Grandi mostre. 2 
La cappella di Teodolinda a Monza

IL RISVEGLIO DELLA
BELLA ADDORMENTATA

Gli affreschi della cappella di Teodolinda, che narrano la storia della regina longobarda e della sua corte, riprendono vita dopo un lungo e accurato restauro tutto al femminile.

Melisa Garzonio

Il Tempo la faceva ormai da padrone nella cappella della regina. Spessi strati di polvere e i gonfiori causati dall’umidità, dal nerofumo dei ceri e dei bracieri avevano alterato i bei volti di principesse e cavalieri, e perfino i cavalli bianchi con le loro preziose bardature, i fiori e le erbe un tempo rigogliose dal pavimento al soffitto avevano perso turgore e vitalità. Che dolore vedere quei meravigliosi affreschi impallidire di giorno in giorno. Ma quando già si parlava di consunzione dei colori, ecco un soffio deciso ridare vita alla Bella addormentata Teodolinda e alla sua corte. La metafora della celebre favola rende con garbo e ironia la storia di un eccezionale restauro che, in sei anni di certosina dedizione e con un investimento che sfiora i tre milioni di euro, ha riportato all’antico splendore i dipinti quattrocenteschi della cappella di Teodolinda del duomo di Monza, eretta insieme alla gemella di destra dedicata alla Vergine, nell’ambito del rifacimento della parte absidale che coinvolse la fabbrica trecentesca del duomo alla fine del XIV secolo. Cinquecento metri quadrati di pitture realizzate in cinque registri sovrapposti che rivestono completamente le pareti, dove con enfasi pittorica si racconta, in quarantacinque scene animate da ottocento personaggi, tra uomini e animali, la storia vera di Teodolinda, principessa bavara di fede cattolica andata in sposa nel maggio del 389 ad Autari, re dei longobardi, e di nuovo maritata, dopo la sua morte, con Agilulfo. Scomparsa nel 627 dopo ventotto anni di regno, Teodolinda entrò nella storia e nella leggenda per essere stata una sovrana illuminata e pia, compagna solidale di entrambi i suoi mariti, e artefice dell’importante connubio tra la religione ariana e la Chiesa di Roma. Come in un racconto illustrato, le storie dipinte della regina si srotolano sulle pareti della cappella offrendosi in gustose scenette ridondanti di dorature, lacche e colori di gusto tardogotico. Ci sono il re e la regina, i paggi ossequiosi e le damigelle civettuole, tutti in sontuosi abiti damascati, chi accompagnato dal cagnolino, chi dal falchetto, e poi musicanti, tavole imbandite, insomma aria di festa e di ricercati ozi aristocratici. Per non parlare delle scene nuziali, se ne contano ventotto, che hanno indotto a pensare al matrimonio per amore, ma anche per passaggio di potere, tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti nel 1441. Nell’insieme, la narrazione murale della cappella è uno spaccato perfetto di una corte principesca del Nord Europa all’alba del Rinascimento. Gli artisti hanno attinto a piene mani dall’Historia Langobardorum (VIII secolo) di Paolo Diacono, integrando con le cronache dello storico monzese d’epoca viscontea Bonincontro Morigia.



gli affreschi della cappella di Teodolinda dopo il restauro. Sviluppo fotometrico delle pareti.

affreschi della cappella di Teodolinda dopo il restauro.

I dipinti murali, non eseguiti con la tecnica del “buon fresco” che li rende insolubili, ma su una base in latte e calce, a secco, con finissimi colori stemperati in medium organici - uovo e olio - furono realizzati nel 1444 dalla bottega della famiglia Zavattari. “Dominus” dell’impresa fu probabilmente Franceschino, figlio del mastro vetraio Cristoforo con i figli Gregorio e Giovanni, e un aiuto nella macinazione dei colori. Tanta cura e passione avevano creato una magia sublime, ma purtroppo deperibile nel tempo. I primi interventi conservativi furono avviati nel 1615: Bartolomeo Zucchi ottenne da Guglielmo di Baviera centoventi scudi d’oro per piccoli ritocchi alle pitture. Nel Settecento si intervenne (non sempre a proposito) ben quattro volte.

La narrazione murale della cappella è uno spaccato perfetto di una corte principesca del Nord Europa all’alba del Rinascimento

Il danno peggiore lo fece un tale «Giovanni Valentino napoletano che tolse tutto il bello e il prezioso» (frase pronunciata nel 1714 dal cronista Giuseppe Maurizio Campini). Nell’Ottocento la campagna di restauri fu intensificata, Antonio Zanchi rifece tutta la pastiglia dorata della volta. Negli anni Sessanta del Novecento si occupò dei lavori Ettore Chiodo Grandi. Inutilmente: corrose da sostanze troppo abrasive, le figure perdevano i contorni, il bel volto di Teodolinda si faceva sempre più pallido, i colori si sfogliavano. Nel 1960-1961 fu fatto l’ultimo restauro a cura della Soprintendenza per i beni artistici e storici. Oggi il capolavoro degli Zavattari è tornato a risplendere, grazie all’impegno della Fondazione Gaiani, ente di gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio artistico del duomo di Monza, con il contributo di World Monuments Fund e la Marignoli Foundation. Dal punto di vista operativo entrano in gioco le Soprintendenze, il Cnr e l’Opificio delle pietre dure di Firenze. Coppia modello di imprenditori e mecenati, l’ingegner Franco e sua moglie Titti Giansoldati Gaiani sostengono da anni con la loro fondazione i tesori artistici del duomo di Monza, in collaborazione con l’arciprete emerito monsignor Dino Gariboldi. Entrambi innamorati delle stesse cose, hanno però sportivamente deciso di dividersi i compiti. La signora si occupa di Teodolinda, il marito del Museo del duomo. Onere di cui Gaiani si fa volentieri carico, essendo il museo (interamente ipogeo), munifico regalo alla città di Monza, una creatura costruita con la sua impresa nel 2007 su progetto dell’architetto e designer di fama Cini Boeri.


Sull’altare della cappella di Teodolinda, la Corona ferrea, identificata da recenti indagini scientifiche come un’insegna reale tardoantica, forse ostrogota, passata ai re longobardi e pervenuta infine ai sovrani carolingi, che l’avrebbero fatta restaurare e donata al duomo di Monza.








Per il restauro della cappella di Teodolinda, sovrana intelligente e di gusti bucolici, che scelse Monza come residenza estiva del regno longobardo, hanno lavorato solo donne. Dalla responsabile Anna Lucchini alle undici giovani restauratrici che l’hanno affiancata dall’apertura del cantiere il 21 maggio 2008 fino al restauro ultimato in data 12 dicembre 2014. Un discorso a sé merita il progetto luce affidato a Serena Tellini e Francesco Iannone, che hanno illuminato gli affreschi con la nuova tecnologia led. Vero è che lo spettacolo della luce è un capolavoro nel capolavoro, di cui tutti adesso possiamo godere. Ma lasciateci dire fortunato a chi ha potuto vedere a distanza ravvicinata le favole della regina Teodolinda. Fino ad aprile, infatti, gli ospiti in visita alla cappella hanno avuto la possibilità di poter salire sui ponteggi delle restauratrici e concedersi un’osservazione “vis-à-vis” delle bellissime scene che adesso devono vedersi dal basso girando la testa in su, meglio se muniti di binocolo.

ART E DOSSIER N. 327
ART E DOSSIER N. 327
DICEMBRE 2015
In questo numero: ARTE GLOBALE Dalla Gallia romana alla nascita del gotico secondo Daverio, al mito dei grattacieli. MONZA Il ritorno di Teodolinda. IN MOSTRA Bosch/Brueghel, Balthus, Ai Weiwei.Direttore: Philippe Daverio