Grandi mostre. 3 
Arts & Foods a Milano

linguaggi
alimentari

La mostra ufficiale di Expo Milano 2015 è dedicata al rapporto tra cibo e arti visive, e più in dettaglio alle relazioni che sono intercorse negli ultimi due secoli tra la cultura e i linguaggi - anche simbolici - legati alla preparazione, alla presentazione, alla comunicazione del cibo. 

Ludovico Pratesi

la mostra ufficiale dell’Esposizione universale 2015 è uno degli eventi più ampi e complessi mai realizzati nel nostro paese, grazie alla regia di Germano Celant, che ha ordinato una rassegna incentrata sul rapporto che intercorre tra le arti e la cultura del cibo. Non solo inteso in senso fisico e letterale, ma presentato soprattutto nelle sue implicazioni simboliche, concettuali, antropologiche, sociali e materiali in un percorso espositivo su tre livelli che si intreccia anche con la storia stessa dell’Expo, intesa come palinsesto culturale internazionale. Non a caso il sottotitolo della mostra Arts & Foods, aperta alla Triennale di Milano fino al 1° novembre, è Rituali dal 1851. La data corrisponde alla prima edizione della manifestazione a Londra, dove comparivano alcune opere d’arte all’interno dell’esposizione: un primo segnale di interesse per le arti visive che avrebbe preso corpo due anni dopo a Dublino con una vera e propria mostra di arte antica, con opere di grandi artisti come Rubens, Caravaggio, Raffaello e altri.

La relazione tra l’arte e le esposizioni universali nel tempo è divenuta via via più articolata, fino a sfociare a Milano in una kermesse che riunisce millecinquecento opere tra dipinti, sculture, installazioni, fotografie, film e oggetti di design. Con quale intento? «Arts & Foods traccia un percorso storico e multidisciplinare », spiega Celant, «sui riti legati al cibo, alla sua distribuzione, alla sua preparazione, al suo consumo: dal mercato alla cucina, dal bar al ristorante, dagli utensili al vasellame, dal packaging agli elettrodomestici, visti con lo sguardo dei grandi protagonisti della pittura, dell’architettura, del design, della fotografia, della moda, della letteratura, del cinema, della televisione e della musica». Una mostra concepita dal curatore come un’esperienza totale, basata «sulla dinamica dell’intreccio tra i linguaggi come mezzo per spettacolarizzare, e quindi garantire, una continua stimolazione visuale e sensoriale cosicché il pubblico si senta circondato e immerso nel gioco delle sensazioni fisiche e intellettuali», aggiunge Celant. Allestita da Italo Rota, Arts & Foods si sviluppa su una superficie di settemila metri quadrati sui tre piani del palazzo della Triennale, secondo un “fil rouge” di carattere cronologico.

Millecinquecento opere tra dipinti, sculture, installazioni, fotografie, film
e oggetti di design



L’avvio è spettacolare: la sezione storica, dedicata alla seconda metà del XIX secolo e caratterizzata dalla trasformazione della società a seguito della rivoluzione industriale, appare come la più riuscita, sia per la quantità di materiali che per la loro varietà. L’incipit è dato dalla contrapposizione tra cucina povera, dove si consuma il pasto contadino, e sala da pranzo aristocratica, che diventerà nel giro di pochi anni lo spazio conviviale della famiglia borghese. Non è un caso che il primo focus della mostra sia dedicato appunto all’evoluzione della sala da pranzo legata al rito del pasto consumato intorno al tavolo. Un’usanza documentata da opere di Medardo Rosso, Giuseppe de Nittis e Maurice Denis, che introducono all’affermazione di nuovi modelli sociali e culturali legati al nuovo secolo. Gli stimoli che colpiscono lo spettatore sono vertiginosi: si passa da una collezione di coltelli da tavola alla ricostruzione di un bar del primo Novecento, completo di prodotti d’epoca, per non parlare degli spezzoni dei film proiettati nelle sale, tra i quali spicca la scena esilarante di uno Charlot alle prese con i primi utensili elettrici da cucina in Tempi moderni, girato nel 1936.
Le sale sono affollate di oggetti e mobili di matrice cubista, futurista e déco, e da alcuni ambienti storicamente significativi, come la sala da pranzo futurista di Gerardo Dottori o lo studiolo dove cenava Gabriele d’Annunzio. Sorprendente e futuribile l’Autarca, un tavolo progettato nel 1935 dal notaio genovese Angelo Fasce, che permetteva a sei commensali di poter consumare un intero pasto senza doversi mai alzare e senza aiuto di domestici.
In questo ambito, gli artisti si dedicano soprattutto al tema della natura morta, tra pittura e fotografia, che coinvolge artisti storici come Picasso, Braque, Boccioni, Severini, Morandi, Casorati, Man Ray.

La sala da pranzo aristocratica diventerà nel giro di pochi anni lo spazio conviviale della famiglia borghese


Un altro interessante focus è dedicato al mercato, inteso come luogo di vendita e consumo del cibo, con una selezione di immagini scattate da maestri come Henri Cartier-Bresson, Nino Migliori e Andreas Gursky, mentre non poteva mancare un accenno al tema dell’Ultima cena, che tratta il rapporto tra cibo e spiritualità, con capolavori che vanno da El Greco ad Andy Warhol. E il leader della Pop Art è protagonista del settore della mostra Vietato agli adulti, dove i bambini possono ammirare novantatre dipinti di Warhol legati al mondo dei giocattoli. La panoramica si conclude con la Maison des jours meilleurs, realizzata nel 1956 da Jean Prouvé e ricostruita in mostra con gli arredi originali: mobili e dipinti di artisti come Pablo Picasso e Giorgio Morandi. La sua peculiarità? Poteva essere montata da due persone in sole sette ore, ed era perfettamente funzionale.


Qui sotto, Claes Oldenburg e Coosie van Bruggen, Leaning Fork with Meatball and Spaghetti III (1994). 

Angelo Morbelli, Asfssia! (1884).

Jean Prouvé, La Maison des jours meilleurs (1956).


Arman, Artériosclérose (1961).


Joe Colombo, servizio di bordo Alitalia, linea 72 (1970);

La mostra riprende al piano superiore con uno spaccato degli anni Sessanta e Settanta, dove alcune opere significative non vengono però sufficientemente valorizzate da un allestimento forse eccessivamente colorato, dall’effetto quasi psichedelico. «Il viaggio continua negli anni Sessanta con l’esplosione iconografica pop», racconta il curatore, «da Claes Oldenburg a Tom Wesselmann, che fa del cibo un tema centrale, così da arrivare ai ristoranti d’artista, quelli di Daniel Spoerri, o agli assemblage di forchette e di cioccolato del Nouveau Réalisme e di Fluxus, fino alla cucina naturale e biologica della controcultura hippy». In quest’area spicca la sezione dedicata alla necessità di nutrirsi durante i viaggi nello spazio, documentati da una selezione di film di fantascienza, da 2001 Odissea nello spazio a Guerre stellari.
Infine arriviamo ai nostri giorni, dominati dalla contaminazione tra le arti. «Dagli anni Ottanta», aggiunge Celant, «l’interesse per l’esperienza materica e corporale dilaga e i linguaggi, da Frank O. Gehry a Jannis Kounellis, da Cindy Sherman a Robert Mapplethorpe, si fondono e confondono: portano al banchetto di alimenti colorati di Antoni Miralda, al tavolo organico di Mona Hatoum e alla casa di pane di Urs Fischer ». Degna conclusione per una mostra capace di mostrare come il tema del cibo riveli chiavi di lettura inaspettate e originali per riflettere sull’evoluzione del mondo negli ultimi due secoli.

Tom Wesselmann, Still life 3


Tom Wesselmann, Still life 2


Subodh Gupta, Dada (2014).

ART E DOSSIER N. 323
ART E DOSSIER N. 323
LUGLIO-AGOSTO 2015
In questo numero: UN'ESTATE D'ARTE Le mostre da non perdere da Roma a Pompei, da Milano a Firenze e a Parigi; Le biennali più politiche e l'Expo più bella; L'arte della ceramica: Delft vs Cina. IN MOSTRA Rops/Fabre, Gormley, Lachapelle, Arts & Foods, Le Corbusier, Pompei, Piero di Cosimo.Direttore: Philippe Daverio