Grandi mostre. 4
Giotto a Milano

un artista
viaggiatore

A Palazzo reale una mostra documenta - con un selezionato gruppo di opere attribuite in modo inequivocabile a Giotto - gli spostamenti del maestro fiorentino in Italia. Ce ne parla qui Serena Romano, curatrice della mostra insieme a Pietro Petraroia.

Serena Romano

La mostra Giotto, l’Italia, in corso al Palazzo reale di Milano fino al 10 gennaio 2016, è nata sulla base di un progetto scientifico che sembrava, all’inizio, quasi impossibile. Riunire a Milano un gruppo selezionatissimo di capolavori assoluti, opere di Giotto accertate da fonti e documenti e legate, senza possibilità di dubbio, a città ed edifici di culto celebri nell’Italia medievale: un’impresa mai tentata prima, che ha voluto programmaticamente escludere dal percorso espositivo le opere non documentate, o quelle “homeless”, cioè i dipinti di provenienza ignota, accostati al nome del maestro sulla base di ipotesi e ragionamenti attributivi.


Polittico Baroncelli (1330 circa), Firenze, basilica di Santa Croce.

L’obiettivo, infatti, era di offrire ai visitatori - tra i quali, fino al 31 ottobre, anche la cosmopolita folla di Expo 2015 - il ritratto di un artista “viaggiatore”, Giotto, pietra miliare della cultura italiana: un fiorentino che nel corso della sua lunga carriera (nato probabilmente nel 1267, morì nel 1337) percorse tutti i luoghi “che contavano” dell’Italia del suo tempo, chiamato da domenicani e francescani, da cardinali e papi, da banchieri e famiglie nobili, dal re di Napoli e dal signore di Milano, e naturalmente dalla sua città, Firenze, che negli ultimi anni della sua vita lo insignì della responsabilità di tutte le opere pubbliche cittadine in nome della sua estrema bravura e della sua fama planetaria.

Il visitatore che entra al piano nobile di Palazzo reale trova quindi un percorso espositivo che ha cercato di tenere insieme il diritto, per così dire, dello spettatore a concentrarsi esclusivamente sulle opere, a farsi affascinare da questo linguaggio oggi così arcano eppure così forte e persuasivo; e, d’altro canto, l’altro suo diritto a essere informato, a disporre di dati tecnici e storici, per saperne di più sul mestiere del pittore e sulla società di cui egli faceva parte. Un dialogo, quello con la società del tempo e con le sue tradizioni, esigenze, attese, senza il quale l’arte di Giotto resta più muta e meno comprensibile. Chi visita la mostra percorre quindi un tragitto fatto di grandi, monumentali nodi, e di pause; e questa sequenza ritmica di gruppi corrisponde a quella della vita di Giotto, al suo crescere dai tempi della formazione giovanile sino ai fasti della maturità e della vecchiaia.

Si comincia con le tavole da lui dipinte quando era molto giovane, per luoghi non ancora di primissimo piano - la Madonna di Borgo San Lorenzo e la Madonna di San Giorgio alla Costa - dove la vicinanza al linguaggio dispiegato dall’artista nella basilica superiore di Assisi è molto palese. 


La presenza in mostra del monumentale Polittico Stefaneschi è una novità assoluta, non essendo mai uscito prima d’ora dalle mura vaticane


Polittico Stefaneschi (secondo decennio del XIV secolo), recto, Città del Vaticano, Musei vaticani.

Poi il gruppo di Badia, la chiesa fiorentina gemellata ai luoghi del potere cittadino, il palazzo del Podestà e la sede del Comune: il grande polittico ora agli Uffizi e i quattro affreschi staccati, resto del ciclo pittorico che circondava il polittico nella cappella maggiore della chiesa, testimoniano del rapido insediamento di Giotto nei gangli e nel cuore del potere della città di Firenze.

Ancora dopo, il visitatore si trova confrontato a una serie di “eventi”, possiamo ben dirlo, cioè di opere che non sono state mai prestate a una mostra, e mai si sono potute vedere l’una a fianco all’altra. Siamo nel secondo decennio del Trecento, e Giotto è ormai all’apice del suo successo; gestisce contemporaneamente cantieri importantissimi tra Assisi, Firenze, Roma, pieni di collaboratori e di aiuti accuratamente da lui formati. Per l’altare dell’antica cattedrale fiorentina, Santa Reparata (su cui poi sorse Santa Maria del Fiore), Giotto realizza il polittico a due facce, con santi e l’Annunciazione: la forma semplice e ancora tradizionale del polittico viene trasformata tramite effetti di profondità fittizia, di luci e colori forti e a volte acidi. Accanto al retablo fiorentino c’è l’opera da Giotto realizzata per il cardinal Stefaneschi e per San Pietro in Vaticano, il polittico quasi certamente destinato all’altar maggiore della basilica. 

La presenza in mostra di questa monumentale opera è una novità assoluta, non essendo mai uscita prima d’ora dalle mura vaticane: in essa i temi iconografici e compositivi di tradizione strettamente romana vengono rinnovati dallo sguardo rivoluzionario del pittore toscano. 


Il Polittico Baroncelli è ricongiunto, in mostra, alla sua cuspide conservata nel San Diego Museum of Art


Accanto al polittico, ulteriore straordinaria novità, si è riusciti a esporre l’unico resto della decorazione ad affresco che Giotto aveva realizzato nella basilica vaticana: un frammento con due teste di apostoli, di collezione privata, non visto finora da alcuno e noto soltanto attraverso un articolo del 1971.


Polittico di Bologna (1332-1334 circa), Bologna, Pinacoteca nazionale.

La mostra si chiude con le opere della tarda età del maestro, rimasto straordinariamente attivo fino ai suoi ultimi giorni. I due polittici di Santa Croce a Firenze e quello di Bologna non sono mai stati esposti insieme, e non prestati a nessuna delle mostre giottesche dopo la seconda guerra mondiale. Il Polittico Baroncelli - dalla cappella della famiglia di banchieri in Santa Croce a Firenze - è ricongiunto, in mostra, alla sua cuspide conservata nel San Diego Museum of Art; il Polittico di Bologna fu realizzato forse per la cappella della residenza pontificia cittadina che doveva ospitare il papa tornato da Avignone. Ambedue precedono di poco la partenza di Giotto per Milano: casuale, ma intrigante, è il fatto che la mostra celebri anche un anniversario, quello del passaggio del maestro per Milano, che avvenne nel 1335-1336.

Giotto, l’Italia offre dunque un’occasione imperdibile, che sarà difficile ripetere in tempi brevi o lunghi: guardare insieme, confrontabili a distanza di pochi metri, le tappe del prodigioso viaggio di Giotto attraverso i luoghi e le città dell’Italia del suo tempo, “cantieri” frutto dell’inarrivata bravura personale dell’artista ma anche della sua versatilità organizzativa e produttiva, e della sua implacabile regia, che fanno di lui una star ante litteram, come i grandi architetti o i grandi imprenditori di oggi. I visitatori sono invitati a integrare la mostra con le visite ai “luoghi di Giotto”, in Lombardia, in Toscana, a Rimini, a Padova, a Napoli: la personalità di uno dei più grandi artisti italiani mai vissuti sarà per loro una scoperta, o un approfondimento, in ogni caso un’avventura di prima qualità.


Madonna di San Giorgio alla Costa (1290 circa), Firenze, Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte.

Giotto, l’Italia

a cura di Pietro Petraroia, Serena Romano
Milano, Palazzo reale, piazza Duomo 12
orario 9.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30,
lunedì 14.30-19.30
fino al 10 gennaio 2016

catalogo Electa
www.mostragiottoitalia.it

ART E DOSSIER N. 325
ART E DOSSIER N. 325
OTTOBRE 2015
In questo numero: UNA GEOMETRICA BELLEZZA Parrino, astrazione punk; Malevič-Lisickij, un rapporto difficile; Arti decorative: ceramiche arcaiche, pavimenti medievali, Owen Jones. IN MOSTRA Burri, Picassomania, Malevič, Prostituzione, Giotto.Direttore: Philippe Daverio