La storia della grafica italiana è molto ricca di vicende e protagonisti. I paragrafi che seguono intendono offrire una prima introduzione al tema, da cui inevitabilmente molti autori, progetti e committenti restano esclusi. L’auspicio è che possano stimolare l’interesse a conoscere più a fondo l’opera dei grafici, che è una parte importante della nostra cultura.


Leonardo Sonnoli, Paolo tassinari (Studio Tassinari/Vetta), Napoli Teatro Festival (2008-2009), manifesti.


Salvatore Gregorietti (Studio Unimark International), 35. Biennale di Venezia (1970), manifesto.

(1) G. Anceschi, Monogrammi e figure (1981), Firenze 1988.
(2) G. D’Ambrosio, P. Grimaldi, C. Lenza, E se Gutenberg fosse un designer?, in “op. cit. selezione della critica dell’arte contemporanea”, 58, 1983; R. De Fusco, Storia del design (1993), Bari 2009.

Le premesse: dall’artista grafico al progettista grafico

Il design grafico, inteso come attività professionale, è emerso chiaramente in Italia solo negli anni del secondo dopoguerra. Tuttavia, la sua identità si è andata definendo attraverso un arco di tempo più lungo, all’interno del quale occorre menzionare almeno tre sviluppi importanti. 

Il primo di questi è la produzione ottonovecentesca dei cartellonisti, che - dagli artisti delle Officine grafiche Ricordi a Leonetto Cappiello (1875-1942), da Marcello Dudovich (1878-1962) a Gino Boccasile (1901-1952) - hanno elaborato un repertorio di soluzioni formali e stilistiche inevitabilmente legate al susseguirsi delle correnti estetiche, dal Liberty al Déco, dalle avanguardie artistiche fino alla pittura metafisica e al Novecento, al quale le successive generazioni di grafici hanno continuato a fare riferimento. 

Un secondo momento rilevante è stato l’irrompere nel territorio della grafica del futurismo, che con la “Rivoluzione tipografica” lanciata nel 1913 da Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto L’immaginazione senza fili e le parole in libertà ha avuto un’influenza cruciale sulla nascita di un linguaggio grafico moderno in tutta Europa. Smantellando le regole convenzionali della composizione tipografica, il paroliberismo futurista ha liberato le potenzialità espressive dei caratteri da stampa e ha aperto la strada a una vera e propria rifondazione della tipografia(3)

Se è vero che le proposte di Marinetti incontrarono resistenza nell’ambiente tradizionalista dei tipografi e degli stampatori, lo sperimentalismo ludico e vitalistico dei futuristi è rimasto un tratto identitario forte della grafica italiana grazie al lavoro di artisti come Fortunato Depero (1892-1960) e Nicolaj Diulgheroff (1901-1982), nonché di esponenti del secondo futurismo come Erberto Carboni (1899-1984), Franco Grignani (1908-1999) e Bruno Munari (1907- 1998), diventati nel secondo dopoguerra protagonisti della moderna professione del design grafico.


Enrico Bona, “Campo Grafico” (n. 1, gennaio 1939), copertina.

(3) J. Tschichold, The new typography (1928), Berkeley- Los Angeles (CA) 2006; G. Anceschi, op. cit.

Il terzo sviluppo determinante per l’affermazione della grafica moderna in Italia, che ha portato in particolare alla prima definizione della figura del progettista grafico, coincide con l’emergere nella Milano degli anni Trenta di un orientamento astratto-razionalista fortemente influenzato dalle avanguardie europee. 

Nel capoluogo lombardo, già durante il fascismo, erano presenti tutta una serie di fattori determinanti: le aziende con i loro uffici pubblicitari, una posizione geografica che consentiva una relativa apertura verso l’Europa e un ambiente culturale vivace in cui scrittori e intellettuali si confrontavano con gli artisti dell’astrattismo lombardo e gli esponenti dell’architettura razionalista. Inoltre Milano era, insieme a Torino, il maggiore centro dell’industria grafica nazionale, che, attraverso le sue scuole professionali e le pubblicazioni periodiche, giocò un ruolo importante nella discussione, rielaborazione e diffusione dei nuovi orientamenti. La rivista “Il Risorgimento Grafico”, fondata già nel 1902 da Raffaello Bertieri (1875-1941), proponeva in quegli anni una “rinascita” della tipografia italiana attraverso lo studio dei modelli del passato, ma a tale atteggiamento neotradizionalista si contrappose presto una forte ondata di rinnovamento che, lanciata inizialmente dallo stampatore Guido Modiano (1899-1943), si ispirava direttamente alle esperienze moderniste centro-europee. 

Nel 1933 - l’anno in cui nella Germania nazista chiudeva definitivamente la scuola del Bauhaus - a Milano si verificò una singolare coincidenza di eventi che si rivelò decisiva per le sorti della grafica italiana: il padiglione tedesco alla V Triennale presentava una rassegna di lavori dei maggiori protagonisti della Nuova tipografia europea(4), curata da Paul Renner, progettista del Futura, uno dei caratteri tipografici più influenti del modernismo. Edoardo Persico (1900-1936) - critico d’arte e di architettura e primo fra i dilettanti geniali della grafica italiana - lanciava la nuova veste editoriale della rivista “Casabella”, incentrata sulla disposizione asimmetrica di tipografia e fotografia nella doppia pagina. Lo stesso anno esordiva una nuova iniziativa editoriale, la rivista “Campo Grafico”, pubblicata da un agguerrito gruppo di tipografi di avanguardia capitanati da Carlo Dradi (1908-1982) e Attilio Rossi (1909-1994) e apriva lo Studio di Antonio Boggeri (1900-1989), che - attivo fino al 1981 - costituì una fondamentale palestra di formazione per tutta la prima generazione di grafici italiani.


Imre Reiner, Studio Boggeri (1935), annuncio. I primi materiali autopromozionali dello studio mostrano bene la novità della formula di Boggeri, fondata sull’integrazione tra le capacità del disegnatore, del tipografo e del fotografo.

(4) La Nuova tipografia fu un movimento che si diffuse negli anni Venti nei paesi dell’Europa centrale, ebbe tra i suoi maggiori centri di elaborazione il Bauhaus di Weimar e Dessau e trovò una sistemazione teorica nel libro Die Neue Typographie (Berlino 1928) di Jan Tschichold, i cui scritti negli anni Trenta furono tradotti anche in riviste italiane quali “Graphicus” e “Campo Grafico”.

Uscita fino al 1939 in sessantasei numeri ognuno diverso sia nella copertina sia nell’impaginazione interna, “Campo Grafico” diffuse le sperimentazioni di avanguardia presso un pubblico esteso formato da stampatori, compositori tipografici e lavoratori dell’industria grafica e propose un drastico ribaltamento delle priorità in tipografia: dal libro allo stampato comune. 

Piuttosto che commentare le tradizionali edizioni di pregio, nelle pagine della rivista si sottolineava la necessità di progettare con cura e gusto moderno biglietti del tram, moduli burocratici, pieghevoli, opuscoli e cataloghi commerciali; in altre parole, la produzione grafica costantemente a contatto con il pubblico. 

Cataloghi, pubblicità ed “edizioni di propaganda” erano anche gli artefatti disegnati nello Studio Boggeri, che si avvalse fin da subito della collaborazione di professionisti provenienti da altri paesi come Imre Reiner (1900-1987) e l’ex-allievo del Bauhaus Xanti Schawinsky (1904 -1979). Garantendo ai propri clienti un servizio che andava dall’ideazione alla gestione degli aspetti realizzativi della stampa, lo studio si configurava già come una moderna struttura di intermediazione. Dopo aver studiato musica, Boggeri si appassionò alla fotografia e diresse gli stabilimenti grafici Alfieri & Lacroix di Milano. Forte di questa formazione versatile, egli introdusse un metodo di lavoro che sostituiva definitivamente l’approccio pittorico-illustrativo dei cartellonisti con il montaggio di tipografia e fotografia. 

Negli anni Trenta, dunque, si posero le basi per l’affermazione della grafica moderna in Italia, introducendo alcuni elementi di forte discontinuità sia in pubblicità sia nella tradizione tipografica: l’adozione della fotografia, anche nelle sue declinazioni sperimentali come il fotogramma e il fotomontaggio; un uso plastico ed espressivo del carattere tipografico, nei suoi differenti pesi, dimensioni e stili; un impiego misurato del colore e, infine, una composizione fondata sull’equilibrio libero degli elementi, che rompeva la simmetria e la neutralità dell’impianto tradizionale, utilizzando il bianco delle aree non stampate come elemento attivo. 

Tali caratteristiche sono evidenti nella prima produzione di autori come Remo Muratore (1912-1983) o Luigi Veronesi (1908-1998), che parteciparono alla Mostra Grafica organizzata in occasione della VII Triennale del 1940 da Guido Modiano. Inaugurata a pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia, tale rassegna chiudeva idealmente questa prima fase e gettava un ponte verso gli sviluppi postbellici. Una delle ultime sezioni di quella mostra era dedicata a «tipografi d’avanguardia e artisti figurativi». La figura del progettista grafico nasceva, infatti, in quegli anni dall’azione combinata di coloro che tentarono di rigenerare l’arte della stampa dall’interno e di un gruppo di artisti o architetti che guadagnarono sempre maggiore familiarità con gli strumenti e le tecniche tipografiche.


Xanty Schawinski (Studio Boggeri), Illy caffè (1934), manifesto.


Luigi Veronesi (copertina), Bruno Munari, Riccardo Ricas (impaginazione), Il Linoleum. Sua fabbricazione (1938), opuscolo.

GRAFICA ITALIANA DAL 1945 A OGGI
GRAFICA ITALIANA DAL 1945 A OGGI
Carlo Vinti
Un dossier dedicato alla grafica italiana dal 1945 a oggi. In sommario: La nascita della grafica moderna in Italia; La ''terza via'' della grafica italiana (1945-1961); Dall'immagine coordinata all'''altra grafica'' (1961-1973); Fra pubblica utilità e postmodernismo (1973-1989); L'era digitale: dal 1989 a oggi. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.