l'incertezza
delle date

Una delle opere di Masaccio più discusse, non solo per l’incerta datazione, è la Trinità, affrescata sulla parete corrispondente alla terza campata della navata sinistra.

nella basilica domenicana di Santa Maria Novella a Firenze. L’affresco, riportato in luce nel 1857, fu staccato nel 1859 con la parte di parete retrostante, e situato nella controfacciata della chiesa, da dove in seguito fu risistemato nella posizione originaria. Per secoli era stato nascosto da una pala dipinta, posta su un altare di pietra che nel XVI secolo Vasari aveva provveduto a innalzare, nel suo tipico intervento di rammodernamento architettonico e decorativo che riguardò a quei tempi gran parte delle chiese fiorentine di origine medievale, provviste per l’occasione di altari devozionali. Eppure proprio Vasari nel 1568 aveva descritto con ammirazione l’opera di Masaccio, con quella «mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni che diminuiscono e scortano così bene». Pare davvero che il muro “sfori” verso l’esterno, come osservava lo storiografo aretino (che non dimentichiamolo, oltre a esser lui stesso pittore fu l’ideatore della fabbrica degli Uffizi, e quindi ben sene intendeva). Entrando dal chiostrino degli Avelli il devoto doveva trovarsi come spiazzato di fronte all’effetto illusionistico del vano dipinto da Masaccio. E verrebbe davvero da affacciarsi, quasi per entrar in quel sacello all’antica, dipinto in modo da far immaginare che lì dentro i personaggi sacri sono vivi, veri. Un’architettura raffinata e illusionistica, in verità inaccessibile, dominata dagli accostamenti cromatici del grigio e del rosa, ispirata alle severe architetture di Brunelleschi e forse anche ai monumenti che Masaccio poteva aver studiato a Roma, giacché è ipotesi non peregrina che in occasione del giubileo straordinario del 1423 il giovane si fosse recato una prima volta nella città eterna. Erano quelli gli anni in cui si cominciavano a dipingere cieli atmosferici, solcati da nuvole, al posto del tradizionale, ieratico fondo oro medievale. E qui non ci stupiremmo se dal fondo del muro spuntasse una finestrella da cui s’intravede il cielo, espediente illusionistico che Giotto e Taddeo Gaddi avevano iniziato a sperimentare nel Trecento. Dell’affresco di Masaccio solo nel 1952 vennero alla luce, grazie all’intuizione di Ugo Procacci, anche le parti superstiti dell’impressionante “memento mori”, con lo scheletrico cadavere (di chi? forse Adamo, capostipite dell’umana progenie?) disteso sul finto sepolcro, a ricordare, come indica la scritta: «IO FUI QUEL CHE VOI SIETE E QUEL CH’IO SON VOI ANCOR SARETE». La finta cappella sovrastante il sepolcro è dominata dalle figure monumentali del Cristo crocifisso sovrastato dalla colomba, sorretto da Dio padre e affiancato dalla Madonna e da san Giovanni in preghiera. All’esterno stanno inginocchiati i donatori, che grazie alle ricerche di Alessandro Cecchi oggi possiamo identificare in Berto di Bartolomeo Del Bandieraio (1378 circa-1443) e in sua moglie Sandra. La coppia, i cui volti sono indagati con spiccato realismo, sono raffigurati nella medesima scala di grandezza dei personaggi sacri, ed è questa la prima volta, a quanto risulta, che un pittore del Quattrocento pone le figure umane dei donatori in posizione decisamente non subalterna alle figure divine. Berto era iscritto, fra le altre cose, all’Arte dei maestri di pietra e di legname, dove rivestiva un ruolo di spicco, ed era “maestro di murare”, cioè architetto. Fu infatti fra coloro che vennero chiamati nel 1420 a lavorare al cantiere della cupola di Brunelleschi. Appare allora ancor più verosimile l’ipotesi che a fornire il disegno prospettico dell’affresco sia stato Brunelleschi stesso che, come dicono le fonti, non disdegnava di dar insegnamenti a chi si dimostrasse interessato e capace di recepirli. Di Masaccio, poi, sappiamo che era amico. La bravura di Masaccio in questo campo potrebbe però giustificarsi anche senza un diretto intervento del grande architetto. Molte altre, comunque, sono le novità: tutte le figure sono in perfetta scala proporzionale con l’ampiezza dell’ambiente che le ospita. Tutte sembrano comunicarci il senso spirituale e profondo di un evento dogmatico. Di fronte al dipinto, si percepisce il muto colloquio della Madonna con lo spettatore, invitato con gesto eloquente della mano a partecipare al mistero della Trinità. Le indagini nel corso di quello che è stato definito “il restauro dell’anno Duemila” hanno permesso importanti precisazioni sulla tecnica adottata: spesso le stesure del colore appaiono molto acquerellate e le immagini risultano strutturate non tanto grazie al contorno lineare e al disegno, metodo tipico della pittura fiorentina, ma attraverso lo studio della luminosità. Resta il dubbio: prima o dopo la Brancacci? Nel secondo caso, sarebbe l’opera d’inconsapevole commiato dell’artista, prima del fatale, ultimo viaggio a Roma. Tuttavia concordiamo con chi ritiene non inverosimile che il dipinto sia precoce, anche perché qui il pittore poco utilizzò il cosiddetto bianco di san Giovanni, pigmento non facile da usare nell’affresco, quasi a testimoniare di non sentirsi ancora perfettamente a suo agio in questa tecnica. Molti furono anche i disegni preparatori, ingranditi attraverso la quadrettatura e riportati sulla parete.


Trinità (1424-1425 o 1427); Firenze, Santa Maria Novella.

Trinità, (1424-1425 o 1427), particolare con il volto della donatrice (Sandra, moglie di Berto di Bartolomeo del Bandieraio?); Firenze, Santa Maria Novella.

Trinità (1424-1425 o 1427), particolare con il donatore (Berto di Bartolomeo del Bandieraio?); Firenze, Santa Maria Novella. Il volto del donatore all’epoca doveva essere perfettamente riconoscibile: il naso lungo, il doppio mento, il grande orecchio piegato al bordo del cappuccio, come consuetudine del tempo, la veste rossa a coprire un fisico appesantito dagli anni, confermano Masaccio come primo grande ritrattista dell’epoca, anche se questo ritratto bellissimo non è ancora un’opera a se stante.


Trinità (1424-1425 o 1427), particolare con la Madonna; Firenze, Santa Maria Novella. Non è improbabiile che Masaccio abbia usato un modello dal vero per il volto sofferto e già avanti con gli anni della Madonna, che con una mano regge un lembo del velo che le copre il capo, e con l’altra indica allo spettatore il sacro e misterioso evento della Trinità.


Madonna col Bambino, nota anche come Madonna Casini, o Madonna del solletico (1426-1427 circa), recto; Firenze, Uffizi.

Se l’arcano significato simbolico di questo affresco sembra chiarirsi alla luce dell’intellettualistica visione teologica dell’ordine domenicano, un senso più lieve di intima devozionalità emana dalla cosiddetta Madonna del solletico. Quale che siano le altre datazioni, questa ha perlomeno un termine “post quem”, come si vedrà. Qualunque siano le datazioni dei dipinti poco distanti da questo - precedenti o successive - Masaccio mostra di volta in volta di passare con eclettica, sapiente rapidità da un registro espressivo all’altro, adattandosi consapevolmente alla destinazione delle opere che gli vengono commissionate. Qui la Madonna, la cui figura di tre quarti ancora si staglia dal fondo prezioso della foglia d’oro, sembra immersa in qualche suo intimo pensiero, ma allo stesso tempo, con un gesto quotidiano e istintivo, solletica con due dita il piccolo collo del neonato. Gesù sorride e sembra volerla fermare, proprio come fa chi soffre il solletico, stringendole il polso con le manine grassocce. Le ridotte dimensioni della tavoletta e l’eccezionale stato di conservazione, nonostante l’opera abbia subito vicende avventurose nel secolo scorso (recuperata in Germania da Rodolfo Siviero, poi rubata e infine ritrovata), hanno sempre fatto pensare a un’opera di destinazione privata. Sul retro Masaccio ha dipinto l’emblema, sovrastato dal cappello cardinalizio, del senese Antonio Casini, che fu elevato alla porpora il 24 maggio 1426. I delicati tocchi pittorici, i sofisticati giochi di luce e i particolari deliziosi, come il pendente di corallo del Bambino, oggetto prezioso che nel gioco fra madre e figlio si è girato sulla piccola spalla, fanno del dipinto un assoluto capolavoro, nel quale di recente sono state riconosciute anche influenze delle coeve ricerche sulla luce di Gentile da Fabriano.
Fortunatamente si conosce un’altra impresa di Masaccio che può essere datata con una certa precisione. Si tratta di un grandioso polittico (del quale le parti superstiti sono smembrate in diversi musei), che gli fu commissionato da un influente notaio pisano, Giuliano di ser Colino degli Scarzi, di cui abbiamo trovato diversi documenti a partire già dalla fine del XIV secolo, a conferma di una sua fiorente attività notarile. La sua bottega si trovava a Pisa nei pressi di una torre, non distante dalla chiesa di San Sebastiano, che nel Cinquecento fu soppiantata da quella di San Giovanni dei Cavalieri. Ed è nella bottega del notaio che si svolsero, come risulta dalle carte, le trattative e i pagamenti a Masaccio per un grandioso polittico destinato a una cappella nel tramezzo della chiesa pisana del Carmine. La struttura lignea dell’opera fu pagata al legnaiolo Antonio di Biagio per diciotto fiorini, e subito dopo, il 19 febbraio 1426, Masaccio cominciò a dipingere. Insieme a lui dovevano esserci diversi aiuti, fra i quali Andrea di Giusto e il fratello, lo Scheggia, e forse un terzo pittore che dipinse uno scomparto di predella con le Storie di san Giuliano e di san Nicola (ora a Berlino). Quando, nell’ottobre di quell’anno, lo Scheggia riceve un acconto per il fratello, Masaccio evidentemente non si trova a Pisa, ma al notaio vien promesso che non farà altri lavori prima di finire questo. Il saldo avviene il 26 dicembre, questa volta nel capitolo del Carmine, ma il polittico deve essere ancora rifinito, perché il notaio chiede che la sua tavola gli sia consegnata compiuta (era stato perfino nominato come giudice il priore perché stimasse la bontà dell’opera). Probabilmente il lavoro fu interrotto diverse volte, e non è escluso che quell’anno Masaccio lavorasse a Firenze a qualche altra grossa impresa, forse ancora alla cappella Brancacci, e in quel caso da solo, perché nel frattempo Masolino era partito per l’Ungheria. Dalle indagini diagnostiche compiute analizzando le tavole principali dell’opera risulta che la Crocifissione, pannello oggi a Napoli (qui alla pagina seguente), ebbe diverse modifiche, forse dettate non tanto da pentimenti veri e propri di Masaccio, bensì da richieste precise dei committenti. In primo luogo, fu aggiunta la straordinaria figura della Maddalena vista di spalle, con le inconfondibili braccia aperte in un gesto di disperazione, che Piero della Francesca avrebbe citato, molti anni dopo, nella scena analoga del Polittico di Sansepolcro.


Stemma dipinto del cardinale Antonio Casini, verso della Madonna Casini o Madonna del solletico (1426-1427 circa); Firenze, Uffizi.

Crocifissione, cimasa dallo smembrato e in parte disperso Polittico di Pisa (1426 circa); Napoli, Museo di Capodimonte.


Inoltre, nel Polittico di Masaccio la Croce prevedeva un tabellone alla sommità, che poi fu sostituito dall’alberello oggi molto lacunoso, nel quale era dipinto un pellicano, che si squarcia il ventre per dar da mangiare ai piccoli, e dunque è simbolo del sacrificio di Cristo. Certo, fra i pezzi smembrati, questo di Napoli s’impone per l’intensità di rappresentazione del dramma. Anche il pannello centrale con la Vergine e il Bambino, ora a Londra, subì diverse modifiche: il trono fu decurtato nella parte terminale, e gli angeli a fianco del trono risultano come costretti in uno spazio angusto. Inoltre, parte delle gambe degli angeli musici ai piedi del trono furono tagliate. Cecilia Frosinini, dopo un accurato esame diagnostico, ha proposto che alcune tavole, non conformi tecnicamente alle altre, fossero destinate a un altro polittico, comunque dipinto da Masaccio, ma forse per la famiglia Del Podio (esiste un documento del 1427 in cui compare anche Masaccio come testimone notarile). Sarebbe un’opera più piccola, dalla quale proverrebbero i due Santi di Pisa e Malibu, espressivi come tutte le figure di Masaccio.

Madonna in trono col Bambino, angeli e angeli musicanti, scomparto centrale dallo smembrato e in parte disperso Polittico di Pisa (1426 circa); Londra, National Gallery.


Sant’Andrea, dal Polittico di Pisa (?) (1426 circa); Malibu, J. Paul Getty Museum. Per alcune diversità tecniche rispetto agli altri pannelli sopravvissuti si pensa che i due santi vengano da un altro polittico pisano di Masaccio.


San Paolo, dal Polittico di Pisa (?) (1426 circa); Pisa, Museo nazionale di San Matteo.

Il dibattito non è concluso e non mancheranno ulteriori ipotesi ricostruttive. Resta ancora da parlare di un altro polittico per il quale Masaccio dipinse solo le figure di San Girolamo e Giovanni Battista (ora a Londra, qui illustrate alla pagina seguente), dove gli scorci delle mani, in particolare la destra di san Girolamo, con le dita aperte su una pagina della Bibbia, confermano la capacità dell’artista toscano di scorciare in modo eccezionale, come racconta Vasari. Qui Masaccio, solitamente tanto essenziale («puro senza ornato») nella raffigurazione dello spazio, concede al suo talento di pittore qualche licenza più realisticamente definita, come i fiorellini tratti dal vero nel prato, che sbucano perfino da sotto la pianta del piede del Battista. L’opera faceva parte del polittico bifronte commissionato dai Colonna (la famiglia di papa Martino V) a Masolino, dunque con ogni probabilità eseguito a Roma, non sappiamo quando. Anche in questo caso le proposte di datazione oscillano dall’ipotesi di una fase precoce, precedente alla cappella Brancacci, a quella che si tratti dell’ultima opera eseguita dal pittore, che a Roma morì. Dibattito, anch’esso, che resta del tutto aperto.

Adorazione dei magi; Crocifissione di san Pietro e decollazione del Battista, scomparti di predella dallo smembrato e in parte disperso Polittico di Pisa (1426 circa);


Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. Un altro scomparto di predella, anch’esso conservato a Berlino, raffigura le Storie di san Giuliano e di san Nicola, e viene ritenuto opera di un collaboratore di Masaccio, forse Andrea di Giusto


San Girolamo e san Giovanni Battista (1424 o 1427-1428?); Londra, National Gallery. è l’unico scomparto noto dipinto da Masaccio per il Polittico della neve (o Polittico Colonna) del quale gli altri pannelli superstiti sono tutti attribuibili a Masolino.

MASACCIO
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GLORIA FOSSI
Un dossier dedicato a Masaccio (San Giovanni Valdarno, 1401 - Roma, 1428). In sommario: Una fortuna tutta postuma; La prima gioventù; Gli anni cruciali; L'incertezza delle date; Il desco da parto; La cappella Brancacci. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.