XX secolo. 1
Gli stili primitivi di Paul Klee

nei pressi
dell’origine
e del mito

I tre primitivismi di Klee – formale, etnografico, psicologico – possono alimentarsi e intrecciarsi l’uno con l’altro. Mantengono però un’identità separata e conducono in direzioni specifiche, a tratti persino divergenti.

Michele Dantini

In che senso parlare del “primitivismo” di Klee? Esistono molti stili “primitivi” nell’attività dell’artista, ciascuno diverso per repertorio di riferimento, modi e propositi. Dobbiamo dunque distinguere a seconda dei momenti o delle stagioni kleeiane. E cercare di ricostruire ogni volta contesti disparati e mutevoli. 

Talvolta, nel soffermarci sul “primitivismo” di Klee, potremo intendere una particolare attenzione agli elementi primi della rappresentazione, cioè linee, superfici, colori: faremo quindi riferimento a un primitivismo di tipo formale, che rifiuta la sofisticazione tecnica o narrativa e gli effetti di illusione in nome di una nudità programmatica. Talaltra saremo invece indotti a privilegiare elementi di “gusto” arcaizzante. Prevarranno allora citazioni tratte dall’archeologia cristiana, dall’antichità islamica e persiana, dall’arte africana, oceanica o precolombiana (e persino inuit). Ecco gli “attori” e i funamboli del dopoguerra, gli idoletti o i celebri angeli dei tardi anni Trenta, oscillanti tra sublime e grottesco, simili alle figure dai tratti ampi e semplificati dei tessuti copti. Esiste poi una terza possibile accezione di “primitivismo” kleeiano, più legata alla fortuna di artisti nordici come Klinger, Munch o in misura minore Ensor (e indirettamente alla leggenda fin de siècle di Goya): “primitiva” in tal senso è la maschera folle o notturna, l’immagine che riconduce lo spettatore al terrore primigenio, all’angoscia e allo smarrimento della caverna. 

I tre primitivismi cui abbiamo accennato - formale, etnografico, psicologico - possono intrecciarsi e alimentarsi reciprocamente. Mantengono però un’identità separata e conducono in direzioni specifiche, a tratti persino divergenti. Non è lecito muoversi esclusivamente sul piano esotizzante del confronto tra Klee e le arti cosiddette “tribali”, come spesso si è fatto in passato: l’interesse per l’arte psichiatrica o per il disegno infantile entrano a pieno titolo nel “primitivismo” di Klee, così come l’adozione (in anticipo sul minimalismo degli anni Sessanta e Settanta) del disegno tecnico o geometrico. 

Esemplifichiamo. Il giovane artista che, attorno al 1910, dipinge nudi schematici e dolorosi, distinti da contorni geometrici e macchie di colore, interpreta la moda primitivistico-fauve che dalla Francia va al tempo diffondendosi in tutta Europa. Adotta contrasti di colore e semplificazioni in chiave etnografica. Se Cézanne aveva raccomandato di ricondurre i corpi a pochi solidi elementari, Matisse aveva invece chiarito il senso a suo avviso “religioso” della figura. Ninfe e driadi picassiane, dipinte all’indomani delle Demoiselles d’Avignon (1907) e suggestivamente ambientate tra gli alberi colossali di foreste primordiali, sembravano confermare al tempo l’attrazione per una femminilità totemica e ritrosa, esistente miticamente allo stato di natura. L’interesse di Klee per le culture artistiche extraoccidentali matura sotto il duplice segno matissiano-picassiano della caricatura elevata a stile ieratico.


Ragazza con brocche (1910).

La maschera folle o notturna riconduce lo spettatore al terrore primigenio, all’angoscia e allo smarrimento della caverna


Il Klee fauve del 1910 ha preferenze assai diverse, in tema di “primitivismo”, dall’intrepido sperimentatore degli anni successivi. Mutano tecniche e modelli, che solo genericamente e in modi molto impropri possiamo adesso definire “cubisti” (o “cubo-futuristi”). A partire dal 1913, anno che lo vede impegnato nell’attività espositiva ed editoriale del Cavaliere azzurro, Klee abbandona il riferimento alla figura e inizia a concepire le sue immagini come testi. Lo farà con sempre maggior convinzione sino alla fine della vita, quando sfiderà in ingegnosa ermeticità i geroglifici egizi o scritture (sempre egizie) di tipo demotico. La distinzione tra centro e periferia figurativa non ha ai suoi occhi più alcun valore e l’equilibrio delle immagini, affidato a strutture reticolari, diviene provvisorio e instabile. Disseminate di “minutiae” figurative, le composizioni prebelliche di Klee ricordano alfabeti sacri, pagine di codici miniati e tappeti kilim. Sia pure tenendosi a prudente distanza dall’entusiasmo mitografico di Franz Marc, con cui ha rapporti di stima e amicizia particolarmente stretti, Klee contribuisce in tutta evidenza al progetto di tracciare «i simboli della futura religione spirituale». Attinge a repertori desueti, all’archeologia cristiana, sasanide e islamica. Le tradizioni artistiche nordeuropee dei secoli “barbarici”, che gli studiosi tedeschi del tempo preferiscono chiamare avalutativamente «del tempo della migrazione dei popoli», lo attraggono per il gusto dell’artificio esibito e la violenta riduzione di corpi e figure. Prova un profondo rifiuto della rappresentazione naturalistica e riconosce, nei Diari, di essere potentemente stimolato dalla “sublime isteria”, dai “deliri calligrafici” di monaci, amanuensi e profeti. 

Adesso un passo indietro, per misurarci con immagini di Klee meno conosciute di quanto meritino. Tra 1905 e 1910 l’artista esplora a più riprese le deformazioni indotte da una luce vivida sui contorni dei corpi in ombra. Dipinge ad acquerello su vetro, quasi a ritrovare il tenebroso effetto di macchia che distingue alcune pitture tarde di Goya, eseguite su piccole superfici di avorio annerito (Klee le conosce bene). Gregge a riposo è un’immagine che reinterpreta in chiave tragica il tema dell’Arcadia alpina portato al successo da Segantini. 

Certo: in primo piano abbiamo un candido gregge intento a pascersi e riposare, una scena dunque di nessun turbamento. Se osserviamo bene l’immagine, tuttavia, e ci spingiamo oltre il mare di nebbia che occupa il piano intermedio notiamo che l’orizzonte è interamente occupato da un possente dorso montuoso. Cosa si cela sotto la vetta, o attende al di là della nebbia? È evidente che il ricordo dei colossi di Goya ha orientato l’immaginazione di Klee e gli ha suggerito di conferire inquietanti apparenze antropomorfiche alla montagna. Siamo dunque in presenza di un risveglio, di una minaccia imminente? La quiete del gregge in primo piano ci appare improvvisamente illusoria e fugace, esposta alla brusca irruzione del titano. 

Nel dipingere Gregge a riposo Klee forse commenta a distanza la storia contemporanea: il titano è la rivoluzione che viene? O più semplicemente prefigura il ritorno alla “pittura di idee”, per cui Klee propende? Certo la potenziale drammaticità della veduta smentisce le placide convenzioni dell’idillio alpestre.


Ragazza posseduta (1924), Riehen (Basilea), Fondation Beyeler.


Idoletto femminile (1939).

Separazione serale (1922);


La porta verso la profondità (1936).

Dipinge ad acquerello su vetro, quasi a ritrovare il tenebroso effetto di macchia che distingue alcune pitture tarde di Goya


Nella seconda metà degli anni Venti, in coincidenza con la crisi della sua vocazione di insegnante del Bauhaus, Klee non smette di esercitarsi sul tema böckliniano dell’“isola dei morti”: consolida così la propria reputazione di pittore-poeta visionario. Inventa luoghi fantastici abitati da sovrani trapassati e antichi aedi dalle virtù profetiche. Ricostruisce geografie antiche con l’immaginazione, nella tradizione dei “capricci”: l’Egitto dei riti misterici, la Grecia tragico-arcaica dei culti orfici e dionisiaci. Di volta in volta inscena in modo diverso il suo partito preso di inattualità. Il dibattito modernista su arte e società lo tocca solo indirettamente. Preferisce autorappresentarsi come un artista di casa nei pressi dell’Origine e del Mito. Nel disegno Un giardino per Orfeo (1926) una stella campeggia in alto, mentre più in basso si alternano nebbie perenni e foreste d’alta quota. Al centro della composizione si apre l’accesso al tempio: l’immagine custodisce dunque un segreto. L’apparente elementarità dei procedimenti fa il verso all’arte dei tappeti: le figure che intravediamo nascono dall’intreccio di trama e ordito, attraverso la ripetizione direzionalmente variata di semplici elementi lineari. Una spoglia severità neodorica si intreccia alla rievocazione dei “primordi” della civiltà europea e rilancia il proposito contemporaneo di ritorno a una grandezza preclassica.


Gregge a riposo (1908).


Un giardino per Orfeo (1926).

IN MOSTRA

Proseguono allo Zentrum Paul Klee di Berna due esposizioni che permettono di approfondire la poetica dell’artista tedesco. Klee in Bern (in corso fino al 12 gennaio 2016), a cura di Michael Baumgartner ed Eva Wiederkehr, indaga il rapporto del pittore con la capitale svizzera sia in relazione agli anni giovanili (1890-1906) sia agli ultimi della sua vita (1934-1940). Klee & Kandinskij (in corso fino al 27 settembre), a cura di Michael Baumgartner e Christine Hopfengart, comprende una selezione di opere dei due padri fondatori dell’arte astratta per la prima volta riuniti insieme. Presenti, oltre ai capolavori del museo di Berna, molti dipinti dei due maestri provenienti da istituzioni prestigiose come il Guggenheim di New York e il Centre Georges Pompidou di Parigi. Per ulteriori informazioni e orari consultare il sito: www.zpk.org


Una volta emerso dal grigio della notte (1918).

ART E DOSSIER N. 324
ART E DOSSIER N. 324
SETTEMBRE 2015
In questo numero: PRIMITIVISMI L'editoriale di Philippe Daverio; Il volto del serpente, l'Espressionismo in Toscana, Klee, Africa oggi; GLI UFFIZI a Casal di Principe; CINA OTTOCENTO La scoperta della fotografia. IN MOSTRA La Grande Madre, Gruppo Zero.Direttore: Philippe Daverio