Fiori e paesaggi.
il periodo iitsu
(1820-1834)

Quasi a sottolineare la rinascita dopo il sessantesimo anno – età che è considerata dai giapponesi particolarmente importante in quanto con essa si conclude un ciclo astrologico completo – alla fine del 1819 Hokusai abbandonò

il nome Taito e iniziò una nuova fase della sua carriera: scelse lo pseudonimo Iitsu, “nuovamente uno”, con il quale esprimeva chiaramente la sua volontà di cercare e perseguire una nuova svolta artistica. 

La prima fase di questo periodo - a ridosso degli anni Venti del XIX secolo - fu in verità poco prolifica, caratterizzata soprattutto per una ripresa delle collaborazioni con i circoli letterari privati. Nel 1821 realizzò la splendida serie di “surimono” in formato quadrato dal titolo Conchiglie al paragone [dell’era] Genroku (Genroku kasen kai awase) per gli affiliati al club Yomo di poesie “kyoka”, che vollero illustrare alcuni componimenti di carattere comico ideati per il capodanno. Un anno dopo Hokusai mise a punto un’altra serie simile, ancora una volta per il circolo Yomo: in questa occasione il tema prescelto fu quello del cavallo, segno zodiacale dell’anno che stava per iniziare. La serie dei cavalli (Umazukushi), composta di ben trenta “surimono”, è ancora più intrigante rispetto a quella “delle conchiglie”: i rimandi culturali ideati da Hokusai attraverso l’accostamento di oggetti, quasi a formare delle “nature morte”, testimoniano dell’ingegno creativo del maestro e della ricchezza del suo repertorio artistico. 

Tra il 1822 e il 1824 compilò due opere destinate a essere utilizzate da artigiani quali fonte di ispirazione per le loro creazioni: Modelli per pipe e pettini alla moda (Imayo-kushi kiseru hinagata, in tre volumi) e Nuovi modelli per la stampa su tessuto (Shingata komoncho). Del 1823 è l’uscita dell’Album di disegni con un sol colpo di pennello (Ippitsu gafu): l’album presenta una moltitudine di piccole immagini create, piuttosto che con un solo colpo di pennello, intingendolo un’unica volta nell’inchiostro. Nonostante il dichiarato intento manualistico, si tratta in realtà di esercizi di grande abilità tecnica e creativa per nulla facili da copiare.


Calzature, dalla Serie dei cavalli (1821); Chiba, Museo metropolitano.

Ashigai, dalla serie Conchiglie al paragone [dell’era] Genroku (1821); Chiba, Museo metropolitano.


Album di disegni con un sol colpo di pennello (1823); Londra, British Museum.


Gruppo di galli e galline (1835 circa); Tokyo, National Museum.

Riguardo alla pittura, nelle opere di questo periodo traspare una sempre più evidente antropizzazione delle espressioni degli animali, soggetto tra i preferiti dal maestro. Ancora in argomento di opere non destinate alla stampa multipla, nel 1826 Hokusai ricevette la commissione, da parte del medico tedesco Philipp Franz von Siebold e del capitano olandese de Sturler (giunti a Edo da Nagasaki in missione diplomatica ufficiale), di alcuni acquerelli, quaranta dei quali oggi suddivisi tra il Museo etnologico di Leida e la Biblioteca nazionale di Parigi. La collezione del medico tedesco comprendeva inoltre due dipinti raffiguranti dame che, pur privi di firma, possono ascriversi a Hokusai. L’assenza di iscrizioni è tuttavia lecita tenendo presente a quali gravi punizioni andasse incontro qualunque artista giapponese accusato di produrre opere per gli stranieri occidentali; si può ricordare che l’espulsione di Von Siebold dal Giappone fu provocata da un acquerello eseguito da un allievo di Hokusai, in cui erano raffigurate le mura perimetrali poste a difesa di Edo. Riguardo agli acquerelli, analisi di laboratorio hanno confermato che Hokusai si servì di carta, pennelli, colori e matite di provenienza olandese, forse forniti dallo stesso von Siebold. Le composizioni sono costruite secondo la prospettiva europea, mentre diffuso è l’utilizzo delle tecniche del chiaroscuro e dell’ombreggiatura, assenti nel linguaggio tradizionale della grafica giapponese. 

Del “periodo Iitsu” è anche la pubblicazione di alcuni dei volumi dello Shinpen Suiko gaden (Nuova edizione illustrata di “I racconti degli argini”), del quale si è detto a proposito della collaborazione tra Hokusai e Kyokutei Bakin, sostituito in questo periodo da Takai Ranzan. Il maestro poté in questo lavoro approfondire gli studi sulla figura umana, facendo appello agli insegnamenti conseguiti durante la prima fase della sua carriera, quando frequentava la scuola Katsukawa, dedicandosi soprattutto ai ritratti di attori kabuki. Una certa teatralità pervade infatti queste creazioni più tarde, ben visibile sia nelle immagini ispirate alla letteratura sia in quelle dedicate al sumō, la lotta giapponese.


Acquazzone improvviso (1826); Leida (Olanda), Museum Volkenkunde.


I racconti degli argini (1835 circa); Londra, British Museum. Hokusai cominciò a illustrare questo classico della letteratura cinese nel 1805. L’opera, pubblicata in numerosi volumi, ebbe un notevole successo di vendite.

Il fantasma di Oiwa, dalla serie I cento racconti [di fantasmi] (1831); Boston, Museum of Fine Arts.


Kusunoki Tamonmaru Masashige e Tsunehisa Bettō di Yao, dalla serie Eroi in lotta (1833-1834 circa); Tokyo, National Museum.

Nel 1831 il maestro pubblicò cinque stampe, tante ne sono attualmente conosciute, della serie dei Cento racconti [di fantasmi] (Hyaku monogatari): si tratta in effetti di creature di un altro mondo, incubi rigurgitati dalla psiche del maestro che elaborò queste immagini mostruose, basandosi sui racconti della tradizione nipponica. Di derivazione storico-mitologica autoctona sono anche i personaggi raffigurati per la serie degli Eroi in lotta del 1833-1834, della quale si conoscono solo cinque fogli. 

I primi anni del quarto decennio dell’Ottocento sono sicuramente i più importanti nella lunga e prolifica carriera di Hokusai, grazie alla pubblicazione di alcune opere che hanno fatto la sua fortuna rendendolo un artista di fama internazionale. Nel 1830, infatti, Hokusai iniziò a pubblicare Le trentasei vedute del monte Fuji (Fugaku sanjū rokkei) per conto dell’editore di Edo Eijudō . Il progetto originario prevedeva che Hokusai producesse trentasei paesaggi che fossero accomunati dalla presenza del monte Fuji; inizialmente le stampe sarebbero state realizzate con il solo ausilio del colore blu di Prussia, da poco entrato a far parte della tavolozza degli stampatori giapponesi che lo avevano importato dall’Europa. Il grande successo con cui furono però accolte le prime opere spinse l’editore a optare per una più ricca policromia. Inoltre, col passare del tempo e l’aumentare delle vendite, il numero delle vedute superò le trentasei unità previste; nelle intenzioni di Eijudō la serie poteva essere ampliata oltre le cento immagini, ma in realtà si fermò a quarantasei, forse per volontà dello stesso Hokusai che preferì dedicarsi ad altro o, come alcuni sostengono, per evitare il confronto diretto con Hiroshige che, in quegli stessi anni, eseguiva alcune delle sue stampe paesaggistiche più riuscite. 

Le trentasei vedute del monte Fuji sono il capolavoro più celebrato dell’artista giapponese: soprattutto La [grande] onda presso la costa di Kanagawa (Kanagawa oki namiura) è una raffigurazione ormai entrata nell’immaginario del mondo intero. In essa si sublima la potenza della natura alla quale deve sottostare l’essere umano; si enfatizza l’arte di un uomo (Hokusai) che riesce a dominare la natura attraverso un segno grafico aggressivo e maestoso, e la scelta di una colorazione elegante e non pervasiva. 

Ma l’abilità di Hokusai non fu solo quella di creare una straordinaria composizione: egli fu capace altresì di riportare in auge un tema come quello del paesaggio che aveva in passato costituito un motivo preponderante dell’arte giapponese. Se la Grande onda è il capolavoro, assurto a tale popolarità anche grazie al successo tributatogli in Occidente già sul finire dell’Ottocento, tutte le altre quarantacinque composizioni della serie del monte Fuji mostrano il livello eccelso raggiunto dal maestro: capacità inimitabili di sintesi, semplicità mai banale, sentimento e suggestione, come se egli riuscisse a compenetrare le vedute con la propria interiorità. Il cono perfetto del monte Fuji domina naturalmente le composizioni, seppure con dimensioni diverse: tutt’intorno si irradia la vita, e gli spazi tra il mondo della natura e quello degli uomini si riducono per diventare tutt’uno, come uno svolgersi di esperienze filtrato attraverso la fantasia di un grande artista.


La [grande] onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa). Quest’opera è un’icona celeberrima dell’arte, non solo giapponese. La forza straripante della composizione si unisce alla notevole qualità della stampa policroma.


Giornata limpida col vento del sud (Fuji rosso), dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa).

Dopo la fortunata serie delle Trentasei vedute del monte Fuji, Hokusai continuò a ideare per un certo periodo stampe in cui il paesaggio aveva un ruolo preponderante. Oltre alla simile tematica, per tutta questa produzione degli anni Trenta si possono individuare alcuni caratteri comuni, non solo tecnici, peraltro evidenti come la scelta dei toni cromatici, ma anche intellettuali e culturali: non da ultimo il grande amore di Hokusai per il proprio paese e i suoi cittadini, laboriosi e gaudenti.


Kajikazawa nella provincia di Kai, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa).

Hodogaya sul Tōkaidō, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa).


Bananeto a Chūtō, dalla serie Otto vedute delle isole Ryuūkyū (Ryūkyū hakkei) (1833); Honolulu, Museum of Art.


Pesca con torce nella provincia di Kai, dalla serie Mille immagini del mare (1833-1834); Parigi, Bibliothèque Nationale de France.

Il poeta cinese Li Bai, dalla serie Specchio di poeti giapponesi e cinesi (1833-1834); Honolulu, Museum of Art.


La cascata di Amida molto in profondità sulla strada di Kisō, dalla serie Viaggio tra le cascate giapponesi (1833-1834); Honolulu, Museum of Art.

Del 1833 è la serie con le Otto vedute delle isole Ryūkyū (Ryūkyū hakkei), piccolo arcipelago a sud del Giappone, peraltro mai visitato dall’artista che si servì evidentemente di immagini altrui per illustrarlo: sarà forse questo il motivo per cui le otto composizioni appaiono essere più distanti dal punto di vista dell’osservatore e forse dallo stesso Hokusai, che vi infuse un certo carattere di esotismo, immaginando irrealisticamente che su quei territori tropicali potesse cadere la neve fino a coprirne il paesaggio. 

Quasi contemporanea (1833-1834) è la serie delle Mille immagini del mare (Chie no umi) che, a dispetto del titolo, si compone di soli dieci fogli in ognuno dei quali è raffigurato un aspetto della vita dei pescatori giapponesi. Con i dieci fogli della serie Specchio dei poeti giapponesi e cinesi (Shika shashinkyo), il maestro riuscì a combinare la predilezione di quell’epoca per il paesaggio con il tema della letteratura, sia indigena che continentale. Queste stampe sono da molti considerate come il vero capolavoro di Hokusai: concepite per un formato verticale lungo (cm 52 x 23 circa), consentirono all’artista di mettere a frutto tutta la propria capacità inventiva. Ognuna delle composizioni illustra un momento particolarmente significativo della vita artistica del poeta cui si riferisce, oppure trasmette attraverso l’immagine l’interpretazione di un verso poetico che ha reso famoso il letterato. Nella stampa con il poeta cinese Li Bai (700-762 circa), Hokusai ha immaginato il momento in cui il letterato, inebriato dal vino e dal furore poetico, tenta di buttarsi tra le acque di una cascata che in lui suscitano una vera e propria estasi. Due giovani inservienti lo trattengono impedendogli di commettere l’atto estremo. 

Le cascate del Giappone saranno anche il tema principale di un’altra serie di otto stampe, pubblicata ancora tra il 1833 e il 1834, dal titolo Viaggio tra le cascate giapponesi (Shokoku toki meguri). Non sembra plausibile che Hokusai abbia visitato tutti i luoghi da lui descritti, situati per gran parte nei distretti del Kantō e del Kinki, ma che si sia piuttosto servito della sua fantasia e di guide illustrate dei luoghi. Nonostante ciò, le cascate di Hokusai riescono a evocare quel senso di solennità e di mistero che secondo la tradizione giapponese di derivazione shintoista era attribuito ad alcuni fenomeni della natura. 

Del 1834 sono anche le undici stampe con Vedute insolite di famosi ponti giapponesi (Shokoku meikyo kiran). In questa nuova serie Hokusai ha creato un compromesso tra la rappresentazione di luoghi reali e immagini totalmente fantasiose. Ancora una volta il paesaggio è l’elemento dominante insieme alle attività umane; si aggiunge inoltre lo studio delle costruzioni architettoniche. I ponti si inseriscono nella natura diventandone parte integrante, traghettando un’umanità variegata, quasi fossero la mediazione viva e pulsante tra la natura meravigliosa e il brulichio delle persone.

Contemporaneamente a queste ultime serie paesaggistiche, Hokusai concepì due gruppi di dieci fogli raffiguranti fiori. Conosciuti genericamente con i nomi di Grandi fiori e Piccoli fiori per il diverso formato che li caratterizza, questi fogli costituiscono un altro importante traguardo nell’arte di Hokusai. Il mondo della natura, anche quello vegetale oltre che animale, costituiva già in precedenza uno degli argomenti maggiormente trattati dal maestro che nel 1832-1833 aveva pubblicato una serie di grandi stampe in formato “nagaban tatee” (cm 50 x 23 circa) denominata Grandi immagini della natura, ognuna raffigurante una specie animale. Tuttavia, con le due serie dei Fiori Hokusai raggiunse un livello insuperato, riuscendo con grande maestria a infondere la vita ai fiori, di solito accompagnati da un insetto o da un uccello. Le colorazioni sono raffinate e il tratto leggero ma deciso: linea e colore sembrano, in questo caso più che altrove nell’arte giapponese, poter fare a meno delle ombreggiature per la resa della tridimensionalità e del volume; le composizioni hanno una profondità propria, effetto dell’accostamento bilanciato dei toni cromatici e della linea del disegno. Conforme allo spirito buddista, Hokusai diede ai fiori un’anima, la stessa trasfusa negli esseri umani, negli animali, nei fenomeni della natura, in tutto ciò che scaturiva dal suo pennello.


Yoshino, la cascata dove Yoshitsune lavò il suo cavallo, dalla serie Viaggio tra le cascate giapponesi (1833-1834); Honolulu, Museum of Art.


Il ponte di barche a Sano, Kōzuke antica veduta, dalla serie Vedute insolite di famosi ponti giapponesi (1834 circa); Honolulu, Museum of Art.

Iris e cavalletta, dalla serie Grandi fiori (1833-1834); Parigi, Musée National des Arts Asiatiques-Guimet.


Peonia e farfalla nel vento, dalla serie Grandi fiori (1833-1834).

Martin pescatore, iris e garofani, dalla serie Piccoli fiori (1834); Honolulu, Museum of Art.

Cardellino e ciliegio piangente, dalla serie Piccoli fiori (1834); Honolulu, Museum of Art.

HOKUSAI
HOKUSAI
Francesco Morena
Un dossier dedicato a Hokusai (Edo, 1760 - Edo, 1849). In sommario: Introduzione; Gli esordi e la fama. Dal periodo Shunro al periodo Hokusai; Hokusai e il mondo fluttuante dell'Ukiyo-e; Manuali ed erotismo. Il periodo Taito (1810-1819); Fiori e paesaggi. Il periodo Iitsu (1820-1834); Il ''vecchio pazzo per la pittura''. Il periodo Manji (1834-1849); Hokusai nel giapponismo. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.