cataloghi e libri

DICEMBRE 2015

STREET ART
Storia e controstoria, tecniche e protagonisti

Per sua natura la Street Art, che pure ha in parte radici nel graffitismo anni Ottanta, sfugge a definizioni precise. Ormai «la strada è una galleria d’arte», come recita lo spot di una multinazionale mentre inquadra una zebra dipinta su un anonimo muro. Il fenomeno è diffuso e interessa non solo centri sociali, blog e siti web. Se ne occupano musei e galleristi, per quanto le origini controculturali avrebbero dovuto mantenere la Street Art ai margini dell’ufficialità e del mercato. L’Italia ha un ruolo non secondario nel fenomeno così articolato e vario: basti pensare che nel 2008 il bolognese Blu è stato fra i sei «internationnally acclaimed artists» invitati al primo evento espositivo europeo, alla Tate di Londra. Blu è ovviamente uno pseudonimo, come si usa fra gli street artist. Lo stesso Basquiat, lanciato nel 1981 dalla galleria modenese Mazzoli, all’inizio si firmava Samo (Same Old Shit). E nel 1989 un fantomatico Obey era in realtà il giovanissimo Shepard Fairey, oggi sapiente imprenditore di se stesso. C’è ancora chi lavora nell’anonimato più radicale, come l’incappucciato Bansky; fra le sue sensazionali azioni occulte, quella di “esporre” al British Museum un falso reperto archeologico ignorato a lungo dai curatori del museo. Quest’estate ha perfino organizzato in un centro turistico decaduto del Sussex un evento mediatico, con trailer diffuso dal web e prevendita: “Dismaland” (dismaland.co.uk) ha attirato gente da tutto il mondo. Era dunque tempo che uscisse in Italia un bel libro- strenna come quello di Duccio Dogheria (autore anche del dossier Street Art, n. 315, Giunti Editore), con un taglio azzeccato e originale. Nella prima parte recupera le fonti più remote, dai graffiti preistorici ai murales messicani, dalle scritte di Pompei alla propaganda di epoca fascista, dai giornali affissi ai muri e non in vendita delle rivolte studentesche alle azioni illegali degli “sprayer” anni Settanta, per arrivare nella seconda alla Street Art vera e propria degli ultimi decenni, ai suoi tanti artisti e alle tecniche più varie. In questo bailamme Dogheria storicizza, fa ordine e ben spiega come raccapezzarsi.

Duccio Dogheria Giunti Editore, Firenze 2015 240 pp, 258 ill. colore € 39

BURRI
Materia la prima

Sono trascorsi sessant’anni dalla prima monografia su Alberto Burri (1915-1959), pubblicata da James J. Sweeney, direttore del Guggenheim di New York. La prima personale in America, dove Burri era stato in campo di concentramento, è del 1953, e quell’anno Sweeney lo aveva conosciuto a Roma. Nel 1955 scrisse il libro sull’artista, di cui espose alcune opere negli Stati Uniti, rinforzandone la notorietà. Burri era stato ufficiale medico, e al tempo ferite e suture, da lui inflitte su supporti di materiali effimeri, erano viste soprattutto come allegoria della guerra. Oggi, nel centenario della nascita, esce opportunamente aggiornata la notevole revisione critica di Giuliano Serafini, fra i curatori che più gli sono stati vicino, con mostre e pubblicazioni, nelle ultime decadi di vita. Un libro che non è solo una monografia: ricordi personali, appassionati eppur cristallini nell’evidenziare la caratterialità del maestro, s’intrecciano a un’attenta analisi del percorso artistico e umano di uno dei più celebrati e solitari artisti del Novecento.


Giuliano Serafini Giunti Editore, Firenze 2015 200 pagine, 167 ill. b.n. e colore edizioni in italiano e in inglese € 49

LA PITTURA OLANDESE DEL SECOLO D'ORO 

Un cagnolino alza la zampa per far pipì mentre due monelli disegnano su un muro: non c’è niente di male, se non fosse che la scena avviene fra le navate della luminosa Oude Kerk di Delft. Tutto poteva accadere, sulla metà del Seicento, nella florida e liberale Repubblica delle Province Unite, riconosciuta come tale nel 1648. Siamo nel pieno di un’irripetibile stagione artistica che vide proliferare a Delft, Utrecht, L’Aja, Amsterdam, Haarlem, Leida (nel territorio poco più grande d’un paio di regioni italiane), ritratti, scene di genere, nature morte, dipinte per la ricca borghesia non solo da pittori come Rembrandt, Hals, Vermeer, che oggi tengono banco alle mostre di tutto il mondo, ma anche da altri come Emanuel de Witte, nato a Alkmaar attorno al 1617, poi attivo a Delft e ad Amsterdam, specializzato, appunto, in interni di chiese. Due suoi dipinti furono esposti alle Scuderie del Quirinale nella mostra del 2012 sulla pittura olandese. Per chi non l’abbia vista, né abbia consuetudine con i musei stranieri, basterebbe affacciarsi alle raffinate sale blu della Galleria degli Uffizi per rendersi conto della qualità e varietà degli olandesi del Secolo d’oro, che i Medici fra i primi collezionarono. Negli ultimi anni questi temi, indagati magistralmente, fra gli altri, da Svetlana Alpers o Simon Schama, sono stati rilanciati da scrittori come Tracy Chevalier, Gaëlle Josse, e di recente Donna Tartt (che ha reso familiare un piccolo, misterioso capolavoro, Il cardellino, dipinto da Carel Fabritius, morto tragicamente a Delft nel 1654). A sorreggerci nella comprensione di questo mondo affascinante, con una scrittura piacevolissima, giunge ora il libro di Claudio Pescio, che da anni si occupa di pittura olandese e spesso ne ha reso conto su “Art e Dossier”: un libro da leggere d’un fiato, che illustra vita e opere dei grandi, senza trascurare gli artisti meno noti. E che indaga ampiamente non solo sui risvolti sociali ma anche sui significati occulti di certe opere, chiariti attraverso la letteratura all’epoca molto in voga, o le consuetudini di un mondo fatto di «sobrietà e bulimia», come spiega Daverio nella prefazione.


claudio pescio introduzione di philippe daverio Giunti Editore, Firenze 2015 144 pp., 200 ill. circa colore € 39

L’OROLOGIO DI ORFEO

Dopo Un’eredità di avorio e ambra di Edmund de Waal (2011), commovente, proustiana rievocazione dei suoi avi, i banchieri ebrei Ephrussi, non si fatica a credere che anche il bellissimo libro di Goodman interesserà il pubblico italiano, a pochi mesi dall’uscita negli Stati Uniti. L’orologio del titolo è un oggetto da tavolo in oro, bronzo e ferro, cesellato con storie di Orfeo nell’Ade. Fu eseguito a Norimberga nella bottega del virtuoso orafo e incisore manierista Wenzel Jamnitzer, attorno al 1560. Dal 1973 è al Landesmuseum Württemberg di Stoccarda, ma agli inizi del XIX secolo fece parte della collezione di argenti del bisnonno di Simon, Eugen Gutmann (1840-1925): una raccolta eccelsa che lo storico dell’arte Otto von Falke pubblicò con risonanza a Berlino nel 1912. Quando nel 2011 Simon, nipote di Fritz, uno dei figli di Eugen, toccò per la prima volta il mirabile orologio, vide che dai congegni uscivano ancora granelli di sabbia: la sabbia con cui l’aveva ricoperto il nazista Julius Böhler, che se ne era impadronito con mostruosi sotterfugi, e poi, nella fuga ai tempi della disfatta del Terzo Reich, lo aveva sepolto presso un lago, dove fu recuperato dagli alleati (a Stoccarda è giunto dopo vicende rocambolesche). Questa è solo una tessera del mosaico ricostruito da Simon Goodman con determinazione, dopo aver rintracciato alcuni pezzi di proprietà del bisnonno, ma anche alcuni rari oggetti e dipinti appartenuti al nonno. Fra i tanti capolavori, un ritratto attribuito a Botticelli, vedute veneziane e “capricci” di Guardi e Ricci, una sublime natura morta di Liotard, un dagherrotipo di Degas, e perfino il Peccato del simbolista Von Stuck. Il caso Gutmann (cognome originale della famiglia) in questi anni ha fatto scalpore nel mondo spesso reticente di musei, case d’asta e collezionisti più o meno ignari di aver acquisito opere d’arte trafugate dai nazisti a migliaia di ebrei. Fritz Gutmann fu massacrato in un lager e la moglie morì in una camera a gas. Simon lo ha saputo solo dopo la morte del padre Bernard (1994), quando ha iniziato la ricerca per restituire storia e dignità a una famiglia umiliata e distrutta.

Simon goodman, traduzione di Andrea Vincre Mondadori Electa, Milano 2015 380 pp., 23 ill. b.n., 19 colore € 19,90; eBook € 6,99

ART E DOSSIER N. 327
ART E DOSSIER N. 327
DICEMBRE 2015
In questo numero: ARTE GLOBALE Dalla Gallia romana alla nascita del gotico secondo Daverio, al mito dei grattacieli. MONZA Il ritorno di Teodolinda. IN MOSTRA Bosch/Brueghel, Balthus, Ai Weiwei.Direttore: Philippe Daverio