La pagina nera

museo della civiltà
chissà mai chi lo vedrà

Uno dei più belli di Roma è chiuso da due anni per lavori a oggi neanche iniziati. Quando lo rivedremo?

di Fabio Isman

C'è un museo, a Roma, che incarna, tutti assieme, le virtù e i vizi del paese. Un museo che è un paradigma delle bellezze e delle disfatte nel campo dei beni culturali. È quello della Civiltà romana all’Eur, costruito in modo scenografico e monumentale, e con un accordo assolutamente singolare per il periodo. L’ente dell’E42, che doveva organizzare l’esposizione (mai tenutasi per via della guerra) di quell’anno del Novecento, offre i terreni; il Comune di Roma si impegna per le manutenzioni; la Fiat del senatore Giovanni Agnelli senior edifica l’immobile, che regala purché resti museo fino al 2042. Per costruire il museo, come vedremo, serviranno tre lustri, a partire dal 1939.

Il Museo della civiltà romana non contiene dipinti o sculture preziose, ma soltanto calchi, modellini e ricostruzioni che ne fanno tuttavia l’esposizione probabilmente più completa e avvincente sull’intera epoca romana.

Il luogo, però, è chiuso dall’inizio del 2014, e gli intoppi o inghippi burocratici fanno sì che non si riesca a capire quando mai potrà riaprire. Un bel condensato di ottime pratiche e di pessime abitudini, non è vero? Andiamo con ordine. L’involucro è progettato alla fine degli anni Trenta dagli architetti Cesare Pascoletti, Domenico Bernardini, Gino Peressutti e Pietro Aschieri, già segnalati nei precedenti concorsi per quello che oggi è il quartiere dell’Eur. Gli ultimi due sono i più noti: tra l’altro, autori anche, rispettivamente, di Cinecittà e, nella Città universitaria, della facoltà di Chimica. Pensano a un edificio per celebrare i successi del fascismo, e ci pensano in grande: due stabili contrapposti alti dieci metri, dodicimila metri quadrati, uniti da un massiccio colonnato di trentasei enormi pilastri di travertino. Dopo la mostra per l’Esposizione, la struttura sarebbe diventata appunto museo.


Plastico della Roma costantiniana.

Un’esposizione atipica, con copie e gessi invece che originali


La guerra procrastina tutto; la costruzione è completata solo nel 1952, e inaugurata tre anni dopo. Muri bugnati in peperino; profusione di pilastri anche nei due edifici; sotto il colonnato, è interrata una galleria. Pressoché assenti finestre e lucernari, abituali nei musei. E la piazza antistante, in origine pensata di cento per settantatre metri, doveva essere lastricata in marmo, con una vasca d’acqua rettangolare al centro: è intitolata ad Agnelli senior. Quando, a fine anni Novanta, il museo denunciava i primi guai, il figlio, anch’egli Giovanni e senatore però chiamato l’Avvocato, pensava di intervenire di nuovo, essendo la sua famiglia profondamente legata al luogo; probabilmente, non ne ha avuto il tempo, e ora la FCA, che ha sostituito la Fiat, non ci pensa affatto.

Il museo è assolutamente atipico. Raccoglie copie e calchi, come abbiamo accennato, e non opere d’arte (ammesso che le riproduzioni non lo siano: qualche volta, lo vedremo, forse non è del tutto vero): in gran parte, pezzi provenienti da due storiche esposizioni. Nel 1911, per i cinquant’anni dall’Unità d’Italia, Rodolfo Lanciani, grande archeologo e protagonista di degli scavi postunitari a Roma, organizzò quella archeologica, votata a illustrare appunto la civiltà romana: opere poi finite in un ex pastificio, divenuto il Museo dell’Impero romano dal 1929. In ottanta sale del Palazzo delle esposizioni, invece, nel 1937 si aprì la mostra per il bimillenario di Augusto.


Il colonnato che caratterizza l’esterno del museo.

Questi oggetti, più qualcosa d’altro, sono ora sistemati nelle cinquantanove sale del museo all’Eur, oltre trentacinquemila metri quadrati, per merito di Giulio Quirino Giglioli, già assistente di Lanciani. Tre dei vanti del luogo sono il plastico di duecento metri, in scala 1:250, con cui Italo Gismondi descrive la Roma costantiniana del IV secolo; quello dell’Urbe arcaica, realizzato nel 1994 da Lorenzo Quilici; e il calco dei rilievi della Colonna traiana, innalzata da Apollodoro di Damasco nel 113, e fatta eseguire in tre copie da Napoleone III nel 1861: le altre sono a Saint-Germainen- Laye (in Francia) e a Londra (al Victoria and Albert Museum). Questa, regalata a Pio IX, fu prestata da Pio XII al museo dell’Eur, dopo essere rimasta fino al 1953 ai Musei vaticani: duemilacinquecento personaggi nei duecento metri di un’originale struttura compositiva, collocati in quattro file parallele che permettono di seguire l’intero racconto.

Il museo è gradito a scolaresche e stranieri: fa conoscere, in un unico luogo, l’intera epopea di un periodo storico. Nelle prime quindici sale si viaggia dalle origini dell’Urbe al VI secolo; tra gli oggetti più apprezzati la ricostruzione della colonna rostrata con cui Caio Duilio celebrò, nel 260 a.C., la vittoria sui cartaginesi a Milazzo.


La sala con i calchi dei rilievi della Colonna traiana.

Dal 2004, vi è stato trasferito il Planetario cittadino, già nell’Aula ottagona delle Terme di Diocleziano, con il Museo astronomico: un’altra indubbia attrattiva per le giovani leve, che passano così dalle stelle alla ricostruzione di una torre o di un carro da battaglia romani, a una balestra e ad altre macchine belliche, oppure a un campo trincerato e ai modelli del Foro di Pompei - opera di di Amedeo Maiuri, in scala 1:50 -, dei vestiari militari nell’VIII secolo a.C., del ponte fatto costruire da Cesare per valicare il Reno. Si prosegue con la copia a grandezza naturale della statua di Augusto di Prima Porta e il Colosseo in versione integra. Ci sono pure il Guerriero di Capestrano, il cui originale è a Chieti; il sarcofago di Stilicone, che è a Milano, in Sant’Ambrogio; una copia del colossale Tevere che è ai Musei capitolini; un modellino 1:100 dello Stadio di Domiziano, quelli di Villa Adriana a Tivoli, di un ponte sul Danubio e così via.

Tutto questo, ormai da due anni non si può più visitare. Pareva che la chiusura riguardasse poche sale, e chiedesse poco tempo per metterle a norma; ma non è così, e tutto è stato totalmente sbarrato per ordine dell’Ispettorato del lavoro; né i lavori di ripristino sono ancora cominciati. Il sovrintendente ai Beni comunali di Roma, Claudio Parisi Presicce, ammette che, dacché il museo è sorto, non ci sono mai stati interventi. Bisogna rifare i solai e gli impianti (anche quelli antincendio), rimettere mano al colonnato esterno in travertino. Stima oltre due milioni di euro di spesa. I fondi erano stati stanziati già nel 2006, ma sono lasciati a languire.
Appena arrivato, Presicce emana un bando: raccoglie centotrenta partecipanti. Chi lo vince, viene poi escluso per documentazione non idonea di uno dei subappaltatori. Però ricorre al Tar quando l’appalto è conferito alla seconda ditta classificata. Nel frattempo, una delle due società classificatesi ai primi due posti è travolta dallo scandalo veneziano degli appalti per il Mose. Si pensa che l’incarico andrà alla terza classificata. Però, probabilmente, dopo il verdetto del Tar ci sarà un appello al Consiglio di Stato; e dopo tanto tempo, chi si aggiudicherà l’incarico vorrà contrattare i ribassi ai quali si era impegnato. I lavori, nemmeno iniziati, sono previsti per una durata di due anni; salvo, s’intende, ulteriori intoppi, che non sono affatto da escludere. E il Museo della civiltà, chissà mai chi lo rivedrà. Ma, soprattutto, chissà mai quando.

ART E DOSSIER N. 328
ART E DOSSIER N. 328
GENNAIO 2016
In questo numero: DAGLI IMPRESSIONISTI A PICASSO Capolavori dal Detroit Institute of Arts in mostra a Genova. COME TI VESTI DIAVOLO? L'inferno cinese, in frac e cilindro, demoni latini, le corna apotropaiche, il lato oscuro di Giovanni Gastel. IN MOSTRA De Chirico, Lam, El Greco. Direttore: Philippe Daverio