CATALOGHI E LIBRI

SETTEMBRE 2015

POMPEI LA FOTOGRAFIA

Fin dai primi scavi Pompei fu ammirata da eruditi e archeologi, vedutisti, architetti e decoratori, e rievocata nei modi più variamente simbolici e fantasiosi. Lo conferma con ampia documentazione la mostra Pompei e l’Europa. Natura e storia (1748-1943) aperta fino al 2 novembre in due sezioni: Napoli, Museo archeologico nazionale; Pompei, scavi (vedi Luigi Gallo, L’antico sotto la cenere, in “Art e Dossier”, n. 323, luglio-agosto 2015, pp. 52-57). Nel catalogo che la affianca, oltre alle osservazioni dei curatori, colpiscono i saggi di Giuseppe Pucci e di Michele Dantini, emblematici di quanto appena detto. Pucci rievoca le suggestioni, ora romantiche ora ambiguamente sensuali e misteriose, causate dalle scoperte e soprattutto, a partire dal 1861, dalla realizzazione dei primi calchi completi di un corpo umano, ottenuti versando gesso liquido nelle cavità lasciate nella cenere dai cadaveri dei pompeiani colti nelle pose più drammatiche di una morte orribile e inattesa. Dantini, invece, oltre a offrire spunti inediti sulle più o meno sottili influenze di Pompei e l’Antico in artisti del Novecento, come Klee, osserva acutamente come nel 1962 il critico Leo Steinberg avesse accostato le piccole sculture new dada di Jasper Johns ai calchi di Pompei, come riemerse «da sedimenti millenari di polvere e lava ad annunciare un’apocalissi prossima a venire […] foschi presagi di città morte, senza più uomini», nel clima di timore per un’imminente bomba atomica. I calchi di Pompei sono certo le immagini più impressionanti che Pompei ci ha lasciato, perché più degli scheletri mostrano la vivida realtà della tragedia. Quanto su queste suggestioni abbia influito la fotografa, lo si vede ora nel raffinato oltreché interessante volume, quarto della nuova collana “Electaphoto”, dedicato a Pompei e la fotografa (con una bella selezione di scatti ora poetici ora documentari di fotografi più o meno noti, perfino anonimi scelti fra le decine di migliaia esistenti). E non può essere un caso che la più sconvolgente città morta della storia sia stata ritratta non appena la fotografa nacque, attorno al 1839.

Marina Miraglia, Massimo Osanna Electa, Milano 2015 168 pp., 187 ill. colore e b/n € 40

RACCONTI DELLA CAMERA OSCURA

Che bella idea, quella di raccogliere brani di scritti dalla metà dell’Ottocento (La casa dei sette abbaini, 1851, di Nathaniel Hawthorne) fino al 1970 (L’avventura di un fotografo di Italo Calvino), passando dallo sconcertante Soliloquio di re Leopoldo pubblicato da Mark Twain nel 1905 nel suo fulminante pamphlet Contro l’Imperialismo, a una delle Novelle per un anno di Pirandello (Una giornata, 1935). E poi Maupassant, Proust, ma anche scrittori meno noti, come l’americano Moncure D. Conway (La mia arte perduta, 1862). Il filo conduttore è la macchina fotografica (in qualche caso il dagherrotipo), rimasto per oltre cent’anni il mezzo più innovativo di fare arte. Al di là della piacevole lettura di questi brani, rivela notevole interesse l’introduzione autorevole di Walter Guadagnini, fra i maggiori critici italiani di fotografa.


A cura di Walter Guadagnini Skira, Milano-Ginevra 2015 208 pp. € 15

CITTÀ DEL DESERTO

Sono tristemente attuali gli scritti di viaggio nel vicino e Medio Oriente di Cesare Brandi: Città del deserto (prima edizione Mondadori 1958) è il libro riproposto da Elliot nella versione degli Editori Riuniti (1990, 2001) prefata da Geno Pampaloni. Infausta attualità, si diceva: fra le città “nel deserto” visitate dal critico senese nel 1956, in piena crisi di Suez, figurano non solo, per giusta elasticità geopolitica, la mediterranea isola di Malta, ma anche luoghi segnati di recente da una follia omicida che s’accompagna allo scempio programmatico di beni culturali inestimabili. Molte città visitate da Brandi hanno poi subito ferite che appena rimarginate rischiano subito di riaprirsi come per un’infezione mai veramente debellata: pensiamo alla “Svizzera d’Oriente”, cioè alla Beirut profumata di cedro e resinosa dei pini importati dai crociati, o la Tripoli cosmopolita ed elegante, ex colonia fascista di cui la città conservava perfino toponimi poco felici. Oggi, mentre scriviamo, gli orrori perpetrati di recente nel deserto siriano descritto da Brandi hanno raggiunto Palmira, il sito archeologico (finora) più affascinante del mondo. Brandi, al pari di altri viaggiatori eccellenti, vi era arrivato attraverso piste poco note anche all’autista conosciuto a Damasco. Nel poetico resoconto di quel suo arrivo Brandi rievoca il celebre aforisma di Goethe (che viaggiava in carrozza): «Il gusto del viaggio non consiste nell’arrivo ma nel viaggiare». E aggiunge ciò che Goethe nel Settecento non poteva immaginare: il trasferimento in aereo «abolisce il viaggio, non è che uno spostamento », mentre «nulla riattiva la storia come calcare le strade che l’hanno percorsa da secoli, le antiche rotte marinare, le piste». Oggi, aereo o non aereo, a Palmira non si può andare, né vedere quello che Brandi vide, come d’altra parte accade per l’Afghanistan descritto, in un disagiato viaggio di dieci mesi, dall’inglese Robert Byron, che morì nel 1941 su una nave per l’Egitto, silurata dai tedeschi. Oggi, nel consueto piacere di rileggere Brandi, le sue parole assumono anche questa nuova malinconica, disperata valenza.

Cesare Brandi, introduzione di Geno Pampaloni Elliot, Roma 2015 190 pp. € 17,50, eBook € 8,99

CULTURA VISIVA E NUOVO MONDO

Immagini occidentali e colonie americane tra XVI e XVII secolo

Una ipotesi convincente (che qui solo sintetizziamo), corredata da una folta documentazione di Nicoletta Lepri, erudita studiosa interdisciplinare, si legge in questo libro, frutto di molte ricerche. Solo in apparenza il volume può sconcertare i non specialisti, invece crediamo possa interessare (e stupire, per la ricchezza di osservazioni e rimandi iconografici) chiunque sia interessato ai rapporti fra arte, scienza, letteratura, viaggi nel Nuovo Mondo, dal 1492 al XVII secolo. Tanto più encomiabile è la ricerca, quanto si capisce che potrebbe sfociare in un libro assai più ampiamente illustrato, se solo le condizioni finanziarie dell’università italiana, soprattutto delle facoltà umanistiche, non fossero così dissestate da dover costringere il coraggioso editore e pensiamo, l’autrice stessa, a dichiarare nel colophon che le immagini sono tratte da archivi online non gravati da diritti. Dopo questa malinconica, personale considerazione (condivisa, crediamo, da amici universitari, studiosi e operatori nel settore dell’editoria culturale), torniamo alla tesi dell’autrice: ovvero che il Barocco, non solo nelle sue tante e svariate sfumature, ma nella sua più intima essenza, è «la globale conseguenza dei sommovimenti culturali» che avevano fatto seguito alla scoperta dell’America. Come questo sia potuto accadere, si spiega in primo luogo con l’immediata ricezione, dopo la scoperta e nei secoli successivi, di stimoli, suggestioni, simbologie legate al viaggio e all’ignoto, derivate dai resoconti di chi attraversò l’oceano alla ricerca di nuove terre. Inoltre, una quantità di oggetti inusitati all’occhio europeo andarono presto ad arricchire raccolte di rarità come quella dei Medici, e non solo. Così, non devono più stupire, poniamo, le analogie di certe raffigurazioni dell’estasi di santa Teresa d’Avila con gli effetti visivi del camerino della duchessa d’Alba, pieno di meraviglie del Nuovo Mondo. Anche i dipinti di Dürer, Piero di Cosimo, Peter Brueghel e molti altri si arricchirono inoltre di nuovi elementi figurativi tratti dall’inedita iconografa delle Americhe.


Nicoletta Lepri Edizioni Polistampa, Firenze 2015 336 pp., 100 ill. b/n € 22

ART E DOSSIER N. 324
ART E DOSSIER N. 324
SETTEMBRE 2015
In questo numero: PRIMITIVISMI L'editoriale di Philippe Daverio; Il volto del serpente, l'Espressionismo in Toscana, Klee, Africa oggi; GLI UFFIZI a Casal di Principe; CINA OTTOCENTO La scoperta della fotografia. IN MOSTRA La Grande Madre, Gruppo Zero.Direttore: Philippe Daverio