Studi e riscoperte. 2 
Nature morte con “colazioni” nell’Olanda del XVII secolo

un limone
È un limone?

Le nature morte olandesi del Seicento che mostrano tavole lautamente imbandite per una colazione affascinano per la preziosità degli oggetti e la cura meticolosa dei dettagli ma sollevano un dubbio: cosa rappresentano davvero?

Massimiliano Caretto

tiesling d’Alsazia, ostriche del Baltico, cristalli di Boemia, olive dall’Italia, frutta dalla Spagna, argenti milanesi, tappeti persiani, spezie turche e porcellane cinesi. E poi ancora pane bianco, pizzi fiamminghi, posate intarsiate di madreperla e dolciumi, a loro volta ripieni di limoni, canditi, mandorle fino al punto in cui l’elenco tocca la vertigine di possibilità quasi infinite eppure perfettamente calcolabili.


Una delle grandi verità della vita
è che nessun oggetto è soltanto un oggetto



E ciò basterebbe a spiegare “che cosa” sia raffigurato nelle nature morte olandesi quanto una lista della spesa può essere esaustiva nel farci comprendere una cena, programmata da settimane, immaginata con persone speciali, pensata nei suoi presupposti e organizzata per i propri obiettivi. Perché quando si ha a che fare con la natura morta dell’Olanda del XVII secolo, si è di fronte a un’esperienza nella quale il racconto visivo non si esaurisce nel dato sensibile, eppure così strepitoso, eppure così immediato. È chiaro, una lista è sempre quel “che cosa” che può soddisfare un meccanismo intellettuale automatico, rendendoci subito chiara la comprensione del soggetto: solo un gruppo di oggetti. Ma Pieter Claesz. e Willem Claesz. Heda erano ben consci di una delle grandi verità della vita, e cioè che nessun oggetto è soltanto un oggetto. Ecco, allora, che l’Olanda del Secolo d’oro ci invita a colazione (“ontbijtjes”, in olandese) per parlarci un po’ di lei. La Natura morta con pasticcio di tacchino, una delle prime eseguite da Claesz. quando iniziò la sua carriera a Haarlem, è ciò che può far capire meglio chi siano questi padroni di casa, così desiderosi di presentarsi al mondo.
Nel giro di pochi anni, le Sette Province Unite erano diventate il più ricco Stato europeo, tanto più scandaloso in quanto costituito da semplici cittadini borghesi, capaci di tenere testa a Filippo II e Luigi XIV. Nella lunga tavola ci viene, così, offerto un piatto di sugose ostriche, pronte per essere spruzzate con le sottili fette di limone, alternando qualche oliva mediterranea (autentico lusso per l’epoca) a un sorso di vino e una fetta di pane. Un pasto lento, intervallato da pause conversative, consumabile in piedi, con la noia di chi non si nutre, ma mangia per diletto. L’acquamanile d’argento e il “roemer” (il bicchiere olandese per antonomasia) riflettono la stanza in cui prende vita l’evento, in un rimbalzo di allusioni a movimenti che non sono presenti nel quadro, eppure costantemente accennati. Dalle finestre, intuite per mezzo del gioco di specchi, penetra quella luce di ghiaccio dei cieli d’Olanda che lascia scavare ombre nette agli oggetti, tutti apparentemente disposti a casaccio eppure calcolati con rapporti spaziali precisi fino al maniacale. Sulla destra, sotto al piatto in porcellana, un conetto di carta lascia cadere sul vassoio d’argento una polvere bianca e nera. È una piccola cornucopia da cui escono sale e pepe, ma non immaginata come quelle che, pochi chilometri più a sud, Rubens realizzava per cantare la gloria metastorica di imperatori e principi, bensì una cornucopia “laica”, civile, borghese, realizzata con carta di giornale, dalla quale fuoriescono le vere ricchezze mercantili, frutto di un diritto che non è più ereditario, bensì economico e capitalistico.
Queste nature morte, allora, passano da un semplice “che cosa” a un “perché” di sapore esistenziale. A mostrarlo bene possono essere sia le nature morte del Claesz. più maturo, tendenti al minimalismo, sia quelle del suo allievo Heda, che porterà le “colazioni” a un livello di intensità ancora maggiore. Così, per chi ha tempo di fermarsi a osservare, i limoni si rivelano sbucciati ma non usati, le torte sono spaccate, iniziate, ma mai mangiate veramente, le noci sono solo assaggiate: molti dei cibi in tavola aspettano commensali che si stanno facendo attendere troppo a lungo. È il canto di un lusso che è certamente un monito alla vanità della vita terrena, ma che, scavando ancora più a fondo, denuncia una riflessione di sconvolgente modernità sul senso di una ricchezza capitalista, entusiasta di se stessa eppure già consapevole del suo male. In un mondo in cui nasceva la Borsa e, complice il calvinismo, la fortuna personale equivaleva alla Grazia divina, la ricchezza non poteva che essere sacrosanta e implorata a un Dio che è già quello della banconota da un dollaro. Ma se questa ricchezza non si conserva? Se il proprio destino volge al peggio? Allora appare chiaro il senso dei bicchieri infranti, dei piatti appoggiati in posizioni precarie, sempre pronti a rovesciare in terra quegli stessi cibi di lusso tanto desiderati: la povertà equivale al peccato, lo dimostra il dramma umano vissuto da Rembrandt, socialmente isolato da tutti una volta caduto in disgrazia economica.
Un ribaltamento di valori rispetto alla cultura mediterranea, cattolica. Eppure, oggi, noi viviamo proprio nel mondo delle colazioni olandesi.
In questo “silenzio assordante”, dunque, risiede il segreto fascino di questi dipinti, campo di specializzazione di molti artisti olandesi dell’epoca, ciascuno intento a creare la propria personale variazione sul tema.
Dai due grandi maestri di Haarlem derivarono altri giganti, come Jan Jansz. van de Velde, attivo ad Amsterdam verso il 1640, capace di portare la riflessione figurativa a un livello sempre nuovo, eppure in linea con quanto detto. La sua Natura morta con bicchiere di birra mostra gusci d’ostrica vuoti, gherigli morsicati, braci consumate, nonché alcuni limoni in bilico su un piatto a sua volta malfermo sopra una tovaglia. Al di là del dato tecnico - di per sé spaventoso nella resa del reale - ritorna tutta la “tragedia” di un mondo troppo ricco e troppo moderno. Su questa ricchezza, guadagnata col sudore, aleggia sempre il dubbio se sia giusto accumularla (salvo sentirsi avari) o spenderla (per poi essere considerati prodighi). La domanda, lungo tutto l’arco del Secolo d’oro, non trova mai una risposta, moltiplicandosi fino alla nevrosi, fino alle tinte più fosche degli ultimi naturamortisti.
Willem Kalf, per esempio, nella sua Natura morta con tazza cinese e nautilus fa inghiottire l’ambiente dalle tenebre, lasciando che l’occhio si concentri su pochi particolari, carichi di immensi potenziali immaginativi. Sul piatto d’argento questa volta c’è una tazza di porcellana Ming con figure dipinte, di valore inestimabile già all’epoca. Dietro, una coppa d’oro ricavata in parte dalla conchiglia di un nautilus e, più dietro ancora, un bicchiere di cristallo trasparente riempito di vino rosso. Il tutto precariamente appoggiato su un tappeto persiano, a sua volta sorretto da una balaustra in marmo. Kalf, il cui suocero era presidente della potente Compagnia delle Indie, racchiude nel dipinto ciò che l’Olanda dell’epoca teneva nel suo pugno, cioè tutte le ricchezze del mondo. Eppure, un monito preciso è nascosto in questi oggetti: la scultura che adorna il nautilus è un mostro marino pronto a inghiottire, al comando di Nettuno, il malcapitato omuncolo che si protende verso il vino rosso, allusione cristologica.
Ancora una volta, “che cosa” c’è veramente in questi dipinti? Jan Jansz. den Uyl non fornisce risposte più concrete rispetto ai suoi colleghi, ma la Natura morta che esegue nel 1639 ci ricorda che, alle volte, è non rispondendo che si danno le risposte migliori. In un ambiente d’una vuotezza metafisica, sopra una tovaglia nera come la notte, giace il solito piatto malfermo, ricoperto dalle briciole di una pagnotta appena assaggiata. Sulla sinistra, una coppa d’argento che brilla sotto una luce gialla, a metà strada fra il colore dell’oro e quello dell’urina. Al centro di questa coppa, nascosta, pronta a mostrarsi solo col tempo e a un occhio attento, la vera protagonista del dipinto: una civetta. Il contenuto, dunque, va al di là dell’apparenza, tanto da chiedersi chi potesse volere un simile dipinto in casa propria. Perché le nature morte olandesi lo ripetono senza sosta: nessun oggetto è soltanto un oggetto



Pieter Claesz., Natura morta con pasticcio di tacchino (1627), Amsterdam, Rijksmuseum.

Willem Kalf, Natura morta con tazza cinese e nautilus (1662), Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.

Willem Claesz. Heda, Colazione con torta di mirtilli (1631), Dresda, Gemäldegalerie.

Jan Jansz. van de Velde, Natura morta con bicchiere di birra (1647), Amsterdam, Rijksmuseum.

Willem Claesz. Heda, Natura morta con coppa d’oro (1635), Amsterdam, Rijksmuseum.

Jan Jansz. den Uyl, Natura morta (1639).

Il Secolo d’oro in libreria

Il tema delle nature morte, ma ovviamente anche di tutti gli altri generi pittorici praticati nei Paesi Bassi nel XVII secolo, è trattato in un libro appena arrivato in libreria per Giunti Editore: La pittura olandese del Secolo d’oro, di Claudio Pescio (240 pp., circa 200 immagini, 39 euro), con un’introduzione di Philippe Daverio. Di quest’ultima vi proponiamo qui un breve estratto.
«Che cosa passava per la mente a quei severi puritani che per quasi un secolo si batterono per la loro indipendenza dalla Spagna e dalla Babilonia romana? Stavano costituendo la prima sperimentazione politica d’una democrazia borghese in opposizione all’impero. [...] E mentre lo scontro si dilungava, la pittura rassicurava gli interni delle case dei commercianti guerrieri. Si scopriva che la borghesia era per sua natura onnivora e le arti rispondevano con naturale condiscendenza a questa inclinazione combinando i generi e le ispirazioni, gli stili e i contenuti. Forse mai fu dipinto così tanto in così poco tempo. Se la ricchezza era la prova della benevolenza divina, la sua versione concreta appariva nella passione accumulatoria delle case, le quali dovendo essere democratiche apparivano all’esterno assai frugali e all’interno teatralmente comode. Si dovevano distinguere la vita urbana e le sue virtù dalla follia contadina che aveva alimentato le fantasie narrate nel secolo precedente; anzi la narrazione visiva delle bizzarrie agresti ancor di più assumeva un valore ch’era un volare fra rigore vissuto e sregolatezze sognate. E il microcosmo d’una potenza nascente ed egemone guardava alla natura, quella del mare avventuroso al pari di quella delle campagne pacate, come a una consolazione.[...]

ART E DOSSIER N. 326
ART E DOSSIER N. 326
NOVEMBRE 2015
In questo numero: GIAPPONE E GIAPPONISMI Miyazaki e la pittura; La fotografia di Daido Moriyama; Packaging nipponico; Giappone e Art Nouveau. LA BARONESSA DADA Elsa, Man Ray, Duchamp e gli anni folli. IN MOSTRA Mirà e Cobra, Balla, Monet.Direttore: Philippe Daverio