XXI secolo
Shangai e l'Expo 2010

la città
ideale

Cinque anni fa venne organizzata l’Expo più grande e di successo di sempre. Il tema portante era la città, luogo ideale di una vita migliore. Ripercorriamo i punti salienti di quell’edizione insieme a uno fra i molti consulenti che lavorarono agli eventi artistici della manifestazione.

Jean Blanchaert

il 30 aprile 2010 sulle rive del fiume Huangpu, a Shanghai, in Cina, è andato in scena il più grande spettacolo di luci mai realizzato. La colonna sonora centrale era Nessun dorma, cantata da Andrea Bocelli. All’alba vincerò, diffusa dagli altoparlanti, risuonava ovunque. Si trattava dell’inaugurazione di Expo, l’Esposizione universale, patrocinata da BIE (Bureau International des Expositions) che ogni cinque anni assegna questo straordinario evento a una città del mondo. A Expo Shanghai, manifestazione durata sei mesi, dal 1° maggio al 31 ottobre, tutto era fuori dall’ordinario. Nel 1968, alle Olimpiadi del Messico, Bob Beamon vinse la medaglia d’oro saltando in lungo otto metri e novanta. Il suo record mondiale durò ventitre anni e ci vorranno almeno ventitre anni prima che un’Esposizione universale come quella di Shanghai 2010 sia eguagliata. “Better city, better life”, questo era il tema della manifestazione alla quale hanno partecipato 192 paesi e 50 organizzazioni internazionali come l’Onu, la Fao, l’Unione europea, l’Unione africana, la Lega araba, la Croce rossa, l’Unaids e così via. La superficie occupata a nord e a sud del fiume Huangpu era di 5,3 chilometri quadrati, cinque volte più grande di Expo Milano 2015. I visitatori sono stati 73 milioni, dei quali 69 milioni cinesi, due milioni da altri paesi dell’Estremo Oriente e due dal resto del mondo. I paesi cosiddetti ricchi hanno potuto costruire i loro padiglioni su terreni imprestati, altri hanno preso in affitto edifici forniti dall’organizzazione mentre le nazioni in via di sviluppo sono state invitate gratuitamente.
Il tema conduttore dell’avvenimento, “Una città migliore per una vita migliore”, tradotto da ideogrammi cinesi in realtà suonava così: “Cities make better life”, “ La città rende la vita migliore”. Viene in mente la canzone di Giorgio Gaber, Com’è bella la città, del 1969. Con spirito alla Jacques Tati, così cantava: «Vieni, vieni in città, / che stai a fare in campagna, / se tu vuoi farti una vita / devi venire in città. / Com’è bella la città, / com’è grande la città, / com’è viva la città, / com’è allegra la città. / Piena di strade e di negozi / e di vetrine piene di luce, / con tanta gente che lavora, / con tanta gente che produce. / Con le réclames sempre più grandi, / coi magazzini, le scale mobili, / coi grattacieli sempre più alti / con tante macchine sempre di più». Ad Addis Abeba e a Città del Messico, per esempio, ma in moltissime altre metropoli, ogni mattina la città è più grande perché sono arrivati, durante la notte, dall’interno del paese, nuovi abitanti, speranzosi di trovare un lavoro nella grande capitale, in fuga dalla miseria dei campi. A Shanghai il fenomeno è identico.
Da quando, dopo trent’anni di maoismo, all’inizio degli anni Ottanta, Deng Xiaoping pronunciò la clamorosa frase «diventare ricchi è glorioso», Shanghai era diventata la città prescelta per essere il centro cinese del nuovo capitalismo. Oggi in alcuni quartieri della città si può notare il seducente contrasto fra case e pagode di legno e immensi grattacieli. Qualcosa di molto antico (anche le ritualità sono immutate) resta incapsulato in qualcosa di urgente e nuovo.
Lo smantellamento del distretto industriale per far posto al sito dell’Expo ha comportato il trasferimento di più di ventimila famiglie e di migliaia di piccole imprese. Ho avuto la fortuna di partecipare in qualità di consulente artistico a un progetto donchisciottesco, ma di successo, dell’artista di Shanghai Shan Shan Sheng che vive a Los Angeles e lavora spesso a Murano. In un momento in cui, in Laguna, a Venezia, si fa un gran parlare di vetro contraffatto, in realtà made in China, Shan Shan Sheng, sostenuta e incoraggiata da Adriano Berengo, direttore di Berengo Studio, ha realizzato una grande muraglia cinese i cui mattoni, dello stesso formato di quelli originali, sono in prezioso vetro muranese. L’opera, che si intitola Open Wall, è stata presentata al Pavilion of Urban Footprints nell’area Expo a nord del fiume Huangpu. Il miracolo della nuova Cina capitalista si appoggia soprattutto su centinaia di milioni di operai che lavorano forsennatamente per costruire il riscatto socio-culturale dei loro figli. Per molti, l’Expo è stata un’occasione unica che non hanno perso: si sono organizzati e, di solito in piccoli gruppi, sono giunti a Shanghai da ogni parte del paese rimanendoci anche tre, quattro giorni, per poter vedere i padiglioni del resto del mondo e quello della Cina ma, soprattutto, l’immenso padiglione delle province cinesi che consentiva di conoscere le tradizioni dei loro connazionali.
La Cina ha cinquantasei gruppi etnici corrispondenti a un miliardo e mezzo di abitanti. L’immensa distanza che li separa dai capitalisti della città e il loro autentico stupore per quanto stanno vedendo sono evidenti. La fiaccola della speranza, tenuta alta davanti a tutti i contadini e a tutti gli operai, è quella dell’incremento della produzione e della città che offre rifugio e lavoro. È la continuazione dell’utopia, prima sovietica, poi cinese, ma in un contesto totalmente cambiato.
Come ci racconta Irene Falck, “deus ex machina” del padiglione italiano di allora, visitato da sette milioni e trecentomila persone, «il successo del nostro padiglione è dipeso dalla sua elegante semplicità, un’eredità che ci deriva dal lavoro di molte piccole realtà locali, da sempre a contatto con esperienze artistiche. I soggetti coinvolti nell’Expo non sono stati soltanto le grandi imprese ma le multinazionali tascabili della moda e del design». Il Commissario generale del governo per l’Expo, Beniamino Quintieri e l’architetto Giampaolo Imbrighi avevano saputo creare un padiglione per visitare il quale la gente si metteva in coda anche per tre ore. L’architetto ha progettato un edificio in vetro e cemento trasparente. Di fronte, il grande portale Marco Polo, scultura in bronzo di Arnaldo Pomodoro, alta dodici metri, che presenta due facce: l’una dedicata al mondo occidentale con le sue numerose nazioni, l’altra all’immensa Cina con la sua secolare unità. Una volta varcata la porta (riprodotta) del Teatro olimpico vicentino del Palladio, entrata dell’edificio, all’interno di una cabina di vetro si potevano ammirare gli ebanisti brianzoli all’opera, intenti a realizzare mobili con quell’abilità straordinaria grazie alla quale designer di mezzo mondo vengono in Brianza per concretizzare in legno le loro idee. Ma c’erano anche i nostri cuochi, provenienti, a turno, da ogni regione d’Italia. Milioni di cinesi hanno potuto vedere gli chef in azione mentre preparavano la pasta in tutte le sue declinazioni. Non mancavano la Ferrari, la Vespa, immensi manichini degli stilisti italiani, la tuta di Valentino Rossi e un’intera orchestra letteralmente appesa a un muro. Il tutto sotto la protezione di una sezione della cupola di Brunelleschi percorsa da scale mobili.
Il Victoria and Albert Museum (Londra 1852), la Tour Eiffel (Parigi 1889), l’Atomium (Bruxelles 1858) sono fra le più famose costruzioni sopravvissute alle Esposizioni universali, e diventate anche edifici simbolo delle loro città, cosa che è già avvenuta per il padiglione cinese di Shanghai 2010, incredibile pagoda rossa contemporanea, oggi Museo d’arte cinese. Il padiglione italiano è fra le poche costruzioni conservate ed è diventato lo Shanghai Italian Center. La locandina promozionale recita: «Qui potrete godere l’essenza del Rinascimento italiano senza andare all’estero». L’enorme riccio realizzato invece dall’architetto Thomas Heatherwick e ribattezzato Seed Cathedral (Cattedrale dei semi) era composto da 60.000 filamenti acrilici trasparenti che ondeggiavano dolcemente nel vento. Ognuna di quelle bacchette conteneva semi di piante rare e protette. Stiamo parlando del padiglione inglese, autentica opera d’arte che ha, in un certo senso, introdotto il tema dell’Expo Milano 2015, “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”.



Shanghai 2010, World Expo Cultural Center

la cerimonia inaugurale.

alcune giovani a lezione di portamento e buone maniere: i volontari sono stati più di un milione.

Shan Shan Sheng, Open Wall, (2009), in vetro di Murano, Pavilion of Urban Footprints.

il padiglione dell’Italia

il padiglione del Nepal


il padiglione della Cina


il padiglione dell’Inghilterra

ART E DOSSIER N. 323
ART E DOSSIER N. 323
LUGLIO-AGOSTO 2015
In questo numero: UN'ESTATE D'ARTE Le mostre da non perdere da Roma a Pompei, da Milano a Firenze e a Parigi; Le biennali più politiche e l'Expo più bella; L'arte della ceramica: Delft vs Cina. IN MOSTRA Rops/Fabre, Gormley, Lachapelle, Arts & Foods, Le Corbusier, Pompei, Piero di Cosimo.Direttore: Philippe Daverio