la cappella
brancacci

Già Antonio Manetti rammentava la cappella Brancacci affermando che la parte di Masaccio era quella «maravigliosa». E dopo molti secoli, tutto sommato, lo stesso Longhi, nel suo famoso saggio (1940) sui due pittori al lavoro nella cappella fiorentina del Carmine, tendeva a sottovalutare Masolino.

O

ggi ancora, la portata innovativa di Masaccio, rispetto al pur bravo collega, non viene sminuita nonostante si tenda ormai a guardare sotto occhi diversi la pittura di Masolino, come già si è accennato, dopo gli esiti insospettabili del restauro alle pareti (la volta affrescata era andata distrutta fra il 1746 e il 1748) e il rinvenimento nel 1984 di lacerti di pittura dietro l’altare posticcio, con due tondi di Masolino dai volti dolcissimi. Comunque, perfino le parti che molto più tardi, sul finire del secolo, integrò Filippino Lippi, mostrano che quest’ultimo, talentuoso pittore, avrebbe tentato (e ci riuscì con risultati felicissimi) di adeguarsi, per così dire, allo stile e ai modi del grande predecessore, che oltretutto era stato l’ideale ispiratore del padre fra Filippo, quando da novizio proprio al Carmine era rimasto talmente colpito dagli affreschi di Masaccio, da volerne quasi incarnare lo spirito.
Dunque, la storia di questi affreschi ha inizio con la probabile richiesta a Masolino, da parte di Felice Brancacci, di affrescare la cappella di famiglia al Carmine. Felice era un ricco mercante di sete, che ricoprì importanti incarichi politici per la Repubblica fiorentina: console del mare, ambasciatore al Cairo, commissario alle truppe alleate nella guerra contro Milano, e genero di Palla Strozzi, del quale seguì il destino dell’esilio. Nel 1425, tuttavia, nel pieno dei lavori di decorazione della cappella, pare che Felice fosse stato accusato di una grave appropriazione di denaro pubblico, ed è probabile che fossero stati piuttosto i frati carmelitani a seguire più direttamente i lavori, magari dando qualche consiglio di natura teologica ai due pittori. Comunque, pare che le immagini di Felice e della sua famiglia, se effettivamente furono ritratte in alcune scene della cappella, avrebbero subito una drammatica “damnatio memoriae”: cancellate, o graffiate via dagli affreschi, dopo l’esilio di Felice e il successivo ancor più severo bando che lo costrinse a non tornar mai più in patria. Le storie da affrescare erano legate alla vita di san Pietro, e si tratta del ciclo più importante ispirato a questo soggetto che si conosca in quegli anni in Italia (probabilmente su questa scelta influì l’importanza politica, in quegli stessi anni, del desiderio di riaffermazione temporale del papato). Gli episodi della vita di Pietro, che sarebbe stato martirizzato nel luogo dove poi sorse il Vaticano, sono preceduti dalle raffigurazioni sui due pilastri (a destra quello della Tentazione di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre (Masolino), e a sinistra quello della Cacciata dei progenitori (Masaccio). Poste a pendant, queste due raffigurazioni, come sempre spiegano i libri di scuola, evidenziano la diversità d’approccio nell’espressione dei sentimenti, più intensamente e psicologicamente rappresentati da Masaccio, come pure un diverso “peso” dei corpi nello spazio, più aleatorio e inverosimile nel caso di Masolino.
L’episodio più celebrato di tutto il ciclo resta il Tributo, nel registro superiore della parete destra, in cui Masaccio illustra la storia riferita dal Vangelo di Matteo (XVII, 24-27) della richiesta di riscossione delle tasse da parte di un esattore. Mancano i soldi, e Gesù (scena centrale) indica subito agli apostoli di cercarli in mare, nella bocca di un pesce che prontamente Pietro va a cercare sulla riva del lago di Genezareth (che invece dovrebbe essere il mare). All’estrema destra, vediamo Pietro che consegna i soldi all’avido gabelliere.
I tre momenti diversi sono genialmente unificati da Masaccio, grazie a un saldo impianto prospettico, e i volti degli apostoli, taluni di profilo, come classiche monete romane, sono tutti individualmente interpretati come veri e propri ritratti. L’episodio probabilmente doveva anche alludere alla politica economica fiorentina di quel periodo, che portò alla rivoluzionaria istituzione del catasto, nel 1427. Una seconda chiave di lettura sarebbe ispirata all’idea agostiniana che la storia dell’umana esistenza s’identifica nel processo di redenzione attraverso la Chiesa. Il Tributo simboleggerebbe dunque il fatto che la Chiesa rispetta le leggi politiche ed economiche della società, ma le trascende: «Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» (Matteo, XXII, 21). La scena del Tributo presenta anche un brano strepitoso, essenziale, di paesaggio montano col cielo solcato da nuvole, e le onde del mare (o del lago) che formano come mezzelune di toni contrastanti. Il giudizio di Longhi, che identificava l’unica presenza di Masolino in questa scena nel volto di Cristo al centro, è stato poi confermato dalle indagini tecniche in corso di restauro, che hanno stabilito come quel volto sia stato eseguito individualmente, in un’unica giornata (o sessione) di lavoro.


Tributo (1424-1426 circa), particolare del volto di san Pietro; Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.

Masolino, Volto giovanile (1424-1425 circa); Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.

Cappella Brancacci (1424-1426 circa), parete sinistra; Firenze, Santa Maria del Carmine.


Cappella Brancacci (1424-1426 circa), parete destra; Firenze, Santa Maria del Carmine.

Il Battesimo dei neofiti (qui a pagina 47), che rappresenta la conclusione della Predica (Atti degli apostoli, II, 41) presenta il celeberrimo brano del «nudo che triema» menzionato con ammirazione da Vasari, figura che deriva parzialmente da una scultura antica, un Ares del tipo Ludovisi: la figura non appare, nella sua posizione globale, in sintonia con la posa seduta della statua classica, e quindi non risulta anatomicamente perfetta. Che Masaccio avesse guardato all’antico, magari già in suo primo ipotetico viaggio a Roma, è confermato alla Brancacci, fra le altre cose, dalla citazione da una testa antica del san Giovanni del Tributo, simile anche a quella di uno dei quattro santi coronati di Nanni di Banco in Orsanmichele a Firenze.
Nella Distribuzione dei beni e morte di Anania, Masaccio raggiunge i vertici della sua arte nel raffigurare il bimbo di schiena, vestito di una camiciola leggera che lascia scoperti il sedere e le gambette, e nelle architetture essenziali, quasi metafisiche, che ispireranno artisti come Piero della Francesca fino ai pittori metafisici del Novecento. Caseggiati con gli sporti e uno scorcio classico di una chiesa con colonne corinzie appaiono sullo sfondo del San Pietro che risana gli infermi, rappresentato nello spazio angusto a sinistra della finestra: uno dei momenti più alti dell’arte di tutti i tempi, dove la figura del san Giovanni è forse, come si è detto, lo Scheggia, il fratello tanto più fortunato, che si orienterà verso una pittura piacevole, non dimentica degli insegnamenti del fratello.

Tributo (1424-1426 circa), intero, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.


Tributo (1424-1426 circa), intero e particolare; Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.

Tributo (1424-1426 circa), particolare; Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.

Con la morte precoce di Masaccio abbiamo fatto davvero una gran perdita, vien da dire in conclusione, ricordando Brunelleschi, giacché non possiamo immaginare cos’altro avrebbe potuto lasciarci questo genio del primo Quattrocento, se solo avesse dipinto ancora per un poco.

Masolino, Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita (1424-1425 circa), particolare con uno scorcio di città; Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.


Battesimo dei neofiti (1424-1426 circa); Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci. La figura seminuda all’estrema destra della scena è il famoso nudo che trema per il freddo.

MASACCIO
MASACCIO
GLORIA FOSSI
Un dossier dedicato a Masaccio (San Giovanni Valdarno, 1401 - Roma, 1428). In sommario: Una fortuna tutta postuma; La prima gioventù; Gli anni cruciali; L'incertezza delle date; Il desco da parto; La cappella Brancacci. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.