XXI secolo. 1
Tradizioni demoniache e arte contemporanea in America Latina

la danza
di zio diavolo

Antiche tradizioni andine, divinità preincaiche, danze carnevalesche, avanguardie neobarocche trovano nella figura del demonio un materiale utile a una rielaborazione creativa. Ne è un esempio il lavoro fotografico di Demian Schopf.

Elena Agudio

Scenari di disfacimento su cui si stagliano - raggianti nei colori, surreali nell’espressione delle loro maschere - figure misteriose e demoniache. Sono Los tíos del diablo, come li ha chiamati l’artista tedesco ma attivo in Cile Demian Schopf, “gli zii del diavolo”, protagonisti della serie fotografica scattata dall’artista nel 2012 sullo sfondo di discariche tra il Nord del Cile (Alto Hospicio) e la Bolivia (Oruro ed El Alto). Come figure erranti nella terra di nessuno alla fine di un carnevale bachtiniano ove tutto sembra essere stato lecito, queste figure demoniache sono emblema della promiscuità e dell’incontro tra diverse culture, quelle stesse che sul territorio latinoamericano e andino si sono incontrate, combattute e sincretizzate: la cultura indigena e quella cattolica, quella precolombiana e quella europea, quelle dei flussi migratori più recenti, fino alle derive contemporanee del Neobarocco e del kitsch, della fantascienza e della cultura transessuale.

I lavori di Demian Schopf sono raffinate riflessioni sulla storia della colonizzazione e dell’evangelizzazione dell’America Latina, sulla silenziosa resistenza della cultura indigena (come nella sua serie degli angeli archibugieri ispirati al Barocco andino, The Silent Revolution) e sui processi di sincretismo e di transculturazione delle immagini. Il titolo di questa serie allude alla relazione che nell’altipiano andino esiste tra il culto della Vergine Maria e il culto del Tío, una creolizzazione tra una divinità precolombiana conosciuta come Tiw e quello che nel pantheon cattolico occupa il posto del diavolo.

Mescolanze e contaminazioni globali che si riflettono nel paesaggio desolato


Il Tiw nella mitologia della popolazione preincaica Uros era il dio del mondo sotterraneo, dei vulcani e delle miniere, e il suo culto era così presente nella cultura indigena che la Chiesa e i missionari evangelizzatori non poterono sradicarlo e dovettero incorporarlo come un subculto della Vergine, in un processo di traduzione culturale e di transculturazione che spesso l’iconografia latinoamericana, e quella andina in particolare, ci mostrano. «Questo per me è il riflesso di una dinamica culturale universale, che in America Latina ha la sua particolarità, e si mostra soprattutto nella commistione della cultura popolare con quello che lo scrittore e saggista cubano Severo Sarduy ha definito come Neobarocco. Questo termine ha dato il nome a un’avanguardia artistica latinoamericana - molto attiva a Cuba, in Argentina e Uruguay - che è una delle poche che ha valicato i confini del nostro continente», ci racconta Demian Schopf.


La serie è ispirata alla Diablada di Oruro, il caratteristico tradizionale carnevale boliviano celebrato a 3.500 metri di altezza, dichiarato “Capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità” dall’Unesco. Una tradizione derivata dalle tipiche danze catalane quattrocentesche, dette “Ball de diable”, e sincretizzata con le celebrazioni degli indigeni boliviani Uros: accanto alle sfarzose e coloratissime coreografie che rappresentano la conquista spagnola, ricorrono i ritmi delle danze eseguite anticamente dagli indigeni in onore della dea Pachamama, la grande divinità della Terra.

Come per molte altre festività tradizionali nel mondo, per un anno intero le famiglie boliviane preparano le maschere per la danza di gruppo del carnevale. I costumi (che possono arrivare a costare fino a ventimila dollari) sono diventati simbolo di uno status sociale per la prosperosa classe mercantile locale, nota come borghesia “chola”. Si tratta di costumi che rappresentano diavoli e i sette peccati capitali.


La sfilata delle maschere è aperta da danzatori travestiti da orso e da condor, seguiti da Satana e da altri personaggi come Tío Supay, lo zio delle montagne che diventa il diavolo dopo la conquista spagnola, da China Supay, moglie del diavolo e personificazione della tentazione e della lussuria, o dall’arcangelo Michele, simbolo della giustizia divina.

In Europa si trova ancora traccia di questa tradizione non solo negli spettacolari “Correfuegos” (gli antichi “Ball de diable”), danze tipo passacaglia derivate dal teatro di strada medievale, ma anche nei più spaventosi “Krampus” celebrati nei paesi germanici, in occasione della festa di Sankt Nikolaus, dove diavoli dall’aspetto ben meno psichedelico e meticcio di quello dei colleghi boliviani la sera del 5 dicembre girano per le strade a incutere timore e punizioni a bambini poco obbedienti.

Le figure demoniche della Diablada e di Los tíos del diablo sono invece il frutto di infinite mescolanze referenziali, dove si ritrovano evidenti tracce della cultura asiatica, di quella occidentale e di quella andina, tanto che l’artista stesso ci spiega che «questi personaggi - con il loro aspetto fluorescente e psichedelico - sono finiti per apparire più i protagonisti di un prodotto di animazione giapponese per adulti, che altra cosa». Mescolanze e contaminazioni globali che si riflettono anche nel paesaggio desolato e fatiscente in cui l’artista ha scelto di inscenare la sua serie, realizzata negli slums alle porte delle metropoli contemporanee che Schopf definisce come tratto caratteristico del paesaggio suburbano in paesi come il Cile e la Bolivia. Come suggerisce: «Queste discariche potrebbero anche trovarsi in Asia o in Africa, per esempio in Ghana, la nuova discarica dei rifiuti elettronici dell’Europa». Nuove città in formazione frequentate da cani famelici e da tossicodipendenti, che passano il loro tempo a bruciare il pattume per fondere i metalli e scambiarli per comprarsi altra droga. Un paesaggio suburbano che oscilla tra il catastrofico e il post.


ART E DOSSIER N. 328
ART E DOSSIER N. 328
GENNAIO 2016
In questo numero: DAGLI IMPRESSIONISTI A PICASSO Capolavori dal Detroit Institute of Arts in mostra a Genova. COME TI VESTI DIAVOLO? L'inferno cinese, in frac e cilindro, demoni latini, le corna apotropaiche, il lato oscuro di Giovanni Gastel. IN MOSTRA De Chirico, Lam, El Greco. Direttore: Philippe Daverio