Grandi mostre. 1
La Grande Madre a Milano

potere negato
potere
conquistato

L’archetipo femminile sondato in tutti i suoi aspetti è il tema della mostra a Palazzo reale, volta in particolare a mettere in risalto l’evoluzione e il cambiamento della figura materna dalle avanguardie del secolo scorso a oggi.

Melisa Garzonio

Il volto spirituale di Maria, nelle allegorie medievali dell’Occidente, e quello di Kali, dea per niente materna del pantheon indiano. 

«Come ogni archetipo, anche quello della madre possiede una quantità pressoché infinita di aspetti», teorizzava nel 1938 Carl Gustav Jung. «Citerò solo alcune delle forme più tipiche», scriveva lo psicanalista di Zurigo nel suo studio sugli archetipi e l’inconscio collettivo: «La madre e la nonna personali, la matrigna e la suocera, qualsiasi donna con cui esista un rapporto». E proseguiva elencando i simboli della Grande Madre, la figura materna universale: Demetra e Core (madri amorose), Sophia e Cibele-Attis (madri amanti), le forme che alludono alla nascita, come il giardino, la roccia, la fonte, il fiore, il forno, la pentola, l’utero. E, in negativo, le terrificanti padrone del destino (Parche e Graie e Norne) e i mostruosi simboli del dolore: la strega, la tomba, il drago, il sarcofago, le acque profonde, l’incubo. Per costruire il loro mausoleo dedicato all’archetipo femminile, Jung e altri psicologi dell’inconscio, freudiani e non, come Erich Neumann, autore di un ponderoso volume intitolato La Grande Madre, hanno attinto a piene mani dal vasto archivio iconografico di una signora inglese appassionata di storia dell’arte e archetipi, Olga Fröbe- Kapteyn, fondatrice, negli anni Trenta, del centro per studi teosofici Eranos, ad Ascona, nel Canton Ticino. È con una selezione di idoli femminili, madri, matrone, veneri paleolitiche e divinità preistoriche del ricchissimo Archive for Researche in Archetypal Symbolism (http:// aras.org), archivio del materiale fotografico e documentario raccolto dalla studiosa, che apre la mostra La Grande Madre al Palazzo reale di Milano (26 agosto - 15 novembre). Un titolo junghiano, ma la psicanalisi è soltanto uno spunto di partenza. Certo, soggetti borderline, come le nevrotiche “allumeuses” di Alfred Kubin e le rosse devastate dal rimorso di Edward Munch sarebbero impensabili senza l’avvallo della teoria freudiana. Ma al curatore Massimiliano Gioni, peraltro gran cultore dell’opera di Jung (ricordiamo che alla 55. Biennale d’arte di Venezia, da lui curata, ha esposto il Libro rosso, una delle opere più celebri e meno conosciute dello scienziato svizzero), sta a cuore un’altra storia: raccontarci com’è cambiata la rappresentazione della figura materna in un secolo cruciale come il Novecento, dalle avanguardie fino ai nostri giorni. Gli artisti e le artiste (tante) sono più di centoventi, le opere, dipinti, fotografie, video, installazioni, documentari, coprono una superficie di circa 2.000 metri quadrati: La Grande Madre è una rassegna potente sul potere della donna, quello negato e quello conquistato. C’è stato un tempo in cui non se ne parlava nemmeno.


Dorothy Iannone, Suck my breast I am your most beautiful mother (1970-1971).


Alice Neel Nancy and the twins (1971).

La donna artista? Un’invisibile mosca bianca in un mare di presenze maschili


La donna artista? Un’invisibile mosca bianca in un mare di presenze maschili. Una strada poco battuta. Tra le belle eccezioni, Lea Vergine, che nel 1980 portò al Palazzo reale di Milano, con la mostra L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, oltre cento artiste europee, russe e americane appartenenti alle avanguardie storiche, la «metà suicidata della creatività». In cosa si differenziava, allora, l’arte delle donne da quella degli uomini? Nell’autoironia, nel coraggio, nel sarcasmo. Ricorda Vergine in un’intervista a Gioni, riportata nel catalogo della mostra: «Ce n’erano davvero tante di artiste, bravissime. Pensate a Dora Maar, come pittrice non un granché, ma come fotografa era prodigiosa. E così Lee Miller, altro che modella di Man Ray, sì, sarà stata anche la modella di Man Ray, così come lo furono Oppenheim e tante altre, ma ebbe soprattutto un’inventività anticipatrice». 

«Molti degli artisti esposti da Lea Vergine ritornano nella mia mostra», spiega Gioni. «Quando ho chiesto alla nipote di Meret Oppenheim il prestito del bellissimo e terribile Angelo sterminatore, lei si è subito ricordata della sua L’altra metà dell’avanguardia

Quell’opera, che per Oppenheim aveva il significato di un’immagine votiva per scongiurare una gravidanza non desiderata, rende quasi visibile l’ansia che circonda il tema della maternità, in una società in cui diventare madre era spesso un’imposizione o un destino al quale non si poteva sfuggire».


Ketty La Rocca, Vergine (1964-1965).

Maurizio Cattelan, Mother (1999).


Pipilotti Rist Homo Sapiens Sapiens, still da video (2005).


Cindy Sherman, Untitled #223 (1990).

Il rapporto ambivalente con la gravidanza e i figli è spiegato con toni forti, spesso urlati. C’è Rineke Dijkstra e la sua ormai leggendaria serie di immagini del parto. C’è la sudafricana Marlene Dumas, nota per i ritratti ambigui rivisitati dagli incubi di Munch, che qui stupisce con un ritratto di donna gravida con la pancia bianca e tesa bene in vista. Un figlio voluto? Risposta ironica di Cindy Sherman, camaleontica nel cambiare le proprie sembianze, che si autoscatta come una Madonna del Pontormo, con un indefinibile fagotto bianco stretto al seno. E Alice Neel, che nel 1971 fa Nancy and the twins, una mamma sorridente sul lettone coi suoi due gemelli: c’è o ci fa? 


Un figlio voluto? Risposta ironica di Cindy Sherman, camaleontica nel cambiare le proprie sembianze


Un rapporto finalmente sereno col proprio corpo? La donna non l’ha raggiunto. L’alienazione è il chiodo fisso di Ketty La Rocca, artista spezzina di Body Art, che fustiga irridendolo lo stereotipo femminile del corpo abusato dai media e dalla pubblicità. Un passo indietro, negli anni Sessanta e Settanta, con Louise Bourgeois, scomparsa a New York nel 2010, a novantotto anni. 

La “cattiva ragazza” si è replicata in minacciose performance fino agli ultimi mesi. Ne aveva ottanta quando cominciò a progettare le sue terribili Mamans a forma di ragni d’acciaio, e a dedicarsi al patchwork di vecchie stoffe consunte. Il lavoro aveva una funzione catartica per Louise. Riportava a galla antiche paure infantili, nate in famiglia, mai sopite negli anni. Anche il calvario di Frida Kahlo, figlia di un tedesco e di una meticcia messicana, ebbe una funzione catartica. I suoi genitori penavano per lei, dopo che un incidente l’aveva inchiodata al letto, bloccandole il corpo in un busto rigido. Ma “Grande Madre” Frida comincia a dipingersi riflessa in uno specchio. Fa autoritratti, ex voto, ritratti dell’amatoodiato marito Diego Rivera, dipinge con sensualità, masochismo, disperazione e passione. La pittura fu la terapia che la tenne in vita. 

Autodidatta e spregiudicata fu anche la francoamericana Niki de Saint Phalle (1930-2002). Il suo percorso artistico è autobiografico, sublimato da grandi temi universali e figure mitologiche. Come le sue Nanas, le bambolone che levitano leggere nel giardino della tenuta di Garavicchio (Capalbio, Grosseto) sfidando tutte le regole di gravità. Sculture che corrispondono a un bisogno urgente di far sentire la voce delle donne in tutte le sue tonalità. Farlo è il compito delle Grandi Madri. Ieri e oggi.


Marlene Dumas, Pregnant Image (1988-1990).

La Grande Madre

a cura di Massimiliano Gioni
promossa dal Comune di Milano/cultura,
ideata dalla Fondazione Nicola Trussardi
insieme a Palazzo reale per Expo in città 2015
Milano, Palazzo reale, piazza Duomo 12
orario 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30,
giovedì e sabato 9.30-22.30
dal 25 agosto al 15 novembre
catalogo Skira
www.fondazionenicolatrussardi.com
www.comune.milano.it/palazzoreale

ART E DOSSIER N. 324
ART E DOSSIER N. 324
SETTEMBRE 2015
In questo numero: PRIMITIVISMI L'editoriale di Philippe Daverio; Il volto del serpente, l'Espressionismo in Toscana, Klee, Africa oggi; GLI UFFIZI a Casal di Principe; CINA OTTOCENTO La scoperta della fotografia. IN MOSTRA La Grande Madre, Gruppo Zero.Direttore: Philippe Daverio