Arte in coppia
Invernomuto


il fasCino disCreto
della subCultura

di Cristina Baldacci

I giovani piacentini Bertuzzi e Trabucchi, in arte Invernomuto, s’impogono sulla scena contemporanea miscelando generi e linguaggi diversi con l’intento di sperimentare sempre nuovi sentieri creativi tra musica, video, performance, sculture, installazioni. Con un occhio al presente ma senza dimenticare le tradizioni popolari della loro terra.

Che Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi siano figli della cultura punk è innegabile non solo per il loro look da skater(1), ma anche per il nome che si sono dati come duo: Invernomuto, da uno dei personaggi di Neuromante (1984), il romanzo fantascientifico di William Gibson, diventato manifesto del genere cyberpunk. Questo retaggio culturale si deve in parte alla loro data di nascita - i due Simone sono entrambi dell’inizio degli anni Ottanta - e in parte al luogo dove sono cresciuti, il Piacentino, terra fertile, come quasi tutta la provincia emiliana (e romagnola), per la scena underground e hardcore. 

Il loro interesse per la contaminazione audiovisiva e per le pratiche del remix deriva proprio dal contesto musicale, ed è forse per questa comune passione che entrambi hanno scelto di studiare arti multimediali all’Accademia di Brera, dove si sono incontrati nel 2003 (più precisamente, si sono conosciuti in uno dei tanti viaggi sul treno da Piacenza a Milano). Anche la scelta di realizzare, come primo lavoro in coppia, una rivista sul modello dei “fanzine” amatoriali, costruita come un atlante diacronico di suoni e immagini, è sintomatica di questo comune background. Ma la vera particolarità dell’“ffwd_mag” - questo il titolo della rivista - sta nel fatto che ogni numero è nuovo per contenuti, grafica, formato e collaboratori, tra cui artisti, musicisti e designer. 

Questo progetto mostra fin dall’inizio l’insofferenza degli Invernomuto per i modelli culturali prestabiliti e sempre uguali a se stessi, e ancora di più il loro rifiuto nei confronti di un’identità autoriale univoca (il solo fatto di essere in due incoraggia questo punto di vista) e il desiderio di lavorare con altre persone, di mescolare e sovrapporre generi e linguaggi, così come avviene nella musica. 


Come non essere suggestionati da questi rituali tra il grottesco e il kitsch per poi però sovvertirne i codici?


In questi dodici anni di attività insieme hanno sperimentato moltissimo accostando immagini in movimento, suoni, installazioni e sculture, performance. Il risultato è una stratificazione continua di tecniche, significati, simboli, che creano contraddizioni e paradossi al limite tra realtà e finzione. 

C’è comunque un elemento costante che tiene unito il loro lavoro, conferendogli, nonostante l’eclettismo linguistico e contenutistico, una forte componente identitaria: Vernasca, il paese sulle colline attorno a Piacenza da cui entrambi provengono e che ha lasciato inequivocabilmente il segno. 

Oltre che per l’aspetto ambientale e paesaggistico, che ha reso gli Invernomuto molto attenti e sensibili alla spazialità(2), e per la dimensione visionaria, legata alle credenze, ai rituali e all’immaginario popolare, Vernasca è viva nel loro lavoro soprattutto per un episodio, che dalla provincia italiana li ha proiettati ai confini del mondo e messi a confronto con una diversa “sottocultura”, letteralmente borderline.


un’immagine del 2013 dal ciclo Negus iniziato nel 2011.


un autoritratto del duo Invernomuto del 2005.


Veduta dell’installazione alla Marsèlleria di Milano nel 2014.

(1) Questa cultura è tra l’altro il tema esplicito di lavori come Catch Me When I Fall. Parade (2009), una video-rassegna delle più spettacolari cadute sugli skate, che i due artisti realizzano facendo un montaggio di vari spezzoni di filmati televisivi degli anni Ottanta-Novanta; e Thunderstruck (2010), intervento site-specific a Villasor, in provincia di Cagliari, che scimmiotta un monumento pubblico, ma è in realtà una pista per gli skater, un luogo di ritrovo per i ragazzi del paese.
(2) Gran parte dei loro lavori sono ambienti che ricordano, seppur con le dovute differenze, i “décor” di Marcel Broodthaers, a metà tra l’interno domestico e il set cinematografico.

Come in molte altre località italiane, anche a Vernasca uno dei reduci della guerra in Abissinia aveva bruciato pubblicamente, nella piazza principale, l’effige di Hailé Selassié I, l’ultimo sovrano della stirpe dei negus e capo spirituale (una sorta di Messia nero) del rastafarianesimo, per celebrare la vittoria italiana nelle colonie africane. Da questa vicenda storica e nello stesso tempo leggendaria, perché parte di un passato memorabile per il paese piacentino, ha preso le mosse il lavoro che, fino a questo momento, si presenta come il più complesso e articolato degli Invernomuto: il ciclo Negus, iniziato nel 2011 e composto da una serie di video, proiezioni e installazioni, il cui filo rosso è la musica. Si tratta di una ricerca che ruota attorno al significato storico, etnico, culturale, metaforico del negus e all’idea di differenziazione (“versioning”, in inglese) musicale, cioè all’abilità di creare diverse variazioni della stessa canzone tipica dei giamaicani e del reggae. 

Il remix e il montaggio, e il ricorso a collaborazioni con altri artisti, sono anche in questo caso fondamentali. Protagonista indiscusso di questa serie è Lee Perry, una delle leggende della musica e cultura reggae, che, con la sua presenza scenica, nei video degli Invernomuto diventa quasi una scultura vivente, un simulacro. 

La tradizione naturalistica, storica, ambientale del paesaggio dove i due Simone sono nati e cresciuti è ancora più evidente in lavori come Village Oblivia (2009), Culiarsi (2011) e Boomeria (2011), che pur essendo ambientati in luoghi diversi (l’ultimo dei tre, addirittura nei boschi vicino a Santa Cruz in California) rievocano il passato medievale e la moda contemporanea delle messe in scena storiche, con cortei, duelli e falconerie. D’altronde, il borgo ottocentesco in stile neogotico di Grazzano Visconti, dove questi re-enactment sono all’ordine del giorno come attrazioni turistiche, e quello medievale di Castell’Arquato, che ha fatto da set a film tra lo storico e il fantasy(3), si trovano a pochi chilometri da Vernasca. Come non essere suggestionati da questi rituali tra il grottesco e il kitsch per poi però sovvertirne i codici, creare molteplici frizioni e dare vita a un nuovo immaginario a tratti surreale, assurdo e ironico? 

Lo stesso discorso vale per Wax Relax (2011), lavoro per il quale gli Invernomuto si sono appropriati di una delle immagini più trash del folklore locale, la riproduzione-ambiente della grotta di Lourdes nella chiesa di Vernasca, eseguendone una copia in cera destinata a liquefarsi nel corso di una mostra all’HangarBicocca a Milano(4)

Come direbbe Bruno Latour, anche questo è «iconoclash»(5) contemporaneo.


Catch Me When I Fall. Parade (2009), still da video.

(3) Il più famoso è Lady Hawke del 1985, diretto da Richard Donner, con Rutger Hauer, Michelle Pfeiffer e Matthew Broderick.
(4) La collettiva Terre vulnerabili (2011), curata da Chiara Bertola e Andrea Lissoni.
(5) Il termine, che è una crasi di “icon” (icona) e “clash” (scontro), deriva dall’omonima mostra, Iconoclash: Beyond the Image Wars in Science, Religion, and Art, che il filosofo francese curò insieme a Peter Weibel allo ZKM - Zentrum für Kunst und Medien di Karlsruhe nel 2002.

ART E DOSSIER N. 324
ART E DOSSIER N. 324
SETTEMBRE 2015
In questo numero: PRIMITIVISMI L'editoriale di Philippe Daverio; Il volto del serpente, l'Espressionismo in Toscana, Klee, Africa oggi; GLI UFFIZI a Casal di Principe; CINA OTTOCENTO La scoperta della fotografia. IN MOSTRA La Grande Madre, Gruppo Zero.Direttore: Philippe Daverio