Se Dizang è la divinità, chi realmente amministra l’inferno e Yanluo, il re degli inferi, al quale fanno riferimento i dieci giudici. Un omone grande e grosso con viso rosso e barba lunga e folta: le anime dei morti vengono accolte alle porte dell’inferno da Faccia di cavallo e Faccia di bufalo - i due guardiani dal corpo di uomo e volto di animale - per poi essere condotti al cospetto di Yanluo, il quale le smista a uno dei dieci livelli. Ed è qui che i defunti dovranno confessare le proprie colpe, dopo aver subito le torture. Un intero capitolo del Sutra dei dieci re è dedicato alla minuziosa descrizione delle nefandezze che accadono in quei budelli ultraterreni, messe in atto da esseri demoniaci dall’aspetto ripugnante, demoni dai lunghi canini aguzzi, pelle bluastra o rossa, peluria ispida, corna puntute e forza sovraumana.
Demoni dai lunghi canini aguzzi, pelle bluastra o rossa, peluria ispida, corna puntute
Yanluo e gli altri giudici assistono imperturbabili alle crudeltà, seduti alle loro scrivanie sulle quali si dispongono libri contabili, contenitori e strumenti per la scrittura, come fossero funzionari dello Stato piuttosto che divinità. Anche i loro abiti sono quelli adoperati solitamente dai membri della burocrazia terrena. L’inferno si struttura dunque come fosse un ufficio governativo, ed è questo un chiaro rimando al sistema concepito dalla filosofia confuciana, alla base della quale vi è il rispetto delle gerarchie in qualsiasi ambito esse vengano istituite, dalla famiglia all’organizzazione dello Stato. Ed è tipico del confucianesimo anche l’accento posto sulla pietà filiale, pratica che con sue modalità si ritrova anche nello svolgersi delle procedure infernali: mentre l’anima del defunto viene strapazzata dai demoni, i suoi parenti in vita, e i figli in particolare, officiano riti in sua memoria che le consentiranno di ridurre i tempi di permanenza in quei luoghi di crudeltà. Come detto, inoltre, nella struttura dell’inferno cinese compaiono anche riferimenti al taoismo. Tra questi, il giudice del settimo girone, per esempio, è il re del monte Tai, luogo che secondo le credenze popolari ospitava il regno dei morti: in alcune scritture buddiste redatte in Cina si legge che questo personaggio era stato fisicamente presente agli ultimi sermoni di Shakyamuni, il fondatore del buddismo indiano.
Una breve ma gustosa descrizione dell’inferno cinese compare anche nel Viaggio in Occidente, celebre romanzo pubblicato anonimamente nel 1590 ma tradizionalmente attribuito all’erudito Wu Cheng’en, nel quale si raccontano le peripezie di una combriccola di strambi personaggi in viaggio dalla Cina verso l’India. Un capitolo è dedicato all’avventura dell’imperatore Taizong (599-649 d.C.), il quale da morto si recò all’inferno - accompagnato dal giudice Cui Jue - per essere resuscitato. Il suo fu un viaggio di redenzione, che per certi versi assomiglia - pur con le ovvie differenze - a quello di Dante e Virgilio. Taizong è stato uno dei più influenti sovrani della dinastia Tang (618- 907), che fu un periodo storico in cui il buddismo raggiunse dapprima il suo apice di influenza e quindi l’inizio della decadenza, legata principalmente a questioni di ordine politico piuttosto che religioso.