Arte e cinema
Le fonti pittoriche di Hayao Miyazaki

pittore
d'anime

Il regista di animazione forse più famoso del nostro tempo rivela, nei suoi film, molti rimandi alle arti figurative, del suo Giappone ma anche della tradizione pittorica occidentale. Un intreccio di elementi che appare voluto e desiderato, il superamento di una frattura culturale.

Luca Antoccia

«
Sono stato sempre molto influenzato dalla pittura», ha dichiarato una volta il grande cineasta di animazione Hayao Miyazaki. Non è questa la sede per approfondire questa influenza, che si tratti solo di fonti di ispirazione (Hokusai) o di vere citazioni (Friedrich, Chagall, Munch) che la critica ha spesso enunciate e date per scontate. Altri modelli saranno qui proposti ma urge porsi una domanda: a quale istanza profonda risponde questo originale incontro cinematografico-pittorico tra Occidente e Oriente?
Nel suo bel saggio Il mostruoso nel cinema di Miyazaki Hayao, lo studioso Toshio Miyake sostiene che alla base dei tanti mostri presenti nel suo cinema ci sia la complessa accettazione sia della diversità tra le due culture sia della loro ibridazione o indistinzione.Miyazaki ripudia infatti il connubio nefasto tra nazionalismo tradizionale nipponico e imperialismo consumista nordamericano (il suo marxismo originario sfocia via via in un ecologismo venato di spiritualismo)(1). Il mostruoso nasce negativamente da questa doppia eredità occidentale/orientale rifiutata a vantaggio di una più umanistica ibridazione, quella tra cultura europea (i suoi film sono pieni di riferimenti a paesaggi, scrittori e pittori europei) e spiritualità giapponese (in primis buddista e scintoista(2).

Il trascendente in Oriente, diversamente che in Occidente,
non si situa al di fuori ma nel mondo



Il ricorso alla tradizione pittorica costituisce allora uno dei reagenti decisivi di questa ardita sintesi culturale.
Nell’“anime” [cinema di animazione, Ndr] il paesaggio si apparenta più alla pittura che all’immagine fotografica in movimento», scrive un altro critico(3). La trattazione pittorica del paesaggio in Miyazaki ha l’ambizione - come nella tradizione dell’Ukiyo-e, con Hokusai e Hiroshige su tutti - di fare da catalizzatore tra ricerca estetica e spirituale. Le campiture piatte di colori tipiche dei maestri Ukiyo-e, specie nell’acqua del mare, e La [grande] onda di Hokusai trovano in alcuni immagini di Ponyo sulla scogliera più che una citazione una consonanza profonda. Soprattutto, la natura in Miyazaki è sempre al di là del bene e del male, terrifica e benigna al tempo stesso come in Hokusai. Anche altrove, come in Porco rosso, il mare si distende a riva o lungo la scia di una nave con una grafica assai simile a quelle di Hokusai. Ma ciò che conta è il senso filmico che ciò acquista e che trova nel “più giapponese” di tutti i registi, Yasujiro¤ Ozu, un illustre precursore nell’uso consapevole delle cosiddette “code”, momenti pittorici alla fine o all’inizio di sequenze che offrono allo spettatore l’opportunità di riflettere e meditare, trascendere insomma il contingente della storia(4).
Va anche ricordato che il trascendente in Oriente, diversamente che in Occidente, non si situa al di fuori ma nel mondo. Ciò che Ozu osservava con preoccupazione già negli anni Cinquanta come «potenziale scissione tra uomo e natura»(5), prodotta anche dall’occidentalizzazione forzata, per Miyazaki è un punto di partenza, il suo è un cinema successivo alla scissione. La pittura riporta all’occhio e alla mente umana la necessità, o se si preferisce la nostalgia, di una fusione.
Pittura e magia hanno molto in comune, dice Ursula, la pittrice che incontra la piccola strega Kiki, la protagonista di Kiki, consegne a domicilio, nel momento in cui quest’ultima ha perso la virtù magica del volo a forza di piegarla a fini utilitaristici. Ursula però ritraendo Kiki riesce a completare finalmente il suo quadro incompiuto nel segno dell’incontro con l’altro e trasmette così a Kiki il segreto che le farà ritrovare il potere di volare. Il quadro, che ha molti elementi chagalliani - dall’ariete alla luna rossa e al volo -, più che citare attua un passaggio di stato dall’emozione narrativa a quella estetica e da quella estetica a quella etico-spirituale.
Anche quando si può parlare di vere e proprie citazioni c’è però sempre dell’altro. Ancora in Porco rosso l’isola della donna amata dal pilota protagonista ricorda L’isola dei morti di Arnold Böcklin. Quando, poco prima di sacrificare Il castello errante di Howl nel tentativo di salvare il suo amore, la protagonista sale su una montagna, il passaggio cruciale è sottolineato dalla citazione del Viandante su un mare di nebbia di Caspar David Friedrich(6). In Si alza il vento l’immagine della protagonista si fissa in un momento topico in un frame a doppia valenza pittorica: la ragazza dipinge e i colori, l’inquadratura dal basso con tanto cielo e nuvole, perfino l’ombrellino, pur nelle differenze, richiamano un quadro celebre di Monet. Chi ha visto i film sa che non si tratta di momenti qualsiasi ma svolte destinate a segnare una pausa di riflessione. Il congegno stesso del castello, con le gambe o senza, rimanda a qualcosa dell’immaginario pittorico occidentale. Certo le macchine di Jean Tinguely sono il primo pensiero e lo stesso regista ha accreditato questa lettura( 7), ma anche si può pensare a certe creature surrealiste di Max Ernst che realizzavano una simile fusione di elementi umani, animali, vegetali e inorganici, oppure alle metafisiche creature di pietra sospese tra cielo e terra di Fabrizio Clerici(8) che, anch’esse bizzarramente antropomorfe, muovono una decisiva trasognata obiezione alla separazione fre le cose, alla loro non compenetrazione( 9).


Un fotogramma dal film Si alza il vento (2013).

Claude Monet, Donna con parasole girata verso sinistra (1886), Parigi, Musée d’Orsay.

Hokusai, La [grande] onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa).

Un fotogramma dal film Ponyo sulla scogliera (2008).


Max Ernst, L’elefante Célèbes (1921), Londra, Tate Modern.


Un fotogramma dal film Il castello errante di Howl (2004).


Un fotogramma “chagalliano” dal film Kiki, consegne a domicilio (1989).

Nel buddismo zen giapponese tra i quattro fondamentali stati d’animo il quarto è chiamato Yugen, ed è «quando la visione è la percezione di qualcosa di misterioso e strano, mai scoperto...».

Un fotogramma da Il castello errante di Howl (2004); Caspar David Friedrich, 


Viandante sul mare di nebbia (1818), Amburgo, Hamburger Kunsthalle.

Se Miyazaki è il Disney dell’era contemporanea, capace di attrarre bambini e adulti, è forse anche perché fa e fa fare l’esperienza del meraviglioso e ciò in lui si compie attraverso il riconoscimento della fondamentale non contraddittorietà degli opposti, esprimendo una visione non dualistica del mondo di cui, specie in Occidente, si sente il fascino e la necessità.

Fotogramma da Porco rosso (1992);


Arnold Böcklin, L’isola dei morti (1880-1886), Basilea, Kunstmuseum.

(1) «L’insofferenza maturata da Miyazaki nei confronti dei limiti identitari vigenti si intreccia con la continua ricerca di una propria estetica distintiva e liberatoria. Anche la sua insoddisfazioneverso le convenzioni industriali dell’animazione locale modellata sul manga e sull’“anime” televisivo, e quella verso il modello statunitense di impronta hollywoodiana, è accompagnata dall’avversione verso la chiusura dei rispettivi nazionalismi culturali e politici che fanno da sfondo a tali canoni espressivi. Il percorso biografico di Miyazaki è pertanto segnato sin dagli anni formativi da una vocazione cosmopolita, arricchita da infinite letture della letteratura mondiale per l’infanzia e dalla predilezione per l’animazione europeae russa, che riflette l’adesione giovanile alle idee marxiste e anti-imperialiste». T. Miyake, L’estetica del mostruoso nel cinema di Miyazaki Hayao, in www.academia.edu, p. 365.
(2) «Al polimorfismo del mostro è affidato invece il compito di incarnare le attribuzioni eterogenee di cui di volta in volta è investita l’alterità meravigliosa che è chiamato a personificare e mediare: le pulsioni interiori più recondite, le forze ambivalenti della natura, un passato o un futuro comunitario alternativi». Ivi, p. 372.
(3) E. O’Neill, Princess Mononoké: le paysage et “la cosa mentale”, in “Positif”, n. 2015.
(4) Per questo e altri spunti sono debitore al fondamentale studio di P. Schrader, Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer, Roma 2002.
(5) Ivi, p. 37.
(6) Echi di Friedrich si possono cogliere anche, secondo il già citato O’Neill, nelle brume che ricoprono le montagne in La principessa Mononoke.
(7) Così A. Bencivenni, Hayao Miyazaki. Il dio dell’anime, Genova 2005, p. 157.
(8) Tra tutti i riferimenti quello di Clerici è forse il più azzardato. Ma una mostra collettiva di arte italiana a Tokyo nel 1988 potrebbe costituire il “trait d’union” tra i due artisti.
(9) Sarebbe interessante esaminare ancora più sottili riferimenti nel capolavoro assoluto La città incantata, ma in questa sede non ne abbiamo lo spazio.ta

ART E DOSSIER N. 326
ART E DOSSIER N. 326
NOVEMBRE 2015
In questo numero: GIAPPONE E GIAPPONISMI Miyazaki e la pittura; La fotografia di Daido Moriyama; Packaging nipponico; Giappone e Art Nouveau. LA BARONESSA DADA Elsa, Man Ray, Duchamp e gli anni folli. IN MOSTRA Mirà e Cobra, Balla, Monet.Direttore: Philippe Daverio