Studi e riscoperte. 2
Il paesaggio del Sacrificio di Isacco di Caravaggio

Un rifUgio
sicUro?

L’unico paesaggio riconoscibile nella pittura di Caravaggio è collegabile a un luogo preciso della Sabina, a una nobile famiglia romana e probabilmente a un periodo complicato della vita dell’artista.

Enzo Pinci

Caravaggio non dipinse alcun paesaggio definito e riconoscibile salvo quello che compare nello sfondo del Sacrificio di Isacco degli Uffizi. I motivi di questa assenza sono essenzialmente due: uno è dovuto all’interesse primario dell’artista per la figura umana, in tutte le sue realtà, angolazioni e luci, e l’altro al fatto che non si conoscono - anche se vi saranno stati - suoi disegni, e mentre i quadri venivano realizzati in studio, con l’intervento dei modelli, i paesaggi reali dovevano essere per forza preceduti da un disegno dei luoghi. Il quadro è stato dipinto tra il 1601 e il 1604 (risultano nel 1602 dei pagamenti a suo nome effettuati dai Mattei e non tutti esattamente correlati a quadri già noti) e dei pagamenti per cento scudi (1603-1604) forse riferiti a questo quadro da parte di Maffeo Barberini (poi papa Urbano VIII) nella cui collezione l’opera compare dal 1608. Il committente originario o almeno il destinatario ideale era invece Ciriaco Mattei che aveva da poco acquistato il feudo di Castel San Pietro e insieme con Asdrubale, suo fratello, i castelli di Belmonte, Giove e Rocca Sinibalda. 

I Mattei furono noti collezionisti e protettori di Caravaggio che tra l’altro risiedeva presso di loro sino al 1603-1604 prima di prendere in affitto la famosa casa romana di vicolo san Biagio, quella che lasciò con un soffitto sfondato. 

Particolare familiarità, quella tra artista e committenti, che spiegherebbe i messaggi subliminali presenti nel quadro, ma che forse non bastò a impedire qualcosa che avvenne tra i Mattei e Caravaggio tra il 1603 e il 1604, forse collegato alla decisione del pittore o dei suoi protettori di cambiare abitazione. Ma, tornando al quadro, uno di questi messaggi - per Caravaggio nulla era lasciato al caso - era proprio il paesaggio nello sfondo della scena principale, che descrive un luogo preciso (Castel San Pietro Sabino) e i grandi lavori di ampliamento in corso all’epoca nel castello di famiglia.

Importanti opere edilizie della signoria Mattei, testimoniate, in effetti, dalle differenze dell’edificio tra il quadro di Paul Brill (1599-1601) e la lunetta (1620 circa) affrescata da Bonsi di Pietro Paolo, detto il Gobbo dei Carracci, nella galleria di Pietro da Cortona del palazzo romano dei Mattei. 



Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare dello sfondo con Castel San Pietro.

Questi lavori, avvenuti nel tempo intermedio tra le due rappresentazioni citate, sono molto evidenti nel Caravaggio, poiché il castello non ha finestre e si vede chiaramente una capriata del tetto ancora scoperta: per essere a vista, deve per forza essere in costruzione o in rovina. Anche l’assenza delle finestre, escluse due sole aperture che paiono porte interne, è un’immagine fedele e puntuale dello stato di fatto dell’epoca (1601-1604); tra l’altro l’edificio parrebbe parzialmente coperto forse da una sorta di involucro di stuoie, nel quale si soleva avvolgere il ponteggio ligneo dell’edificio e dove si posizionavano le carrucole per sollevare i materiali da costruzione.

L’iconografia del quadro, in qualche modo dedicatoria, può essere facilmente interpretata come omaggio al committente-costruttore, ma anche segno di riconoscenza che il pittore immette nel quadro, magari paragonando l’angelo che salva Isacco all’angelo (Ciriaco Mattei) che a sua volta salva lui dal sacrificio; ovvero la sua morte per mano, ipotizziamo, dei sicari che lo cercano (sono notissime le traversie di Caravaggio, anche di quegli anni, risse, arresti ecc.). Non a caso l’angelo pare indicare il paesaggio, ed esattamente il luogo, che lo ha salvato, più che il montone che si trova in basso.

Per quello che riguarda l’identificazione di Castel San Pietro col paesaggio dipinto, vi sono almeno cinque elementi - troppi per essere casuali - evidenziati nelle immagini a raffronto. Queste immagini storiche ci danno una sequenza temporale: la prima, il dipinto eseguito da Paul Brill (incaricato proprio dai Mattei di dipingere i nuovi feudi della Casa sullo scorcio del XVI secolo), testimonia la consistenza del castello appena fu acquisito dalla famiglia; in quelle successive si vedono invece le differenze dovute agli interventi di ampliamento. All’interno della galleria di Pietro da Cortona ci sono ben due immagini che si riferiscono a Castel San Pietro: in una è documentato lo stato del castello prima dei lavori (copiato dal quadro di Brill che era in un’altra sala del palazzo), in un’altra i lavori già fatti e quelli in progetto (si ipotizza la supervisione di Pietro da Cortona al lavoro delle lunette, vista la contiguità di lavoro tra questi e Bonsi in quel cantiere, e voler testimoniare con due vedute lo stesso luogo fa capire quanto i Mattei lo ritenessero importante).

Mentre era nota dai documenti la presenza di Caravaggio a sud di Roma, nei feudi Colonna di Paliano, Palestrina ecc., non era finora documentata la sua presenza in Sabina. Questo quadro testimonia dunque la sua presenza nella più antica e nobile campagna di Roma proprio in uno dei momenti più alti della sua produzione artistica, gli anni dal 1600 al 1604, così caratterizzati da quei capolavori che gli dettero grande fama presso i suoi contemporanei.


Castel San Pietro.


Bonsi di Pietro Paolo, Castel San Pietro (1620 circa), Roma, palazzo Mattei, galleria di Pietro da Cortona. La numerazione, ripetuta nella foto odierna del sito, in alto, indica i luoghi tuttora riconoscibili. Castel San Pietro aveva già probabilmente subito la prima trasformazione da castello in palazzo, come si vede anche nel dipinto di Brill, già fin dall’epoca del dominio Orsini (sappiamo che dal 1450 fu di proprietà di Jacopo e Maddalena Orsini). Castel San Pietro è nel cuore della Sabina, a meno di trenta miglia da Roma, cioè un giorno di cammino o qualche ora di cavallo; abbastanza defilato da essere rifugio sicuro per allontanarsi dalla città.

Immaginiamo che questa sosta sabina abbia prodotto in lui un senso di riconoscenza per il luogo della sua visita o soggiorno, che potrebbe essere proprio testimoniata da questa rappresentazione salvifica. Ma questo “quadro di riconoscenza”, probabilmente dipinto sul posto, è anche un distacco dalle frequentazioni notturne e diurne di un ambiente romano pieno di pericoli per il nostro grande ma irascibile artista. L’amenità del luogo sarà stata sicuramente un rimedio, almeno temporaneo, alle sue travagliate vicende, tanto da essere degno di essere rappresentato, insieme a uno scorcio di cielo azzurro e in un’atmosfera magistralmente interpretata.


Paul Brill, Castel San Pietro (1599-1601), Roma, Galleria nazionale di arte antica di palazzo Barberini.

ART E DOSSIER N. 325
ART E DOSSIER N. 325
OTTOBRE 2015
In questo numero: UNA GEOMETRICA BELLEZZA Parrino, astrazione punk; Malevič-Lisickij, un rapporto difficile; Arti decorative: ceramiche arcaiche, pavimenti medievali, Owen Jones. IN MOSTRA Burri, Picassomania, Malevič, Prostituzione, Giotto.Direttore: Philippe Daverio