astrattismi

«Esiste un genere d’emozione che è proprio della pittura e nulla in letteratura può darne l’idea: un’impressione che risulta da una certa disposizione di colori, di luci, d’ombre, ecc., e che si potrebbe chiamare la musica del quadro.

quando si entra in una cattedrale e ci si trova ad una distanza troppo grande da un quadro per sapere che cosa esso rappresenta, si è presi da questo accordo magico, potere che talvolta le linee possiedono da sole grazie alla loro grandiosità». Questa nota apparsa intorno al 1855 nel Journal di Delacroix, ripresa, tra gli altri, da Gauguin, potrebbe appartenere a un pittore astratto. Nel 1913 nel suo Sguardo al passato Kandinskij ricorda l’emozione provata, non a caso, all’«ora del crepuscolo»: «Vidi d’improvviso un quadro di bellezza indescrivibile, imbevuto di un ardore interno. Mi fermai colpito, poi mi avvicinai rapidamente a questo quadro misterioso su cui non vedevo altro che forme e colori e il cui contenuto mi era incomprensibile. Trovai subito la chiave del mistero: era un mio quadro appoggiato alla parete di lato. [...] Seppi ora in modo preciso che l’oggetto nuoce ai miei quadri».
Pensiamo poi al suggerimento dei poeti simbolisti e all’accento posto sull’autonomia della “parola”. Nel 1886 nella “Revue wagnérienne” Théodor Wyzewa scrive: «I poeti usarono le parole come sillabe sonore, che evocano nell’anima l’emozione, per mezzo di alleanze armoniche»; e per un’esigenza analoga, in pittura, «i colori e le linee si sono ugualmente rivestiti, per l’anima, di un valore emozionale, indipendente dagli oggetti stessi che rappresentavano ». L’idea rimbalza nello Spirituale nell’arte di Kandinskij: «Il mezzo principale di Maeterlinck è l’uso della parola. La parola è un suono interiore. Questo suono interiore deriva in parte (forse principalmente) dall’oggetto, a cui la parola funge da nome. Ma quando non si vede l’oggetto stesso bensì se ne ode solo il nome, nella mente dell’ascoltatore si forma la rappresentazione astratta, l’oggetto smaterializzato, il quale produce immediatamente una vibrazione nel “cuore”». L’idea veniva dalle “analogie” di Baudelaire, coinvolto fino all’estasi dalla musica di Wagner (Richard Wagner et Tannhàuser à Paris, Parigi 1861): un cortocircuito tra ispirazione musicale, autonomia della parola e “rappresentazione astratta”.
L’“astrattismo” non è uno degli “ismi” che si collocano nel solco delle avanguardie storiche, ma una concezione che scorre tra loro, talvolta accolta, spesso respinta, estendendosi ben presto dalla pittura e scultura alla scenografia, alla danza, alla fotografia e al cinema. Sulla terminologia e sui limiti cronologici del fenomeno che è entrato nell’uso comune con questo termine, e che come tale qui si accetta di indicare, tanti studiosi si sono affannati senza, forse, trovare il modo di chiarirlo; e l’equivoco è complicato dall’uso che gli stessi artisti fanno dell’aggettivo “astratto”, spesso connesso con una produzione circoscritta o con una tendenza filosofica o concettuale. Sul problema si ritornerà alla fine di queste pagine, dopo aver incontrato diversi approcci all’idea di un’arte in cui non si riconosce un oggetto familiare all’esperienza quotidiana e che si articola tanto in forme create senza un ordine intelligibile, quanto in forme geometriche o comunque rispondenti a un determinato codice linguistico. In questo tipo di creazione artistica il termine “astrazione” (e “astrattismo”, che ne indica l’uso sistematico) può essere usato come sinonimo di eliminazione dell’oggetto, della sua stilizzazione, del suo isolamento concettuale dal contesto naturale; o può anche, come si vedrà, non essere usato affatto.
La smaterializzazione dell’oggetto di cui parla Kandinskij, e che risuona in tutta l’area dell’astrattismo, va inquadrata in rapporto alle scoperte e alle teorie scientifiche sulla materia come condensazione dell’energia, sullo spazio-tempo, sulla geometria non-euclidea, sulla propagazione della luce, sull’origine del mondo e sull’ordine cosmico, dove viene meno la centralità dell’uomo e degli oggetti che lo circondano. L’atteggiamento degli artisti in questa rivoluzione è spesso ambivalente, oscillante tra la sfida alla ragione in difesa di una spiritualità di marca religiosa e una, spesso utopistica, volontà di adeguamento. La storia di questa lotta tra istanze opposte si intreccia ai dibattiti sui problemi formali, mentre il recupero di un’intelligenza concreta del mondo e di un nuovo ruolo dell’artista nella società sembra allontanarsi di nuovo dopo ogni illusoria conquista.
È intorno al 1912 che nascono contemporaneamente in Europa i primi dipinti consapevolmente astratti. È l’anno delle Finestre di Delaunay e di Amorpha. Fuga a due colori di Kupka, pure amato da Apollinaire. L’anno precedente Kandinskij si vede rifiutare la Composizione V, con il pretesto di un eccesso di dimensioni, dalla Nuova associazione degli artisti di Monaco, evidentemente non più tanto “nuova”; l’anno successivo è quello delle sue grandi Composizioni totalmente astratte. Il rifiuto della Composizione V porta alla formazione di un nuovo gruppo di artisti che si dà il nome Der Blaue Reiter, allusivo al significato spiritualistico del blu e della ricorrente immagine simbolica del cavaliere; con lo stesso titolo è pubblicato nel 1912 un almanacco, con saggi sull’arte attuale in Europa e riproduzioni dei primitivi, dell’arte extraeuropea, dell’arte popolare e degli alienati. Non tutti, in realtà, operano in direzione propriamente astratta: Franz Marc, il cofondatore del movimento, geometrizza armoniosamente il tema degli animali, incontaminati dal materialismo della civiltà occidentale; i numerosi artisti russi, tra cui Jawlenskij, adottano un linguaggio ricco di componenti fauve ed espressioniste e di suggestioni provenienti dalle icone; Klee, sulla cui posizione indipendente si tornerà più avanti, entra nel gruppo solo nel 1913, segnato dall’esperienza della grafica simbolista, come anche l’austriaco Kubin, e particolarmente attento alle indicazioni di Delaunay.


Maurice Denis, Macchie di sole sulla terrazza (1890); Parigi, Musée d’Orsay. La dichiarazione di Denis – pittore nabis di derivazione simbolista – per cui un quadro è essenzialmente «una superficie piana ricoperta di colori accostati secondo un certo ordine» ne ha fatto un antesignano dell’astrattismo.

Robert Delaunay, Finestre (1912); New York, MoMA - Museum of Modern Art.

František Kupka, Amorpha. Fuga a due colori (1912); Praga, Národní Galerie.

Vasilij Kandinskij, Composizione V (1911).


Franz Marc, Caprioli nel bosco II (1913-1914); Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle.


Mikalojus Čiurlionis, Fuga, dal dittico Preludio e Fuga (1909); Kaunas (Lituania), Museo Čiurlionis. Il lituano Čiurlionis - chimico, filosofo, pittore, musicista - nei suoi quadri applica alla pittura tecniche compositive mutuate dalla musica, con risultati che lo allontanano dalla rappresentazione naturalistica.

Le precedenti apparizioni di opere prive di un oggetto riconoscibile sono sporadiche, eroiche ma inconsapevoli, come quelle del lituano Mikalojus Čiurlionis, che tanto ha colpito Kandinskij. Importanti sono i legami con l’esperienza delle arti decorative: è il caso di alcuni studi di Van de Velde, già pittore sulla scia dei Nabis e poi architetto e designer, che sostiene, all’interno dell’Art Nouveau, la concezione di un “ornamento astratto”. I suoi oggetti presentano elementi curvilinei non derivati da un repertorio naturalistico, bensì dalla necessità di adattarsi all’uso, in senso materiale e psicologico, dell’essere umano, i cui gesti non seguono linee rette. È un effetto delle teorie dell’“Einfühlung”, che è pure un’altra componente dell’“astrazione lirica” di Kandinskij, dominata dall’idea di una reazione emotiva, trasmessa senza la mediazione di riferimenti oggettivi, nello spettatore, reazione che corrisponde all’emozione dell’artista nel momento della creazione. Nel 1873 Robert Vischer osservava: «Ogni essere umano è guidato dalle impressioni del mondo naturale e la sua mano è trascinata via magneticamente verso i movimenti da esse attivati; e nel ricevente ha luogo una sorta di descrizione di ciò che viene immaginato. Niente è più naturale del fatto che questa mano, che disegna nell’aria, tenti di depositare su di un oggetto solido la sua immagine come rappresentazione durevole». Nell’evoluzione dell’arte ornamentale Wilhelm Worringer individua, in Astrazione e empatia di componenti fauve ed espressioniste e di suggestioni provenienti dalle icone; Klee, sulla cui posizione indipendente si tornerà più avanti, entra nel gruppo solo nel 1913, segnato dall’esperienza della grafica simbolista, come anche l’austriaco Kubin, e particolarmente attento alle indicazioni di Delaunay. Le precedenti apparizioni di opere prive di un oggetto riconoscibile sono sporadiche, eroiche ma inconsapevoli, come quelle del lituano Mikalojus Čiurlionis, che tanto ha colpito Kandinskij. Importanti sono i legami con l’esperienza delle arti decorative: è il caso di alcuni studi di Van de Velde, già pittore sulla scia dei Nabis e poi architetto e designer, che sostiene, all’interno dell’Art Nouveau, la concezione di un “ornamento astratto”. I suoi oggetti presentano elementi curvilinei non derivati da un repertorio naturalistico, bensì dalla necessità di adattarsi all’uso, in senso materiale e psicologico, dell’essere umano, i cui gesti non seguono linee rette. È un effetto delle teorie dell’“Einfühlung”, che è pure un’altra componente dell’“astrazione lirica” di Kandinskij, dominata dall’idea di una reazione emotiva, trasmessa senza la mediazione di riferimenti oggettivi, nello spettatore, reazione che corrisponde all’emozione dell’artista nel momento della creazione. Nel 1873 Robert Vischer osservava: «Ogni essere umano è guidato dalle impressioni del mondo naturale e la sua mano è trascinata via magneticamente verso i movimenti da esse attivati; e nel ricevente ha luogo una sorta di descrizione di ciò che viene immaginato. Niente è più naturale del fatto che questa mano, che disegna nell’aria, tenti di depositare su di un oggetto solido la sua immagine come rappresentazione durevole». Nell’evoluzione dell’arte ornamentale Wilhelm Worringer individua, in Astrazione e empatia (Abstraktion und Einfühlung), apparso nel 1908, il fortunato binomio, peraltro non in linea con la concezione di Kandinskij, al momento ostile a quell’astrazione geometrica che Worringer antepone all’empatia.
Le Composizioni di Kandinskij sono per anni elaborate attraverso una riflessione su temi escatologici (il Giudizio universale, il Diluvio seguito da un nuovo patto con Dio, la missione salvifica del Cavaliere) e su temi desunti dal paganesimo delle popolazioni della Siberia che precede la conversione al cristianesimo; ma ora, all’alba di una nuova era segnata dall’avvento dello “Spirito”, quei temi vengono sublimati in una comunicazione più immediata. Nel 1913 restano solo labili cenni all’iconografia di partenza, che nella Composizione VII, per esempio, scompaiono totalmente, come anche la distinzione tra colori e linee e le stesure di colore puro, di marca prettamente fauve e di un espressionismo di derivazione più francese che tedesca. Un magma apparentemente caotico di forme galleggia su una base più ampia di colore chiaro, evocando l’idea, espressa nello Sguardo al passato, che «ogni opera d’arte ha origine nello stesso modo in cui ebbe origine il cosmo: attraverso catastrofi che dal caotico fragore degli strumenti formano infine una sinfonia la quale ha nome armonia delle sfere». L’indeterminatezza spaziale è ricondotta, in una sua autoanalisi relativa alla Composizione VI, alla sensazione di chi si trova nel «bagno di vapore russo: l’uomo che sta nel vapore non è né vicino né lontano; è in qualche posto». Qui è l’origine orientale di questo russo arrivato da pochi anni a Monaco, che la grafia europea del nome (Kandinsky) non riuscirà a far dimenticare; e qui trova riscontro anche il suo rifiuto (si veda il saggio in “Der Blaue Reiter”) della geometria in nome di formule matematiche più complesse: «Ci sono diversi numeri [...] Perché accontentarsi del numero 1? perché escludere il numero 0,3333...? Perché impoverire l’espressione artistica ricorrendo esclusivamente ai triangoli e a forme e corpi geometrici analoghi?».


Henry van de Velde, Tropon (1898), manifesto. Van de Velde introduce nella grafica il concetto di “ornamento astratto”, non derivato dall’elaborazione di elementi naturalistici come era invece tipico dell’Art Nouveau.

Vasilij Kandinskij, Composizione VII (1913); Mosca, Galleria di Stato Tret’jakov.

Robert Delaunay, Forme circolari, Sole, Luna (1912-1913); Amsterdam, Stedelijk Museum.

Umberto Boccioni, Dinamismo di un corpo umano (1913); Milano, Museo del Novecento.


František Kupka, Notturno (1910-1911); Vienna, Mumok - Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig.


Georges Braque, Il portoghese (L’emigrante) (1911-1912); Basilea, Kunstmuseum. La ricerca cubista di Picasso e Braque, nella sua fase analitica più estrema giunge al dissolvimento della riconoscibilità dei soggetti, inizialmente mantenuta.

Se le note più affascinanti si trovano forse nella sua autobiografia, nei saggi teorici pubblicati nell’almanacco e nel piccolo libro Lo spirituale nell’arte Kandinskij espone la sua poetica, che parte dall’esigenza di esprimere quanto detta la «necessità interiore» (un termine derivato da Goethe) senza alcun limite imposto dai problemi della forma, che in realtà non esistono. La liberazione dalla rappresentazione oggettiva porta alla liberazione dalla Materia, realizzando l’Era dello Spirito, dopo quelle del Padre e del Figlio, ovvero del Vecchio e del Nuovo Testamento, nella tradizione giudaicocristiana. L’annullamento dell’oggetto, in linea teorica, non ne è il presupposto, poiché la “massima astrazione” e il “massimo realismo” coincidono nell’eliminazione dei fattori esteriori ed esiste anche una «nuda risonanza interiore» dell’oggetto. Kandinskij dà così spazio ai compagni non rigorosamente astrattisti, nonché al Doganiere Rousseau, tanto amato anche da Delaunay e da Apollinaire. Solo in un secondo momento, già dal 1914, il termine “astratto” diventerà un imperativo categorico.
Il fascino della composizione musicale e memorie della cultura esoterica sono presenti anche nella genesi delle opere astratte di Delaunay. Numerose versioni della serie delle Finestre, nata nel corso dell’estate 1912, hanno un sottotitolo musicale e la serie delle Forme circolari, nata poco dopo, tra il 1912 e il 1913, sviluppa il tema dell’eclissi, dove il sole e la luna si intrecciano come motivo maschile e motivo femminile in una composizione da cui sono bandite le linee rette e ogni residuo di geometrismo, per dar spazio all’esaltazione della luce. Delaunay diventa il pittore prediletto di Apollinaire: questi conia il termine orfismo per una “pittura pura”, che nel 1913 sostituisce il cubismo ormai “morto”, dove il riferimento al mito di Orfeo allude al duplice potere del mitico cantore, capace di trascinare le creature con l’incanto della musica e, al tempo stesso, signore della luce che vince le tenebre. Nel 1912 Delaunay pubblica il breve scritto, più un brano poetico che un enunciato teorico, La lumière, che prontamente Paul Klee traduce e pubblica in tedesco nel 1913, contribuendo alla fortuna del pittore francese nel gruppo di Monaco. In una versione di questo si trova una chiave di lettura del titolo Le finestre, attraverso una citazione dal Trattato della pittura di Leonardo, nonché una concezione neoplatonica, diffusa nell’area francese tra il simbolismo e i primi anni dell’avanguardia: «Le finestre sono gli occhi della nostra anima e vedono la luce».
Sarà lo stesso artista a sottolineare il motivo della stasi, del «moto a fermo» e dell’armonia nei suoi dipinti a iniziare dal 1912, da quella Città di Parigi esposta in primavera, dove le tre Grazie al centro del quadro vengono avvertite come un omaggio a una tradizione tutta francese di armonia e di eleganza del ritmo. Nella produzione precedente Delaunay ha sperimentato il neoimpressionismo, le riflessioni di Cézanne sulla coincidenza di forma e colore e un’accezione originale della scomposizione cubista: questa si avverte nelle serie delle Città e delle Tour Eiffel, che sembrano avvicinarlo anche al dinamismo futurista, soprattutto di Boccioni, al quale egli invece si considera estraneo. Ma già domina in entrambe il riferimento simbolico al verticalismo del gigante in ferro, protagonista dell’Esposizione universale del 1889, una sorta di incarnazione della Ville lumière. Ora, annullando sempre più i riferimenti oggettivi, la frammentazione del colore si distende in ampie campiture e i toni si riducono ai colori primari più il verde e vaste zone di bianco. In questa griglia trasparente si dipanano, dalla ormai esile sagoma della Tour Eiffel, ritmi sempre più curvilinei che si risolvono infine nelle forme circolari della serie successiva, dove si realizza pienamente l’idea di “simultaneità” intesa come movimento “sincromo” della luce, e quindi di nuovo distinta dalla simultaneità futurista.
Non è escluso che i primi dipinti totalmente astratti in Europa siano quelli esposti nel 1912 da Kupka, un cèco apparentemente isolato a Parigi, e tuttavia amico di Marcel Duchamp e della sua famiglia. A un esito non-figurativo Kupka era già arrivato nel Notturno del 1910-1911, che appartiene a una tematica rettilinea svolta su bande verticali. A un’altra tematica, fondata su elementi circolari, più importante al momento della nascita dell’orfismo, appartiene Amorpha. Fuga a due colori, esposta al Salon d’Automne nel 1912, insieme ad Amorpha. Cromatismo caldo. Anche qui le componenti simboliche hanno un ruolo importante. Il motivo dei cerchi intersecati è confrontabile con schemi cosmogonici in culture ed epoche diverse, con gli esperimenti scientifici sulla luce (cui esplicitamente si riferisce la serie dei Dischi di Newton del 1911-1912) e con una tematica astrale. La visualizzazione di un’immagine astratta ispirata da un’idea musicale, intrecciata al motivo della luce, ricorda lo stesso intreccio presente nella diffusione del mito di Orfeo. Ma nella scelta dei due colori puri, il rosso e il blu, il massimo del caldo e del freddo, e della massima luminosità del bianco assoluto contrapposto al nero, nonché nella precisione geometrica dei tracciati circolari pur nella morbidezza dell’arabesco, è una potente sintesi di forme e scelte cromatiche che non trova riscontro negli altri pittori dell’area orfica.


Pablo Picasso, Ritratto di Kahnweiler (1910); Chicago, Art Institute.

Giacomo Balla, Velocità astratta + rumore (1913-1914); Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Mikhail Fëdorovič Larionov, Paesaggio raggista (1913).

Le Corbusier, Natura morta da “L’Esprit Nouveau”, 1924; Parigi, Fondation Le Corbusier.


Juan Gris, Il libro (1913); Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.


Kazimir Malevič, Senza titolo (Suprematismo) (1915); San Pietroburgo, Museo di Stato russo.

La presenza di elementi non oggettivi nella produzione del cubismo e del futurismo non dovrebbe indurre a parlare propriamente di astrattismo. Permane nel quadro l’indagine sulla realtà, ricostruita secondo una struttura concettuale, attraverso l’uso di una prospettiva multipla o di una sintesi spazio-temporale; come la “petite sensation” era rimasta all’origine della ricerca di Cézanne, considerato il padre del cubismo ma anche dell’astrazione di derivazione fauve. Indubbiamente Braque e Picasso giungono, nell’estrema fase del “cubismo analitico”, a dipinti di tale ermetismo da non consentire il riconoscimento del soggetto; altrettanto si può dire di Boccioni, di certe opere del 1913 in cui i muscoli, trasformati in pure forme dinamiche, sono irriconoscibili, e di Balla, che dalla serie delle Velocità estrae le traiettorie trasformate in sagome geometriche, o dall’analisi della luce estrae le cosiddette “compenetrazioni iridescenti”, sorprendenti studi probabilmente connessi con le teorie dell’ornato astratto, che alcuni a posteriori interpreteranno come pittura consapevolmente astratta. Ma questi artisti sembrano fuggire dall’astrattismo, non solo con le loro dichiarazioni, ma anche con la reazione, rispettivamente, di una rinnovata problematica volta a nominare gli oggetti nella fase del “cubismo sintetico”, di una solidificazione formale che rinnova il riferimento cézanniano nel Boccioni del 1914, di uno sconfinamento della pittura da cavalletto in più ampie esperienze oltre il quadro nel Balla della Ricostruzione futurista dell’universo (1915).
A stento collocabile nella storia dell’astrattismo è anche il raggismo russo, certamente più vicino al futurismo che al movimento avviato da Malevicˇ. Il dinamismo nelle opere di Mikhail Larionov e della moglie Natal’ja Gončarova struttura il quadro in triangoli acuti simili a raggi di luce, velando il tema naturale o urbano, ma il soggetto scompare solo, a voler usare date corrette, per breve tempo, nel 1913. Più prossimo all’astrattismo è piuttosto un cubista dell’area orfica come Léger, molto amico di Delaunay, e influenzati da quest’ultimo sono i sincromisti americani Morgan Russel e Stanton Mac Donald Wright. Nella cerchia di Braque e Picasso il “purismo” di Gris (in questi termini ne parla un critico nel 1912) prelude al “purismo” del Manifesto di Jeanneret (il vero nome di Le Corbusier) e Ozenfant del 1918, dove gli oggetti non sono cancellati, ma permangono quasi a livello di “noùmeni” in una costruzione fondata su rapporti armonici e su un rinnovato classicismo, che sarà poi alla base dell’architettura di Le Corbusier.
Prima della svolta segnata dall’attività nel Bauhaus di Gropius (aprile 1919), in cui molti artisti elaborano una forma di rigorosa astrazione geometrica, la geometria è già apparsa nelle prime avanguardie in Russia e in Olanda, in entrambi i casi connessa con la diffusione, da Parigi, della ricerca cubista, che si tende a superare in una sintesi ancora densa di allusioni spiritualistiche o di implicazioni emotive. Malevicˇ ha attraversato una fase segnata dalle forme cilindriche e coniche di Léger, e poi una fase di allusioni oggettive, accostate in un linguaggio definito “alogico” o transmentale (vicino allo “zaum” teorizzato in letteratura) e risolte in porzioni geometriche di colori puri accostate a parole scritte; fase che può ricordare soluzioni del cubismo sintetico, ma se ne discosta nettamente per l’assenza di riferimenti materici alla realtà. Alla fine del 1915 espone a Pietrogrado dipinti totalmente non-figurativi, in cui forme geometriche dai colori primari con l’aggiunta del nero si stagliano su un fondo bianco.
I contorni non sono mai paralleli alla cornice, a eccezione del Quadrato nero, in tal modo che le forme ruotano liberamente nello spazio, indicando anche una matrice futurista. Si tratta di una concezione intenzionalmente non “razionale” della geometria: il quadrato è, per Malevicˇ , la creazione della “ragione intuitiva”.
L’artista non usa il termine “astrattismo”, bensì “creazione non-oggettiva” e “realismo pittorico”, anticipando una riflessione che ritroveremo intorno al 1930 nell’idea di Van Doesburg del “concreto” contrapposto all’astratto. «Io mi sono trasformato nello zero delle forme e sono uscito dallo zero nella creazione, cioè nel suprematismo, il nuovo realismo della pittura, la creazione non-oggettiva»: così scrive Malevicˇ mentre è in corso la mostra di Pietrogrado. Ma nel frattempo, nel 1913, è avvenuto un fatto importante, che spiega come l’artista in seguito retrodati di due anni il suo Quadrato nero, in cui abolisce anche la presenza dei colori primari. Conosce Alexej Kručënych e ancor prima Michail Matjušin, rispettivamente autori del testo poetico e della musica della pièce “futurista” Vittoria sul sole, per la quale Malevič stesso disegna le scenografie. E tramite il primo approccia il linguaggio “zaum”, e il secondo la filosofia di Uspenskij: questi oppone alla logica meccanicista un’intuizione creatrice e un’idea del nulla e del vuoto che procede verso l’esperienza dell’infinito. È la “quarta dimensione” attraverso cui la realtà si manifesta non attraverso l’esperienza comune degli oggetti, ma attraverso l’essenza delle cose colta in un mondo superiore.
La serie del Bianco su bianco parte dal modello essenziale del quadrato bianco decentrato nel dipinto e ruotato rispetto ai suoi assi, appena percepibile in una diversa sfumatura sul bianco della tela, per elaborare poche altre composizioni in uno sviluppo spaziale di parallelepipedi e di “onde”. Dopo il cosiddetto “Manifesto bianco”, pubblicato nella Dichiarazione del 15 giugno 1918, nello scritto Lo specchio suprematista del 1923 l’artista identifica la conoscenza dello “zero” con la conoscenza di Dio, della natura e della bellezza, con la conoscenza dell’“assoluto”: «Sono uscito dal bianco, sono approdato al bianco, e sono giunto nell’abisso: qui è il suprematismo. […] Ecco il libero abisso bianco, l’infinito, sono davanti e noi».
Nel 1919 ha già deciso di preferire la «penna » all’«arruffato pennello». Da queste opere non procede oltre nella sua rarefazione formale, che precorre l’esperienza del monocromo della fine degli anni Cinquanta, e poi del minimalismo. Dopo circa un decennio ripropone tematiche cubofuturiste rivisitate con una sensibilità metafisica, ma anche dopo il ritorno a una qualche riconoscibilità degli oggetti resterà sempre emarginato dal regime stalinista. Morirà in uno stato di isolamento, nel 1935.
Al fascino della tela bianca Mondrian arriva nel 1915: la serie “del + e del -” presenta piccole croci e trattini neri su una stesura di colore bianco, in un primo momento trattenuta da un ovale che a stento si percepisce sul piano quadrangolare della tela. Da questa sorta di azzeramento, nella composizione si reinseriscono quadrilateri in tre tonalità fondamentali e poco dopo appaiono le serie a “scacchiera”, più regolari e prive del distacco dal fondo bianco. Tra 1917 e 1918 è pubblicato sulla neonata rivista “De Stijl”, da lui fondata insieme a Van Doesburg (e caldeggiata soprattutto da quest’ultimo), il suo saggio Il neoplasticismo in pittura.
Prima del 1915 Mondrian ha attraversato l’esperienza simbolista, a contatto con suggestioni nordiche e, ovviamente, olandesi, tra le quali Van Gogh; quindi una fase fauve e una cubista, guardando a esperienze francesi incontrate prima ad Amsterdam e a L’Aja e poi in un lungo soggiorno parigino. Nel 1913 Apollinaire avverte nei suoi Ovali un «cubismo molto astratto», qualcosa di diverso da quello dei pittori attivi a Parigi. È iniziato intanto l’approccio alla teosofia, che si riflette nelle tematiche di molti dipinti e soprattutto nella quasi programmatica Evoluzione del 1910-1911, con le tre figure azzurre, rigidamente frontali, affiancate da simboli geometrici: sappiamo che ha letto Rudolf Steiner ed è stato membro della Società teosofica, cosa che tenderà poi a nascondere o a negare. Ma è del tutto probabile che da quest’ambito derivi la sua idea fondamentale dell’equilibrio tra due princìpi opposti e del percorso dell’umanità verso il superamento della materia. Tra i suoi appunti datati tra 1912 e 1914 troviamo: «Il principio maschile, rappresentato dalla linea verticale, sarà riconosciuto dall’uomo (per esempio) negli alberi di una foresta. Il suo complemento risulterà per lui (per esempio) dalla linea orizzontale del mare»; e ancora: «L’unità di positivo e negativo è felicità. [...] Questa unità è ribadita nell’artista, nel quale si trovano entrambi gli elementi maschile e femminile».
Dagli alberi e dal mare Mondrian si libera dopo il 1915; la lunga serie di Composizioni costruite con rettangoli di colore primario variati all’infinito entro una struttura sostanzialmente invariata (è nota la sua rottura con Van Doesburg, di cui rifiuta l’introduzione della diagonale) ha inizio nel 1920. Tra queste due date nasce la teoria, che solo ignorando le sue componenti fondamentali può definirsi razionale, e invece si può, al contrario, considerare paradossalmente irrazionale nel suo furore geometrico: secondo Mondrian l’arte nella civiltà attuale deve necessariamente essere astratta, escludendo tanto l’imitazione quanto ogni canone di bellezza organica, la linea curva è bandita a favore della retta, le sfumature dei colori naturali a favore dei colori primari in campiture piatte più il bianco e il nero. Prefigurazione di un’armonia universale, la nuova arte neoplastica si fonderà sull’incontro rigoroso di verticali e orizzontali, come ha già accennato nei suoi appunti: le prime corrispondono al principio maschile e all’universale, le seconde al principio femminile e all’individuale. Dall’equilibrio di queste due spinte opposte e complementari nasce il superamento di ogni contraddizione, di ogni tensione tra l’universale e l’individuale. In questo consiste il suo famoso assioma dell’eliminazione del «tragico» nella vita, fino a quando, in un «lontano futuro», l’arte avrà realizzato tale armonia in un’esteticità diffusa e potrà allora cessare di esistere.
La pittura di Mondrian è solo apparentemente vicina a quella di Malevicˇ. Costituita dagli stessi ingredienti, prevede solo superfici quadrangolari di colore delimitate da bande nere orizzontali e verticali. Tuttavia, Mondrian respinge una geometria dal carattere statico, nega la simmetria a favore del gioco ritmico tra la diversità delle parti, che conduce a un equilibrio inteso in senso dinamico, in una struttura concettualmente invariata, ma sviluppata in infinite combinazioni, fino a deviare, alla fine della sua esistenza, in una direzione più sincopata, e più vicina alla vita, nel Victory Boogie-Woogie (1943-1944).


Kazimir Malevič, Quadrato nero su fondo bianco (1915); Mosca, Galleria di Stato Tret’jakov.

Kazimir Malevič, Bianco su bianco (1918); New York, MoMA - Museum of Modern Art.

Piet Mondrian, Composizione 10 in bianco e nero (Molo e oceano) (1915); Otterlo, Kröller-Müller Museum.

Piet Mondrian, Composizione con rosso, nero, giallo, blu e grigio (1921); L’Aja, Gemeentemuseum. La ricerca astratta di Mondrian procede per esclusioni radicali: in particolare le linee curve e i colori che non siano primari e stesi a piatto.

Piet Mondrian, Victory Boogie-Woogie (1942-1944); L’Aja, Gemeentemuseum.

ASTRATTISMO
ASTRATTISMO
Jolanda Nigro Covre
Un dossier dedicato all'Astrattismo. In sommario: Astrattismi; L'astrazione geometrica verso il razionalismo; Dopo il 1930. Alla ricerca di un codice. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.