Studi e riscoperte. 4
La decorazione ceramica geometrica

una forma
bella in sé

La concezione estetica fondata sulla geometria di forme e decorazioni appare nella ceramica greca delle origini ed è teorizzata addirittura dalla filosofia platonica, ma la sua diffusione è globale e attraversa i millenni e le culture.

Jean Blanchaert

Nel X e nel IX secolo a.C., contadini analfabeti, organizzati in tribù nei loro villaggi e intenti a strappare il sostentamento dalla terra o pastori nomadi in cammino con le loro capre sulle spelacchiate e aride collinette dell’Attica, davano istintivamente forma a un progetto decorativo di lunga durata con cerchi, punti, triangoli e linee dipinti su vasi domestici o rituali. Tutti i giorni, oggi, in ogni luogo del mondo, vasi ceramici da casa o da giardino vengono decorati geometricamente e spesso somigliano, senza che gli autori lo sappiano, a quei loro antenati di quasi tremila anni orsono. Le raffigurazioni di quegli antichissimi recipienti appartengono da sempre alla memoria collettiva dell’umanità. Il triangolo, per esempio, richiama la struttura molecolare dell’acqua (un atomo di ossigeno in uno dei vertici, due di idrogeno negli altri) e, al tempo stesso, tutte le figure geometriche contenevano la loro evoluzione futura, stavano alla radice di tutto l’impianto della filosofia platonica. I greci collegavano il “logos” (mondo della conoscenza intellettiva) con i numeri e con le grandezze su cui opera le geometria. A ogni Idea spettava un posto più elevato o più basso nel mondo intelligibile a seconda della sua universalità o dei rapporti più o meno complessi che aveva con le altre Idee. Per Platone, infatti, la bellezza non aveva tanto a che fare con i corpi o con l’arte che è pura imitazione delle Idee, quanto piuttosto con i numeri e la geometria, in quanto Idee in sé. Quelle stesse Idee sempre esistenti e imperiture che avevano dato origine al mondo, prima ancora che un dio-demiurgo le plasmasse.

Allora, Platone afferma nel Filebo: «Ciò che intendo per bellezza delle forme non è la bellezza dei corpi viventi o la loro riproduzione per mezzo del disegno. Io intendo le linee rette e le curve, le superfici e i solidi che derivano dalla retta e dal cerchio con l’ausilio del compasso, della riga e della squadra. Poiché queste forme non sono belle, come le altre, a certe condizioni, ma sempre belle in sé per natura». Perciò queste fogge schematiche lineari e precise, protagoniste della cultura materiale, rispecchiano l’idea di un ordine del mondo che più tardi si cercherà di imitare nel sistema politico e che la filosofia vedrà nel “logos”, emblema di tutti i rapporti.

Le fogge schematiche lineari e precise, protagoniste della cultura materiale, rispecchiano l’idea di un ordine del mondo


Eppure, ben prima che Platone facesse della geometria l’ossatura del linguaggio divino e ponesse le leggi di questa disciplina a fondamento di un mondo dove le Idee, al loro grado più alto, corrispondevano a puri rapporti numerici, le figure geometriche già fermentavano come archetipi nell’inconscio dell’umanità. Tale inconscio sgorgava dal volgo e aveva come substrato la povertà, così come afferma Erodoto: «La Grecia ha sempre avuto la povertà a sua compagna» (VII, 192). Chester G. Starr, nel suo libro L’origine della civiltà greca, sostiene che la struttura del pensiero greco si forma nel periodo più povero e buio delle origini, proprio quello in cui si sviluppa, nell’XI secolo a.C., la ceramica geometrica. Gli autori ceramici, risorgendo dalle rovine del mondo miceneo, individuano con la loro volontà di chiarezza e di ordine quelle che saranno le strutture portanti del pensiero greco. E lo fanno attraverso un essenziale linguaggio cifrato. In un periodo in cui ancora non esiste la scrittura questi segni sono lettere e la ceramica è un libro figurato. I suoi autori limitano rigorosamente il repertorio delle forme e decorazioni di cui si servono. Il lavoro è duro e monotono, ma facendolo acquisiscono un possesso sempre più sicuro delle tecniche per ottenere un nuovo slancio.

Nei secoli X-IX a.C., che corrispondono a un’unificazione linguistica e culturale di tutto il bacino dell’Egeo avviene un’evoluzione dello stile della ceramica che è detto ora geometrico per distinguerlo da quello protogeometrico degli esordi. Da un punto di vista formale appare una maggiore consapevolezza artistica e l’introduzione di nuovi motivi: i quadrati neri e bianchi a scacchiera, il meandro, la chiave greca, nuovi triangoli e punti. Questi vasi sono, come ha scritto Wilhelm Kraiker nel suo studio sull’ornamento nella prima pittura greca (1954), «senza immagine, ma non senza contenuto».

Quanto alle figure geometriche noi non sapremo mai il perché dei quadrati, dei cerchi e semicerchi concentrici, delle croci e dei triangoli, possiamo soltanto intuire che tutti insieme e in tutti i loro significati essi facciano parte di un linguaggio che si evolve in una lentissima storia dello spirito, quella storia a cui Jung aveva attribuito un percorso autonomo dall’evoluzione delle culture.


Anfora greca in stile tardo geometrico con animali (terracotta, 720 a.C), Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung.

In tutte le società agricole primitive appaiono motivi geometrici, a volte ridotti a semplici linee incise, e ricompaiono ogniqualvolta non ci sia una cultura egemone con dei miti, dei volti e degli eroi in cui identificarsi o da prendere a modello.

Lo stile geometrico si diffonde nell’Egeo proprio quando i molti dialetti si identificano in una sola lingua. Per la prima volta nel IX secolo, dopo un periodo di smarrimento e di caos successivo all’implosione della cultura micenea, ritorna a formarsi un’unità culturale e vengono poste le basi per la futura civiltà della “polis”. Dall’VIII al VII secolo a.C., dall’Oriente arrivano i prodotti delle arti minori e sulle ceramiche egee riappare il disegno figurativo che non si era più visto dai tempi minoici e micenei. Si tratta di raffigurazioni più formalistiche sui vasi di Dipylon, più libere su quelli degli artigiani protocorinzi.
Questi ultimi si distaccano progressivamente da un sistema artistico codificato, finché emergono mescolati ai disegni geometrici i soggetti attinenti alla vita e agli eroi celebrati dai poemi epici. Il loro scopo è di scegliere e perfezionare tutta una gamma di nuovi soggetti attinenti alla natura, alla vita e alla società. Con l’Iliade prima e con l’Odissea poi è nato il mito che ha rotto il misterioso incantesimo, perso nei millenni della preistoria, dell’arte geometrica pura. Abbiamo parlato della Grecia, ma anche in tante altre parti del mondo la ceramica geometrica è stata ed è tuttora un’importante forma di espressione per artisti e artigiani. Ce lo racconta Adolfo Bartolomucci, studioso, raccoglitore e gallerista di arte africana che ha vissuto in Mali per ben cinquantacinque anni. 

Innanzitutto, bisogna ricordare che quando si parla di Africa è doverosa la distinzione fra oggetti “di superficie” e reperti di scavo. Questi ultimi a loro volta si dividono in oggetti funerari e di uso quotidiano.


Oggetti molto ricercati nel mercato dell’arte per essere pezzi unici generati dal virtuosismo del singolo autore che non dimentica mai la sacralità del gesto


Mentre i reperti di scavo possono essere antichissimi, quelli di superficie al massimo raggiungono un centinaio d’anni di età. La ceramica geometrica attraversa tutte le etnie dell’Africa affondando le proprie radici nel rito, tipico delle diverse culture africane.


Contenitore per birra in terracotta dipinta, Ikombe Kisi, Tanzania, (fne del XX secolo).

Per esempio, in Nigeria possiamo avere un “titletaking vessel”, cioè un vaso appositamente realizzato per il conferimento di un titolo nobiliare. Il vaso è sferico con il collo corto, ornato di sottili solchi paralleli e di ampie bande che si irradiano dal collo e percorrono tutta la semisfera superiore. Questo tipo di vaso viene usato come status symbol dalle classi aristocratiche per servire il vino agli ospiti durante la cerimonia. Oppure, in Tanzania, possiamo trovare un grande contenitore per conservare la birra, cotto in una buca poco profonda scavata nel terreno. La forma, simile alla carena di una nave, è molto elegante e con il bordo leggermente più spesso e la giuntura appuntita tra la parte superiore e la parte inferiore del vaso. Infine, in Mozambico, i tipici recipienti per raccogliere l’acqua sono talmente belli da essere spesso regalati come dono di nozze. Oggi sono molto ricercati nel mercato dell’arte per essere pezzi unici generati dal virtuosismo del singolo autore che non dimentica mai la sacralità del gesto.

Gli agenti atmosferici, cioè le condizioni climatiche, le escursioni termiche, la potenza del sole e delle piogge torrenziali, la sabbia, il vento, usurano gli oggetti africani non di scavo rendendo quasi impossibile un loro invecchiamento oltre i cento anni. Questo non accade, invece, nel mondo precolombiano dove possiamo trovare vasellame e sculture ceramici con un vissuto di centinaia di anni. Anche in America centrale e in America del Sud la ceramica geometrica attraversa gloriosa tutti i popoli e tutto il territorio, dagli aztechi ai maya ai toltechi della Mesoamerica fino agli inca e ai moche dell’America meridionale.
Nell’attuale Stato messicano di Chihuahua, che sembra sbucare negli Stati Uniti d’America sotto Arizona e New Mexico, fra Californa e Texas, c’è una zona archeologica precolombiana che dal 1350 d.C. ospitava nella fertile valle del fiume San Miguel un insediamento con case a più piani che dà il nome allo stile ceramico Casas Grandes. Fra gli oggetti d’arte, espressione di una civiltà molto evoluta tecnologicamente, vi erano campane e gioielli di rame e molta ceramica dai forti colori. Spesso si tratta di oggetti che sembrano incredibilmente concepiti ieri, anche grazie al loro eccezionale stato di conservazione. Ricordano le xilografie di Escher, illusioni ottiche psichedeliche che rimandano ai funghi magici di Castaneda.
Molto più a sud, lungo la costa ovest dell’America meridionale abitavano gli inca. La loro grande influenza sulle popolazioni andine, durata tre secoli (fra il XIII e il XVI secolo d.C.), iniziò con la potente casta dei sacerdoti, custodi del tempio che i signori dell’epoca avevano fatto costruire nella valle del Cuzco. Le loro origini sono perse nel mito che essi stessi alimentarono. Alcuni testimoni hanno anche parlato di una lingua segreta e preclusa al popolo. La loro arte è frutto di una politica assimilazionista che consiste nell’utilizzare modi e forme delle culture assoggettate. Gli ariballi, per esempio, erano oggetti in terracotta molto diffusi adoperati per il trasporto dei liquidi. Il collo occupava un terzo dell’altezza e solidissimi anelli laterali erano predisposti per far passare le corde e assicurare l’oggetto alle spalle. Questo bellissimo artigianato popolare, sovente color rosso pompeiano, non era certamente per le classi colte. Lo stile che li caratterizza è concepito in modo da essere facilmente riproducibile, affinché gli oggetti, una volta “inventati”, possano avere una “tiratura illimitata” e raggiungere tutte le parti dell’impero. Sembra di sentire i comandamenti del moderno design.

ariballo o vaso per trasporto liquidi, in ceramica modellata e dipinta, arte inca (1400-1500 d.C), Roma, Museo Pigorini.


vaso con decori geometrici, ceramica dipinta, arte Casas Grandes, Chihuahua, Messico (1400-1500 d.C), Roma, Museo Pigorini.

ART E DOSSIER N. 325
ART E DOSSIER N. 325
OTTOBRE 2015
In questo numero: UNA GEOMETRICA BELLEZZA Parrino, astrazione punk; Malevič-Lisickij, un rapporto difficile; Arti decorative: ceramiche arcaiche, pavimenti medievali, Owen Jones. IN MOSTRA Burri, Picassomania, Malevič, Prostituzione, Giotto.Direttore: Philippe Daverio