L’ARTE CONTEMPORANEA
DIVENTA GLOBALE

Il battesimo del globalismo nell’arte contemporanea avviene nel 1989, grazie alla mostra Magiciens de la terre, curata da Jean-Hubert Martin in due prestigiose sedi parigine, il Centre Pompidou e il Parc de la Villette. Organizzata nell’ambito delle celebrazioni per il bicentenario della Rivoluzione francese, la rassegna riuniva le opere di centouno artisti, cinquanta appartenenti al mondo occidentale e altrettanti alle sue “periferie”, e l’intento era quello di costruire una mappatura planetaria di quello che i diversi paesi del mondo consideravano “arte”.

Un affresco che metteva a confronto per la prima volta artisti affermati come Richard Long, Anselm Kiefer, Marina Abramovic´, Daniel Buren, Rebecca Horn, Tony Cragg, insieme agli italiani Francesco Clemente, Alighiero Boetti, Giovanni Anselmo ed Enzo Cucchi, con nomi sconosciuti che provenivano da diversi angoli del globo, dal Messico alla Nuova Guinea. Artisti come il cileno Alfredo Jaar, il brasiliano Cildo Meireles o il congolese Chéri Samba, allora ignoti ma oggi protagonisti di primo piano della scena contemporanea. «Abbiamo scelto questo titolo “I maghi della terra” per evitare la parola “arte”, che nel contesto di alcune società non aveva significato. E non volevo incollare un’etichetta occidentale su opere che non sono soltanto funzionali, ma posseggono un’aura di magia, appartengono al campo del sacro»(1). Con queste parole Jean-Hubert Martin sottolinea l’intento di questa prima mostra globale: dimostrare che la scena artistica poteva aprirsi al mondo intero, privilegiando le espressioni e le pratiche vicine a un’idea sciamanica del gesto creativo, legato a valori di spiritualità e ritualità di matrice antropologica.

Così, nello stesso anno che vede da una parte la caduta del muro di Berlino e l’inizio della caduta dell’Unione Sovietica e dall’altra l’avvio delle ricerche che porteranno il Cern di Ginevra a lanciare nel 1991 il progetto Enquire, primo passo verso il World Wide Web, l’arte si interroga sul rapporto tra centro e periferie, per interrogarsi sulle nuove geografie della creatività internazionale. La bomba è esplosa, e gli effetti si vedono molto rapidamente: già alla nona edizione di Documenta, che si tiene a Kassel nel 1992, curata dal belga Jan Hoet, tra gli invitati figura un giovane artista americano, Matthew Barney, che sarà uno dei protagonisti assoluti dell’arte globale. Le mostre dedicate alle nuove geografie artistiche si susseguono: dopo Magiciens de la terre la Hayward Gallery di Londra presenta The Other Story. Afro-Asian Artists in Post-War Britain, una collettiva sull’arte africana e asiatica che riunisce ventiquattro artisti invitati dall’artista-curatore pakistano Rasheed Araeen, mentre tre anni dopo si inaugura al Museo di Sant’Egidio a Roma Molteplici culture, dove Carolyn Christov-Bakargiev e il sottoscritto avevano invitato venticinque curatori e sessanta artisti internazionali a rappresentare «il rapporto con l’altro»(2). Nello stesso anno il critico americano Jeffrey Deitch cura la mostra collettiva più significativa dell’ultimo decennio del secolo scorso Post Human, che inaugura una diversa maniera di concepire lo stesso evento espositivo a partire dal catalogo, concepito come una rivista illustrata, destinata a raggiungere il grande pubblico, colpito da immagini pop, scioccanti e spettacolari.

Matthew Barney, Cremaster 5: her Giant (1997).


Cindy Sherman, Untitled #224 (1990).

«Il concetto di una realtà in fase di disgregazione, determinato dall’accettazione della molteplicità dei modelli della realtà e così dell’artificialità, non renderà più possibile a lungo il Realismo così come eravamo abituati a conoscerlo»(3) scrive il curatore nell’introdurre questa rassegna, che presenta trentasei giovani artisti internazionali che riflettono sul concetto di post-umano. Tra di loro ci sono figure destinate a diventare nel giro di pochi anni artisti di fama planetaria: da Jeff Koons a Damien Hirst, da Matthew Barney a Jeff Wall, da Cindy Sherman a Paul McCarthy. Il filo rosso della mostra è la possibilità concessa al genere umano di modificare il proprio assetto corporeo con manipolazioni di ogni genere, genetiche e tecnologiche. Se allora sembrava fantascienza, oggi sappiamo che in realtà Post Human è stata una mostra profetica, e soprattutto possiamo considerarla una sorta di prototipo di esposizione globale, capace di attirare fasce di pubblico ampie e diversificate. Istanze che vengono raccolte e ampliate da Achille Bonito Oliva, curatore nel 1993 di Punti cardinali dell’arte, la 45. Biennale di Venezia: una Biennale basata sulla presentazione dell’arte contemporanea che si è formata attraverso il nomadismo culturale e la coesistenza dei linguaggi. «Sottoposta al confronto serrato col mondo della tecnica e l’evoluzione della società moderna, essa ha dovuto accettare l’idea del viaggio, il riferimento a culture “altre” per ritrovare energie e forza espressiva»(4) spiega Bonito Oliva, che concepisce la sua biennale come una costellazione di mostre affidate a decine di curatori, italiani e internazionali.


Particolarmente significativa è la sezione Aperto, coordinata da Helena Kontova, che riunisce centotrentadue artisti emergenti, di cui venti provenienti dal Sud America, dall’Asia e dall’Africa, invitati da un cospicuo gruppo di curatori internazionali. Sotto al titolo Emergenza troviamo molti artisti destinati a un luminoso futuro: oltre a Barney, Koons e Hirst, compaiono Gabriel Orozco, Charles Ray, Rirkrit Tiravanija, Carsten Höller, Philippe Parreno, Doris Salcedo, Félix González-Torres e gli italiani Rudolf Stingel e Maurizio Cattelan, alla sua prima apparizione in una mostra internazionale. Molti di loro sono presenti anche in Cocido y crudo, curata da Dan Cameron al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid nel 1994 e basata sul concetto di ibridazione culturale, ispirandosi a Le cru et le cuit, un celebre testo dell’antropologo francese Claude Lévi-Strauss, con un’attenzione particolare rivolta agli artisti sudamericani(5).

Nel giro di pochi anni, il contesto dell’arte contemporanea globale appare definito nelle sue caratteristiche principali(6). Quali sono? Prima di tutto l’emergere del multiculturalismo, inteso prevalentemente come confronto tra culture differenti legate alle aree geografiche e socioantropologiche del pianeta in riferimento alla rilettura critica del postcolonialismo.

A questa macroarea tematica si accosta la definizione del genere sessuale, soprattutto per quanto riguarda l’allargamento della dualità uomo-donna ad altre forme di identità, dall’omosessualità al transgender, che costituisce una parte della problematica più ampia riferibile a un’umanità modificata dalle tecnologie, dove il corpo fisico subisce trasformazioni in chiave “post human”. In questo scenario complesso e articolato aumenta il numero degli artisti interessati alle componenti relazionali insite nella produzione dell’opera d’arte, legate a dimensioni come interattività, socialità e convivialità. Questa attitudine, definita arte relazionale, viene analizzata dal critico francese Nicolas Bourriaud nel suo testo Esthétique Rélationelle (1998): «Un’arte il cui progetto riguarda le condizioni di lavoro e di produzione degli oggetti culturali nonché delle forme mutanti della vita sociale”(7). Tra gli esempi più significativi lo stesso Bourriaud cita la performance di Rirkrit Tiravanija alla Biennale di Venezia del 1993, quando l’artista thailandese invita il pubblico ad assaggiare la zuppa cinese liofilizzata contenuta in una gondola di metallo piena di acqua bollente, o Maurizio Cattelan, che affitta lo spazio espositivo assegnatogli all’interno delle Corderie dell’Arsenale a un’agenzia pubblicitaria operante nel settore della cosmesi e realizza l’opera Lavorare è un brutto mestiere(8). Per concludere la nostra analisi non si può dimenticare una delle mostre più significative degli anni Novanta che ha introdotto elementi nuovi e significativi come la provocazione e il sensazionalismo, tipici dell’ultimo movimento artistico del XX secolo: la Young British Art. Stiamo parlando di Sensation. Young British Artists from the Saatchi Collection, aperta nel 1997 alla Royal Academy di Londra, che riuniva le opere di quarantadue artisti britannici, provenienti dalla collezione del magnate della pubblicità Charles Saatchi e destinate a far parlare il mondo intero(9). Dallo squalo in formalina di Damien Hirst ai manichini di bambini con organi genitali al posto di bocche e nasi di Dinos & Jake Chapman, dalla tenda da campeggio dove Tracey Emin ricama i nomi delle persone con cui ha dormito alla riproduzione del cadavere del padre di Ron Mueck, Sensation è un repertorio di immagini forti, violente, pornografiche e scandalose. «Gli artisti devono continuare la conquista di nuovi territori e nuovi tabù. Le immagini più grandiose sono quelle che evocano al contempo realtà e scalpore»(10) scrive Norman Rosenthal, direttore della Royal Academy, nel catalogo di Sensation. L’arte contemporanea è pronta a entrare da protagonista nel nuovo millennio.


Anselm Kiefer, To the Unknown Painter (1983).

(1) Intervista di E. Guicciardi a J. H. Martin su “La Repubblica”, riportata a p. 68 di R. Pinto, Nuove geografie artistiche. Le mostre al tempo della globalizzazione, Milano 2012. 

(2) C. Christov-Bakargiev, L. Pratesi, Molteplici culture. Itinerari dell’arte contemporanea in un mondo che cambia, catalogo della mostra (Roma, Museo di Sant’Egidio, 1992), Carte segrete, Roma 1992.

(3) J. Deitch, Post Human, catalogo della mostra (Castello di Rivoli, Torino, 1992), Germania 1992, p. 152. 

(4) A. Bonito Oliva, Punti cardinali dell’arte, catalogo della mostra (45. Esposizione internazionale d’arte, La Biennale di Venezia, 1993), Venezia 1993, p. XXIII.

(5) Cfr. R. Pinto, Nuove geografie artistiche, cit., pp. 89-94.

(6) Per un’analisi delle caratteristiche principali dell’arte internazionale degli anni Novanta si veda F. Bernardelli, Anni Novanta, in AA. VV., Contemporanea. Arte dal 1950 ad oggi, Milano 2008, pp. 646-770.

(7) N. Bourriaud, Estéthique Rélationelle, Parigi 1998. Il brano è riportato in F. Bernardelli, op. cit., p. 744.

(8) N. Bourriaud, Installazione, video, arte d’azione: l’ascesa della precarietà nell’epoca postmediale, in L’arte del XX secolo. Tendenze della contemporaneità 2000 e oltre, Milano 2009, p. 34.

(9) AA. VV., Sensation. Young British Artists from the Saatchi Collection, Londra 1997.

(10) N. Rosenthal, The Blood Must Continue to Flow, in Sensation, cit., p. 11.

ARTE CONTEMPORANEA
ARTE CONTEMPORANEA
Ludovico Pratesi
Un dossier dedicato all'arte contemporanea. In sommario: L'arte contemporanea diventa globale; Gli artisti; I luoghi dell'arte contemporanea. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.