Grandi mostre. 3
Arte e prostituzione in Francia tra Otto e Novecento

les fleurs
du mÂle

Parafrasando Baudelaire, potremmo indicare come “i fiori del maschio” la moltitudine di ragazze che popolavano cabaret, strade e bordelli della Parigi tra fine Ottocento e primo Novecento. Un mondo che non mancò di incuriosire artisti e poeti, come racconta in questi mesi una mostra al Musée d’Orsay.

Séverine Jouve

Gli artisti francesi della seconda metà dell’Ottocento esplorarono meticolosamente il mondo della prostituzione parigina, affascinati dagli attori e dai luoghi di un universo onnipresente nella città del tempo. Dopo Baudelaire, furono i pittori a vedere in questo mondo ambiguo il tema “moderno” per eccellenza. Dall’Olympia di Manet alle Demoiselles d’Avignon di Picasso, passando per Degas, Toulouse-Lautrec o Rops, una mostra al Musée d’Orsay evidenzia il ruolo svolto dalla prostituzione nella nascita dell’arte moderna; fenomeno trattato anche dal punto di vista socioculturale, attraverso la fotografia e con una ricca documentazione che illustra lo status ambivalente della prostituta: dalla miseria delle “pierreuses” da pochi soldi alle ragazze delle case chiuse, allo splendore delle “demi-mondaines”.

Con la pubblicazione di Les Fleurs du Mal (1857), Baudelaire aveva aperto le porte alla modernità: l’arte non era più riservata alle contemplazioni romantiche. Gli artisti lo seguirono ben presto nelle vie della Parigi notturna, scoprendo bellezza nelle sue periferie. Abbandonati i pregiudizi, nessun argomento era disprezzabile per il poeta, che definì la sua teoria della modernità citando un disegnatore specializzato in scene di strada, Constantin Guys. Questo «pittore della vita moderna», come lo definiva, aveva saputo cogliere le immagini fugaci della vita contemporanea, fissare l’effimero di una scena in un caffè o la sagoma di una “grisette”, ragazza di condizione modesta, alla ricerca dell’«eterno nel transitorio».

Le gesta delle ragazze dei boulevard, delle cocottes trionfanti e delle mantenute entrano nella letteratura


La figura della prostituta invade i romanzi: Marthe, di Huysmans (1876), La fille Elisa, di Goncourt (1877) o Nana, di Zola (1880): le gesta delle ragazze dei boulevard, delle cantanti dei café-concert, delle cocottes trionfanti e delle mantenute entrano nella letteratura.

Maupassant si distingue facendosi antropologo del bordello: La Maison Tellier (1881) vanta una discrezione da commercio onorevole; Madame dirige tutto, le venditrici d’amore offrono le loro carezze e le dorature coprono la latta. Rassicurati, l’habitué o il giovane alle prime armi si abbandonano alle cure delle “demoiselles”. Incerto tra lirismo e derisione, l’autore svela il desiderio ai suoi lettori, offrendo loro «tutta la schiuma del mondo, tutta la spregevolezza distinta, tutta la muffa della società parigina». Maupassant frequenta le case chiuse, e se ne fa un vanto.


Constantin Guys, Uomini seduti in compagnia di donne poco vestite (anni Settanta del XIX secolo?).

Dopo Baudelaire, che riconosce nella prostituzione il destino della letteratura, vedremo anche i fratelli Goncourt, Manet, Huysmans, Toulouse-Lautrec frequentare gli stessi luoghi, come per verificare, al di là dei piaceri, fino a che punto il cinismo del denaro trasforma ogni essere in merce. Maupassant ne pagherà il prezzo morendo di sifilide a quarantadue anni. E questo malgrado il fatto che la casa di tolleranza sostenga di esercitare un controllo severo sulla prostituzione. L’apertura di una “maison” viene autorizzata dalla questura dietro richiesta della futura tenutaria, la quale deve tenere un registro aggiornato delle sue ragazze, che vengono sottoposte a un controllo sanitario obbligatorio. Nelle maggior parte dei casi, il controllo si rivela inefficace: per non perdere le inquiline più redditizie, la maîtresse non esita a corrompere il medico. Le “filles de joie” sono spesso reclutate nelle stazioni e devono poi ottemperare a tutti i desideri dei clienti, pena una punizione o perfino l’espulsione.

Ma è la messa a nudo delle carni lascive, le ragazze intente ad aggiustare le calze o a colorarsi le labbra che tentano lo scrittore e il pittore. Lo scrittore e poeta Jean Lorrain, per esempio, ha disegnato in modo crudo queste «false Primavere, queste Gioconde di bassa lega». Un po’ come Sem nelle sue caricature, esegue in pochi tratti i ritratti delle inquiline delle case. Questa Angelina «dalla carne sudata, e il petto simile a gelatina, contenuta in una maglia di jersey lilla ornata da un colletto alla Pierrot» non somiglia forse a uno schizzo di Lautrec? Infatti l’artista predilige la maison della rue des Moulins. Ci vive per lunghi periodi, condividendo la vita delle ragazze, complice della loro vera intimità.

Le dipinge al risveglio, alla toilette, mentre chiacchierano o sono in attesa del cliente. Le ragazze apprezzano questo inquilino basso di statura, confidente attento, amante familiare che si giocano a dadi la domenica.

Nello stesso periodo, con le trasformazioni di Haussmann, Parigi cambia pelle. La “Moderna Babilonia”, scossa dalla febbre speculativa e innamorata del progresso, in cui secondo Zola, «si consumano le più calde godurie nel fracasso dei milioni», affascina i pittori. Di questa mutazione Baudelaire aveva già sottolineato l’ambivalenza, definendo la città «l’enorme sgualdrina».

Da quel momento in poi tutto esplode in quella fine di secolo. I giovani avanguardisti premono per aprire il capitolo del Novecento. Il naturalismo lascia il posto a un simbolismo decadente, gli impressionisti assistono all’emergere dei Nabis. Mentre il secolo agonizza, nei caffè del Quartier latino o nei cabaret di Montmartre i gruppi si affrontano a colpi di teorie. Vi si incontrano Wilde, Mirbeau ma anche Forain, Seurat, Signac, Vuillard e ancora Lautrec. Se le sue tele scandalose attirano su di lui le simpatie degli anarchici, il destino della Repubblica gli è indifferente: «Non appartengo a nessuna scuola. Lavoro per conto mio. Ammiro Degas et Forain». Come il suo amico Van Gogh, Lautrec non aderisce a nessun gruppo.

Ed è solo nel 1890, grazie alla sottoscrizione pubblica lanciata da Monet, che l’Olympia di Manet (1863) entra finalmente nelle collezioni nazionali.


Henri de Toulouse-Lautrec, Visita medica: prostituta bionda (1893-1894).

Una miniera inesauribile che Félicien Rops, artista ribelle, sfrutterà con un senso acuto della perversione


Anche i canoni della bellezza femminile cambiano: le ultime rotondità tendono a scomparire a vantaggio di una silhouette evanescente. Le curve dell’arte del primo Novecento si confondono con i fianchi della donna ideale: punto vita stretto in un corsetto, sedere sovradimensionato grazie al magico “pouf”, si presenta così la donna della Belle époque. Nel 1904, la famosa cortigiana Liane de Pougy crea la propria rivista settimanale, “L’art d’être jolie”; perché le “grandes horizontales” ora dettano la moda. Ormai la donna vuole essere magra, anzi gracile come Sarah Bernhardt o Cléo de Mérode. E gli artisti seguono la corrente: le silfidi popolano i manifesti di Mucha e le contesse longilinee fanno mostra di sé nei quadri di Boldini.

Anonimo, Studio di nudo. Donna seduta con le braccia incrociate (1900-1910).


Virginia Verasis di Castiglione, in una foto di Jean-Louis Pierson dal titolo Una domenica (1861-1866).

È l’epoca della vita notturna rumorosa; la capitale, accogliente, offre ai nottambuli mille luoghi per divertirsi: cabaret, teatri, vaudeville. La festa è accompagnata da bevute generose: se il popolino si accontenta di vin brulé, al café-concert avventori abituali e artisti si distruggono con l’assenzio. I più abbienti vanno alle Folies-Bergère, al Divan Japonais o allo Chat Noir, dove le cocottes d’alto bordo si lasciano avvicinare. Come la formosa Goulue, che trionfa al Moulin Rouge, le ultime notti del secolo debordano da ogni dove. L’eccitazione del voyeurismo raggiunge il suo apice proprio al Moulin Rouge quando, in calze nere e mutande svolazzanti, quattro ragazze sbucano urlando: largo alla “quadriglia naturalista”, o “french cancan”! Quando finiscono a terra con la spaccata, gli applausi fanno tremare i bicchieri sui tavoli. Tutto ciò è naturalmente osteggiato dalle associazioni benpensanti che vi oppongono i loro principi moralizzatori. Da oggetto oscuro del desiderio, la donna diventa l’incarnazione del Male.

D’ora in poi nelle arti regnerà la “femme fatale”, idolo ornato di pietre preziose, o sfinge dallo sguardo vacuo, manifestazione esasperata della misoginia dominante. Nulla è più emblematico al riguardo della Salomè biblica che, fino alla prima guerra mondiale, diventa un tema ricorrente: orientale dal sorriso isterico che porta su un piatto una testa d’uomo mozzata, appare nei panni di una terrificante megera. Non si tratta tanto di culto quanto di esecrazione: si coprono queste bellezze di gioielli come le si coprirebbero di ingiurie. Gustave Moreau ha dipinto le più rappresentative. I commenti di Huysmans hanno cambiato per sempre la nostra visione dei suoi quadri: dietro l’adorazione della donna fatale spunta ovunque il disgusto. 


Insensibilmente, la Salomè di Moreau diventa sinonimo della depravazione femminile. L’anatema di Baudelaire risuona ancora in questo cambio di secolo, declinato in tante maniere: «La donna è naturale, cioè abominevole ». Si tratterà ora di rappresentare la “donna assoluta”, liberata dalle leggi, dalla morale e dalle convenzioni. La pittura la mostra a volte con una brutalità stupefacente: Gustav- Adolf Mossa dà un titolo sobrio, Elle (1905), a una tela dove una donna siede su un ammasso di cadaveri in miniatura. L’opera è volutamente volgare, esemplare riassunto della guerra fra i sessi: femminile singolare contro maschile plurale. La nuova Messalina è preda di una sessualità insaziabile: «L’idea del coito è al centro del suo pensiero», scriverà Weininger nel suo saggio Sesso e carattere (1903). Così la donna non può essere che un mostro, e la sua mostruosità è una miniera inesauribile di argomenti che Félicien Rops, artista ribelle, sfrutterà con un senso acuto della perversione. La sua opera appare come una specie di grandiosa messa nera. Tutto viene profanato, perfino l’amore. Solo l’arte è salva. La leggerezza della sua produzione sarà stata solo una maschera di un’arte grave, Pornokratès o la Tentazione di sant’Antonio, espressioni varie di uno spirito tragicomico. Nessuno più di lui è sceso così i profondità: ha toccato con mano il fango umano per estrarne il fiore di un’arte spaventosa e corrotta. Fine di un secolo, fine del sesso, fine serie. Sarà questo mondo corrotto, allo stesso tempo lugubre e colorato, che farà da sfondo allo sviluppo della pittura moderna. I poeti surrealisti vi scopriranno l’amore folle.

Splendeurs et misères.
Images de la prostitution en France 1850-1910

a cura di Marie Robert, Isolde Pludermacher, Richard Thomson,
Nienke Bakker
Parigi, Musée d’Orsay, 1 Rue de la Légion d’Honneur
fino al 17 gennaio 2016
orario 9.30-18, giovedì 9.30-21.45, chiuso il lunedì
catalogo Musée d’Orsay/Flammarion
www.musée-orsay.fr

ART E DOSSIER N. 325
ART E DOSSIER N. 325
OTTOBRE 2015
In questo numero: UNA GEOMETRICA BELLEZZA Parrino, astrazione punk; Malevič-Lisickij, un rapporto difficile; Arti decorative: ceramiche arcaiche, pavimenti medievali, Owen Jones. IN MOSTRA Burri, Picassomania, Malevič, Prostituzione, Giotto.Direttore: Philippe Daverio