Grandi mostre. 2 
Balthus a Roma

LA SEDUZIONE
DEL DISAGIo

Opere dal realismo aspro e sovversivo, i quadri di Balthus racchiudono temi spesso “scandalosi” in composizioni rigide e teatrali, ispirate alla pittura rinascimentale. Dai primi lavori al soggiorno a villa Medici, fino ai dipinti più tardi, la mostra romana ripercorre tutta la sua produzione. Ce ne parla qui la curatrice.

Cécile Debray

La pittura di Balthus (Balthasar Klossowski de Rola, 1908-2001) è rara, oggi poco esposta. La comparsa delle sue ultime polaroid - raffiguranti la sua giovanissima modella degli anni Novanta - ha suscitato una polemica, anacronistica e tuttavia molto attuale, a proposito dell’universo balthusiano, rivelando una conoscenza sommaria e parziale della sua opera ma soprattutto un clima reazionario. In questo momento, perciò, una retrospettiva Balthus si rende necessaria. A quindici anni dalla morte dell’artista, dopo la memorabile esposizione veneziana di palazzo Grassi organizzata da Jean Clair nel 2001, l’opera di Balthus va mostrata ancora una volta, per fornire al pubblico di oggi una lettura autentica delle implicazioni pittoriche, estetiche, intellettuali e storiche a essa legate.
Il contesto del 2001 - momento della scomparsa del pittore - è mutato: mentre all’epoca il curatore della mostra - con un vero e proprio tour de force di cui gli fu reso merito - era riuscito a raccogliere tutti i quadri esposti nel 1934 alla Galerie Pierre di Parigi, compreso lo scandaloso Lezione di chitarra (1933), oggi riunire i dipinti di Balthus è difficile ed esporre opere quali Thérèse con gatto (1937) o I bei giorni (1944-1946) suscita reazioni irritate e moraliste.
Il realismo aspro di Balthus provoca ancora un disagio e una tensione che costituiscono la forza e la particolarità della sua pittura, inclassificabile. La potenza delle sue immagini è tanto più duratura quanto più classico è il suo stile, caratteristica che Pierre Klossowski - il fratello - enuncia con precisione: «In Balthus il vincolo della disciplina pittorica tradizionale esercita una censura nei confronti del suo stesso pathos; ma, come nei “classici”, il pathos ne risulta favorito»(1). È alla questione del realismo e della rappresentazione che bisognerebbe rimandare gli osservatori della nostra epoca, cieca nei confronti della pittura. Scrive il filosofo Philippe Lacoue- Labarthe nel 1984, in occasione della prima retrospettiva: «Non credo che l’intento di Balthus sia “dipingere la realtà”, anche se la realtà, per ciò che possiede di insolito (non di meraviglioso, ma di enigmatico), lo affascina e attira il suo sguardo. E gli permette di vedere. Ma il suo proposito è proprio rappresentare ciò che permette di vedere»(2). «Rappresentare ciò che permette di vedere» sembra indicare con estrema precisione quello che l’anziano Balthus tenta disperatamente di fare con le sue polaroid, ripetute e ripetitive.

Dandy e aristocratico, imprevedibile e caustico,
seducente e provocatore



Il fulcro della mostra si basa sull’approccio fondamentale costituito dalle analisi contemporanee di Antonin Artaud, Pierre Klossowski e Pierre Jean Jouve(3) sulla dimensione sovversiva e crudele delle opere di Balthus che risalgono agli anni Trenta del Novecento, caratterizzate da una figurazione incisiva; le analisi sono poi completate dalla visione filologica di Jean Clair(4) che ricolloca il pittore in un sottile reticolo di relazioni testuali e visive, all’interno di un vasto contesto culturale che va dall’Italia del Rinascimento fino alla Mitteleuropa degli anni Venti e agli artisti italiani del Novecento, studio che ha aperto la strada alle analisi storiche posteriori. La pubblicazione nel 1999 della curiosa e amara biografia a opera di Nicholas Fox Weber(5), alle prese con la questione dell’ebraicità di Balthus, ha evidenziato più chiaramente il tema dell’identità del personaggio di dandy e di aristocratico imprevedibile e caustico, seducente e provocatore che Balthus ha costruito durante la sua lunga vita: dal giovane Balthus protetto da Rilke all’amico di Artaud, di Giacometti e di Bataille, dal conte di Rola rinchiuso nel castello di Chassy con la giovane nipote Frédérique al brillante e mondano direttore dell’Accademia di Francia a Roma, fino all’anziano maestro, saggio eremita “giapponese” insieme alla giovane moglie Setsuko nel grande chalet isolato tra le montagne. La “costruzione” di un’identità, secondo una duplicità volontaria, scaltra e tirannica, un gusto incontestabile per il teatro, i costumi e i rituali, è significativa di una posizione artistica che, dagli esempi di Duchamp / Rrose Sélavy, alle finzioni di Broodthaers o di Sophie Calle, aderisce alle pratiche contemporanee.
La questione delle fotografie, infine, ultima controversia della storiografia balthusiana, permette di esaminare le sue procedure tecniche e pittoriche, sempre in evoluzione, e il suo rapporto con il disegno e gli altri supporti. Grazie a studi recenti dedicati agli interventi di Balthus a villa Medici(6) e grazie alla testimonianza sensibile e riflessiva dell’artista François Rouan(7), uno degli ultimi amici e “assistenti” autorizzati a entrare nello studio di Balthus, oggi un approccio più “formalistico” alla sua opera è possibile.
Il percorso di questa esposizione, cronologico nel suo complesso, si snoda tra alternanze e confronti con fonti e opere con cui Balthus dialogava - le note di Antonin Artaud, le illustrazioni e le fotografie di Lewis Carroll, la pittura di Derain, i disegni e la scultura di Giacometti, il video di François Rouan - e si articola in undici capitoli, a partire da quello dedicato alla sua prima opera importante, La strada (1933), che sintetizza le caratteristiche principali delle sue opere future: scene di giochi infantili silenziosamente erotiche, costruzione quasi geometrica della composizione, fissità molto teatrale dei personaggi. Si tratta di uno spirito particolare, una tonalità unica - asciutta e poetica - alla quale Balthus non rinuncerà più.


La pazienza (1943), Chicago, Art Institute of Chicago.

Il re dei gatti (1935).

La camera (1952-1954).

Verosimilmente l’incontro con Artaud nel 1932 rafforza nel giovane Balthus l’estetica “crudele”, un realismo pungente idoneo a esprimere una visione non indulgente del mondo che segna una vera e propria distanza rispetto all’estetica fantastica e onirica dei surrealisti.
In molti dipinti dei due decenni successivi - I bei giorni (1944), Fanciulla con gatto (1945), La camera (1947-1948), Fanciulla che si lava (1948), La settimana dei quattro giovedì (1949) - Balthus suggerisce una dimensione erotica mettendo in scena giovanette che si lavano o abbandonate nella contemplazione o intente a giocare con un gatto, una sorta di doppio del pittore, che generalmente occupa il posto dello spettatore. La composizione monumentale di La camera (quella del 1952- 1954) è ampiamente commentata da Pierre Klossowski: «La luce del giorno illumina la vittima offerta e riversa su una poltrona; è l’orgasmo che segue una violenza? O forse non è accaduto niente. Il dipinto sembra situarsi in un punto limite dove il “non è successo niente” e l’irrevocabile sono in equilibrio. Il gesto deciso del personaggio che solleva la tenda garantisce una sorta di reiterazione infinita del delitto flagrante, il cui unico testimone è il gatto sul tavolo»(8).
Un capitolo importante è dedicato al lungo soggiorno di Balthus a villa Medici, sede romana dell’Accademia di Francia (dove è allestita infatti anche una parte della mostra). Balthus, infatti, nominato da Malraux direttore nel 1961, vi si stabilisce per quindici anni. Nel suo studio sotto la terrazza realizza solo una quindicina di tele mentre avvia il restauro della villa e dei giardini e mette in atto una politica espositiva. Seguendo le tracce dei suoi illustri predecessori, Horace Vernet e Ingres, riformula un orientalismo partendo dalla sua modella, la giovane moglie giapponese Setsuko, e da nuove composizioni di stampe giapponesi nel quadro degli spazi riallestiti di villa Medici, attraverso tre dipinti: La camera turca (1965-1966), Giapponese con tavolo rosso (1967-1976) e Giapponese con specchio nero (1967-1976).


La camera turca (1965-1966), Parigi, Musée National d’Art Moderne Centre Georges Pompidou.

Durante gli anni a villa Medici riformula
un orientalismo partendo dalla sua modella,
la giovane moglie giapponese Setsuko


La produzione pittorica di Balthus rallenta notevolmente nel periodo in cui è direttore. Il pittore inizia allora a lavorare sul disegno, quasi autonomo, partendo dalla figura accademica che piega ai suoi criteri, gracili figure di ragazze giovanissime. Realizza alcuni dipinti, composizioni monumentali di personaggi sottili e isolati nel quadro spoglio degli spazi restaurati della villa, che evocano le effigi metafisiche di Giacometti o i Primitivi italiani del Trecento, Gentile, Sassetta o Pisanello. In parallelo, forse con un po’ di malizia, secondo una sorta di gioco mimetico con la sua funzione di direttore di accademia, Balthus dà vita a un gran numero di disegni rifiniti secondo le norme classiche, la cui vendita gli permette di mantenere un tenore di vita mondano. Per queste opere, in aggiunta alle sessioni di posa nell’“atelier dei disegni”, ricorre per la prima volta a fotografie scattate su sua indicazione da Brigitte Courme, artista che risiede all’accademia.

Nudo di profilo (1973-1977).


Giapponese con tavolo rosso, (1967-1976).

ART E DOSSIER N. 327
ART E DOSSIER N. 327
DICEMBRE 2015
In questo numero: ARTE GLOBALE Dalla Gallia romana alla nascita del gotico secondo Daverio, al mito dei grattacieli. MONZA Il ritorno di Teodolinda. IN MOSTRA Bosch/Brueghel, Balthus, Ai Weiwei.Direttore: Philippe Daverio