Grandi mostre. 1 
Ai Weiwei a Londra

UN FUNAMBOLO
SENZA PRECEDENTI

Grande interprete della scena artistica contemporanea, integrato nel sistema ma al contempo deciso oppositore, Ai Weiwei riesce, pur tra mille difficoltà, a non fuoriuscire dal circuito odierno. Un’arte, la sua, legata alla battaglia contro le autorità cinesi nei confronti delle quali, dopo l’arresto del 2011, la monografica in corso alla Royal Academy of Arts rappresenta un netto riscatto.

Matteo G. Brega

Non è semplice inquadrare l’opera di un artista così noto e al contempo così tipico come Ai Weiwei, ma di fronte alla consacrazione di una personale alla Royal Academy of Arts di Londra (in corso fino al 13 dicembre) pare doveroso tentare qualche accenno in merito. La difficoltà, a nostro parere, consiste nel capire come interpretare le opere del più noto artista cinese che è, allo stesso tempo, un artista completamente integrato nel sistema dell’arte contemporanea occidentale, pur essendo al contempo un simbolo della “contestazione al sistema”. La complessa quel’ambaon è semplice inquadrare l’opera di un artista così noto e al contempo così tipico come Ai Weiwei, ma di fronte alla consacrazione di una personale alla Royal Academy of Arts di Londra (in corso fino al 13 dicembre) pare doveroso tentare qualche accenno in merito. La difficoltà, a nostro parere, consiste nel capire come interpretare le opere del più noto artista cinese che è, allo stesso tempo, un artista completamente integrato nel sistema dell’arte contemporanea occidentale, pur essendo al contempo un simbolo della “contestazione al sistema”. La complessa questione teorica della possibilità di contaminazione tra estetica occidentale e orientale pare superata dall’opera stessa di un autore che, nato a Pechino nel 1957, utilizza forme orientali all’interno di un linguaggio artistico totalmente occidentale, in alcuni casi ancor “più occidentale” di altri artisti occidentali di nascita e formazione.


Ai Weiwei nel suo studio a Caochangdi (Pechino), aprile 2015.

Dropping a Han Dynasty Urn (1995).


Dropping a Han Dynasty Urn (1995).


Dropping a Han Dynasty Urn (1995).

Il sistema occidentale dell’arte, comunque, apprezza e metabolizza con successo quello che ha definito una volta per tutte e ai propri occhi “l’ambasciatore ufficiale della Cina nel mercato dell’arte”. Il quale, naturalmente, per essere un vero “ambasciatore ufficiale” deve avere tutti i crismi della riprovazione in patria, del rifiuto, dell’ostracizzazione, della galera (anche la Gran Bretagna ha sollevato problemi alla concessione del visto, tanto da rendere problematico l’allestimento della mostra); deve avere viaggiato molto in Occidente e deve essere trasgressivo, ma non tanto, tuttavia, da fuoriuscire dal sistema dei musei. Ai Weiwei è il perfetto interprete di tale mantenimento in equilibrio. Il suo concettualismo non deve trarre in inganno quando indugia in temi tipici della cultura cinese - quali possono essere, solo per esempio, il vaso o l’ideogramma o le materie naturali - giacché la metodologia di esposizione artistica, la poetica, il linguaggio estetico sono e rimangono sempre direttamente discendenti dal concettualismo occidentale; Ai Weiwei è “figlio” di Duchamp ed è per questo che ha così tanto successo. L’abilità dell’artista è fuori discussione: la capacità di rivisitazione di luoghi warholiani-rauschenberghiani ne fanno un lettore dell’arte contemporanea di altissimo livello, un vero e proprio artista-critico per come teorizzato da Wilde.

La mostra di Londra, come ci dice Tim Marlow, direttore artistico della Royal Academy, si pone nella scia di una serie di personali già dedicate ad Anselm Kiefer, David Hockney e Anish Kapoor, all’interno di un percorso di ricerca e valorizzazione dei maggiori artisti contemporanei presenti oggi sulla scena del mercato mondiale. Appare, così, quanto mai appropriata la sottolineatura espressa da Marlow nei confronti di Ai Weiwei: pur essendo uno degli artisti tra i più famosi al mondo a livello mediatico, la sua opera gode di una fama inferiore rispetto a quella del suo creatore. è infatti interessante notare come la figura mediatica dell’artista cinese goda di maggior “riconoscibilità” delle stesse sue opere le quali, come abbiamo già fatto notare, si distinguono innanzitutto per la capacità di lettura critica del panorama dell’arte contemporanea e per l’individuazione dei temi sociali di maggior eco. Quasi che l’opera di Ai Weiwei mancasse di quella sorta di “marchio di fabbrica” che costituisce oggi la principale fonte di successo di artisti quali Jeff Koons o Takashi Murakami (e ciò a onore di Ai Weiwei); o forse proprio l’assenza di tale “marchio” è la miglior testimonianza di una trasversalità e di una capacità di inserirsi nei vari linguaggi, tipica dell’artista cinese. è un dato di fatto su cui i media occidentali, in particolare dal 2010 in poi, hanno posto l’accento con peculiare insistenza sull’ostilità che l’artista ha dovuto e deve tuttora scontare nei confronti del governo del suo paese, ed è forse in virtù di tale particolare situazione che ci si può spiegare una delle caratteristiche principali dell’arte di Ai Weiwei, il quale ha come sentito la necessità di contrapporsi alla cultura ufficiale del proprio paese ricorrendo allo stile dei provocatori tipici del concettualismo occidentale. Pensiamo qui nello specifico a Dropping a Han Dynasty Urn (1995) o a I.O.U. Wallpaper (2011-2013), opere-performance di denuncia così tipicamente occidentali da risultare, agli occhi dell’autorità cinese, ancora più provocatorie.

Facendo del proprio quotidiano fonte continua di ispirazione,
i temi affrontati da Ai Weiwei sono la libertà di parola, i diritti civili,
i diritti umani nella loro accezione più ampia

Facendo del proprio quotidiano fonte continua di ispirazione, i temi affrontati dall’opera di Ai Weiwei sono essenzialmente la libertà di parola, i diritti civili, i diritti umani nella loro accezione più ampia. Periodo cruciale, che influì in maniera determinante sia sui temi che sulle modalità espressive dell’artista cinese, fu il decennio di permanenza a New York (1983-1993) durante il quale egli svolse il ruolo di punto di riferimento mondiale per la diaspora degli artisti cinesi, riuscendo anche a interiorizzare le dinamiche tipiche della società statunitense e facendo altresì emergere le caratteristiche contraddizioni di tale società, in una sorta di “visione controluce” attuata da un artista che proveniva da un regime comunista e che in tale regime avrebbe scelto di tornare a vivere. Ritornando in Cina Ai Weiwei si accorse, per sua stessa ammissione, di come gli stilemi del concettualismo occidentale potevano essere riutilizzati grazie all’immissione in essi di tematiche e di forme tipicamente cinesi. In questo senso desideriamo sottolineare uno dei momenti forse ritenuti minori ma, a nostro avviso, di grande importanza all’interno della ricerca dell’artista cinese. Ci riferiamo in particolare ai lavori del periodo 1995-2002 durante il quale Ai Weiwei ha saputo approfondire la complessa e secolare questione del rapporto tra autentico e copia, alla luce di quella che viene considerata la patria stessa della contraffazione e della copia in senso lato. Da tali riflessioni, grazie anche al supporto dell’importante mercante d’arte cinese Liu Weiwei, sono nate alcune tra le performance più interessanti e originali dell’artista. Il tema della contraffazione, infatti, una volta affrontato da chi, nato in un contesto culturale che intende tale concetto in maniera tradizionalmente priva di connotati particolarmente negativi, ha assunto una rinnovata attualità all’interno del mercato globale dell’arte contemporanea, risvegliando con efficacia il mai eliminato fantasma del concetto di “autenticità”. La produzione degli ultimi anni di Ai Weiwei si concentra, invece, sul concetto di artista quale “avversario del sistema” e, più in generale, sulla necessità di rivendicazione di istanze civili da parte dell’arte. In questo senso l’installazione alla 55. Biennale di Venezia del 2013 dedicata agli ottantun giorni di detenzione scontati dall’artista (S.A.C.R.E.D.) rimane l’esempio più tipico di tale impegno.
La mostra autunnale di Londra pare evidenziare tutte le premesse affinché nessun periodo della produzione di Ai Weiwei sia trascurato e in tale senso si pone come un momento cruciale per la carriera dell’artista cinese.


I.O.U. Wallpaper (2011-2013).

Straight (2008-2012).

Coloured Vases (2015).

Video Recorder (2010).

Free Speech Puzzle (2014).

ART E DOSSIER N. 327
ART E DOSSIER N. 327
DICEMBRE 2015
In questo numero: ARTE GLOBALE Dalla Gallia romana alla nascita del gotico secondo Daverio, al mito dei grattacieli. MONZA Il ritorno di Teodolinda. IN MOSTRA Bosch/Brueghel, Balthus, Ai Weiwei.Direttore: Philippe Daverio