La mostra di Londra, come ci dice Tim Marlow, direttore artistico della Royal Academy, si pone nella scia di una serie di personali già dedicate ad Anselm Kiefer, David Hockney e Anish Kapoor, all’interno di un percorso di ricerca e valorizzazione dei maggiori artisti contemporanei presenti oggi sulla scena del mercato mondiale. Appare, così, quanto mai appropriata la sottolineatura espressa da Marlow nei confronti di Ai Weiwei: pur essendo uno degli artisti tra i più famosi al mondo a livello mediatico, la sua opera gode di una fama inferiore rispetto a quella del suo creatore. è infatti interessante notare come la figura mediatica dell’artista cinese goda di maggior “riconoscibilità” delle stesse sue opere le quali, come abbiamo già fatto notare, si distinguono innanzitutto per la capacità di lettura critica del panorama dell’arte contemporanea e per l’individuazione dei temi sociali di maggior eco. Quasi che l’opera di Ai Weiwei mancasse di quella sorta di “marchio di fabbrica” che costituisce oggi la principale fonte di successo di artisti quali Jeff Koons o Takashi Murakami (e ciò a onore di Ai Weiwei); o forse proprio l’assenza di tale “marchio” è la miglior testimonianza di una trasversalità e di una capacità di inserirsi nei vari linguaggi, tipica dell’artista cinese. è un dato di fatto su cui i media occidentali, in particolare dal 2010 in poi, hanno posto l’accento con peculiare insistenza sull’ostilità che l’artista ha dovuto e deve tuttora scontare nei confronti del governo del suo paese, ed è forse in virtù di tale particolare situazione che ci si può spiegare una delle caratteristiche principali dell’arte di Ai Weiwei, il quale ha come sentito la necessità di contrapporsi alla cultura ufficiale del proprio paese ricorrendo allo stile dei provocatori tipici del concettualismo occidentale. Pensiamo qui nello specifico a Dropping a Han Dynasty Urn (1995) o a I.O.U. Wallpaper (2011-2013), opere-performance di denuncia così tipicamente occidentali da risultare, agli occhi dell’autorità cinese, ancora più provocatorie.
Facendo del proprio quotidiano fonte continua di ispirazione, i temi affrontati dall’opera di Ai Weiwei sono essenzialmente la libertà di parola, i diritti civili, i diritti umani nella loro accezione più ampia. Periodo cruciale, che influì in maniera determinante sia sui temi che sulle modalità espressive dell’artista cinese, fu il decennio di permanenza a New York (1983-1993) durante il quale egli svolse il ruolo di punto di riferimento mondiale per la diaspora degli artisti cinesi, riuscendo anche a interiorizzare le dinamiche tipiche della società statunitense e facendo altresì emergere le caratteristiche contraddizioni di tale società, in una sorta di “visione controluce” attuata da un artista che proveniva da un regime comunista e che in tale regime avrebbe scelto di tornare a vivere. Ritornando in Cina Ai Weiwei si accorse, per sua stessa ammissione, di come gli stilemi del concettualismo occidentale potevano essere riutilizzati grazie all’immissione in essi di tematiche e di forme tipicamente cinesi. In questo senso desideriamo sottolineare uno dei momenti forse ritenuti minori ma, a nostro avviso, di grande importanza all’interno della ricerca dell’artista cinese. Ci riferiamo in particolare ai lavori del periodo 1995-2002 durante il quale Ai Weiwei ha saputo approfondire la complessa e secolare questione del rapporto tra autentico e copia, alla luce di quella che viene considerata la patria stessa della contraffazione e della copia in senso lato. Da tali riflessioni, grazie anche al supporto dell’importante mercante d’arte cinese Liu Weiwei, sono nate alcune tra le performance più interessanti e originali dell’artista. Il tema della contraffazione, infatti, una volta affrontato da chi, nato in un contesto culturale che intende tale concetto in maniera tradizionalmente priva di connotati particolarmente negativi, ha assunto una rinnovata attualità all’interno del mercato globale dell’arte contemporanea, risvegliando con efficacia il mai eliminato fantasma del concetto di “autenticità”. La produzione degli ultimi anni di Ai Weiwei si concentra, invece, sul concetto di artista quale “avversario del sistema” e, più in generale, sulla necessità di rivendicazione di istanze civili da parte dell’arte. In questo senso l’installazione alla 55. Biennale di Venezia del 2013 dedicata agli ottantun giorni di detenzione scontati dall’artista (
S.A.C.R.E.D.) rimane l’esempio più tipico di tale impegno.
La mostra autunnale di Londra pare evidenziare tutte le premesse affinché nessun periodo della produzione di Ai Weiwei sia trascurato e in tale senso si pone come un momento cruciale per la carriera dell’artista cinese.