Musei da conoscere
Mudec - Museo delle culture a Milano

il polo
della diversità

Alla fine di marzo finalmente Milano ha festeggiato l’apertura del Mudec - Museo delle culture ospitato nell’ex fabbrica Ansaldo. Una risorsa fondamentale per l’unica metropoli europea finora sprovvista di un’istituzione in grado di far dialogare le opere delle culture “altre”.

Antonio Aimi

Finalmente Milano ha un museo di antropologia: il Mudec - Museo delle culture.

Confesso che non sono imparziale nel riferire questa notizia perché in un lontano passato avevo scritto più volte che Milano era l’unica metropoli europea a essere priva di un’istituzione di questo tipo e che la cosa contrastava non poco con le ambizioni mitteleuropee della città. Parallelamente avevo dato un certo contributo a superare questa lacuna, prima (erano gli anni Ottanta) salvando dalla dispersione e dal degrado assieme a Vincenzo De Michele e Alessandro Morandotti quanto restava del Museo Settala (alcuni pezzi, incredibilmente, erano stati venduti dalla Biblioteca ambrosiana), poi ricostruendo la storia del collezionismo di exotica americani a Milano dal XVI al XX secolo e infine facendo capire ad alcuni generosi collezionisti (e/o ai loro eredi) di reperti indigeni e precolombiani (Segre, Pirri-Torricelli, Uggè, Lo Curto, Balzarotti) che le Civiche raccolte d’arte applicata, l’istituzione da cui è nato il Mudec, avrebbero favorito adeguatamente la conoscenza di quelle culture che li appassionavano.




Due immagini della prima sala della mostra Africa, terra degli spiriti.

Il Mudec è il primo importante museo d’antropologia che fa capo a un polo museale di arte contemporanea


Ora è fatta. Il museo è stato aperto alla fine di marzo. Anche se non sono mancate le polemiche dell’ultima ora, perché il progettista, l’architetto inglese David Chipperfield, ha disconosciuto l’opera, accusando i funzionari del Comune di Milano di «poco interesse per il bene pubblico» e sostenendo che «la posa di una pietra [del pavimento] di qualità inferiore ha trasformato [il Mudec] in un museo degli orrori».

E, a questo proposito, senza entrare nel merito di “querelles” che ci porterebbero troppo lontano, occorre dire chiaramente che la nuova costruzione:

1) è bella, essenziale ed elegante, per quanto alcune delle pietre del pavimento siano leggermente disomogenee;

2) per certi versi, è decisamente migliore delle strutture di altri importanti musei europei aperti negli ultimi anni;

3) rappresenta un risultato insperato alla luce delle incertezze e delle battute d’arresto che hanno caratterizzato i primi anni del progetto Mudec e che hanno provocato un ritardo di oltre dieci anni, rispetto alla data annunciata il 24 febbraio del 2000 da Maurizio Lupi, allora assessore comunale allo Sviluppo del territorio.

Il Mudec, che è costato complessivamente circa 60 milioni di euro totalmente sostenuti dal Comune di Milano, sorge in via Tortona 56, all’interno dell’area ex Ansaldo, che ospita anche le OCA - Officine Creative Ansaldo e i depositi della Scala. L’edificio è completamente nuovo e si caratterizza per una grande piazza coperta sormontata da una vetrata in cristallo a forma di rosa camuna. Al suo interno si susseguono grandi saloni, che presentano una superficie complessiva di diciassettemila metri quadri e consentono di offrire proposte varie e asimmetriche che vanno dalle mostre temporanee alla collezione permanente, dai depositi aperti al pubblico con visite guidate all’auditorium per conferenze e spettacoli, dal Forum delle culture agli spazi riservati alla didattica e al futuro centro per il restauro (una chicca straordinaria considerando gli standard dei musei italiani), dove si pensa di restaurare il mantello tupinambá dell’Ambrosiana, uno degli otto esistenti al mondo. Complessivamente il Mudec può contare su oltre settemila reperti di tutti i continenti, che, considerando anche la qualità delle opere, lo collocano al terzo posto in Italia tra i musei di antropologia, subito dopo quelli di Roma e Firenze.

A questo proposito, tuttavia, considerando:

1) il permanente stato comatoso del Museo nazionale di antropologia di Firenze (ma che cosa si aspetta a fare un radicale piano di rilancio che tagli una volta per sempre i limiti strutturali, in primo luogo la dipendenza dall’università, che l’hanno portato nella situazione attuale?);

2) gli insensati tagli di bilancio del Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini di Roma, declassato da Sovrintendenza a museo regionale e penalizzato da una costante, scarsa progettualità;

3) le possibilità che si aprono grazie alla partnership con la società 24 Ore Cultura, che gestirà gli spazi riservati alle mostre temporanee; appare evidente che il Mudec, se giocherà bene le sue carte, potrà diventare il primo museo antropologico d’Italia sia per numero di visitatori, sia per l’importanza e la qualità delle iniziative.


Atelier Vili o Sei della Repubblica Democratica del Congo, Maternità (XIX secolo), Zurigo, Museum Rietberg.

Oltre settemila reperti di tutti i continenti collocano il Mudec al terzo posto in Italia tra i musei di antropologia, subito dopo quelli di Roma e Firenze


Fatto quasi unico in Europa, per quanto risulta a chi scrive, il Mudec è il primo importante museo d’antropologia che fa capo a un polo museale di arte contemporanea. «Quando mi è stata affidata la direzione delle collezioni del Mudec», ci ha dichiarato Marina Pugliese, direttrice del Polo d’arte moderna e contemporanea di Milano, «mi sono resa conto che il progetto di museo sul quale si era lavorato per anni era più adatto alle capitali europee in cui si sono sedimentate imponenti raccolte etnografiche e che il nostro museo non sarebbe mai stato in grado di competere con quelli di Londra, Parigi o Berlino. Per queste ragioni abbiamo progettato un nuovo percorso espositivo, che mette in primo piano la storia collezionistica di Milano. Si parte col museo Settala, che con la sua trasversalità e interdisciplinarità per me è la cifra del Mudec, per passare ai viaggiatori dell’Ottocento e per finire coi collezionisti d’arte africana e precolombiana. In questo quadro, nella parte finale del percorso espositivo si svilupperà un dialogo molto interessante tra l’arte extraeuropea e le avanguardie del secolo scorso. Basti dire che abbiamo deciso di spostare dal Museo del Novecento lo studio di una delle due figure di destra delle Demoiselles d’Avignon, il quadro che tradisce l’influsso dell’arte africana su Picasso e segna l’inizio del cubismo, per collocarlo in dialogo con le collezioni Monti e Passarè di arte africana. Com’è noto, il Comune di Milano con una gara d’appalto ha affidato a una società privata, 24 Ore Cultura, la gestione dei servizi aggiuntivi (bar, ristorante, parcheggio) e l’organizzazione delle grandi mostre. Abbiamo quindi ampliato gli spazi dedicati alle esposizioni rendendo però i depositi visitabili. In questo modo si sono aperte sinergie interessanti tra il pubblico e il privato, sollevando il Comune di Milano dall’onere delle grandi mostre, per liberare risorse che destineremo a iniziative più piccole e più mirate».
LE MOSTRE DEL MUDEC
Il Mudec - Museo delle culture (www.mudec.it) comincia la sua attività con due mostre: Africa. La terra degli spiriti (fino al 30 agosto) e Mondi a Milano. Culture ed esposizioni 1874-1940 (fino al 19 luglio). La collezione permanente sarà esposta in autunno dopo la chiusura delle mostre. Delle due esposizioni la più importante è la prima, dato che la seconda, che, presumibilmente, rappresenta un tributo obbligato all’Expo, si limita a una rievocazione delle precedenti esposizioni milanesi, soprattutto di quelle del 1874 e del 1906. L’altra, invece, presenta una rivisitazione dell’arte africana con una panoramica ricca, varia e, soprattutto, di altissimo livello delle opere, degli stilemi e delle tipologie delle popolazioni dell’Africa subsahariana, dai fang ai baulé, dagli hemba ai dogon, dai senufo ai dan. Complessivamente sono esposti circa duecentosettanta reperti. Si tratta di sculture in legno, bronzo e ottone, oggetti in avorio, maschere, coltelli da lancio, poggiatesta ecc. Coerentemente con la visione dei curatori - Ezio Bassani, Lorenz Homberger, Gigi Pezzoli e Claudia Zevi - e con le ricerche portate avanti a partire dagli anni Trenta del secolo scorso sulla tematica delle attribuzioni, la mostra non si limita a offrire un’antologica di opere, pur straordinarie, ma interviene anche sulle questioni propriamente estetiche. L’esposizione, infatti, presenta alcuni dei maestri più importanti e più famosi e commenta le loro opere, analizzandone le qualità formali con testi che si tengono ben alla larga dalle analisi desemantizzate, in cui cadono coloro che credendo di celebrare l’arte “altra” (a dir il vero non solo quella “altra”), non sanno spiegare che cosa differenzia un capolavoro da un oggetto artigianale. Naturalmente in questa logica non sono abbandonate le tematiche, propriamente etnografiche e antropologiche, che al contrario sono esaltate dal riconoscimento del ruolo dell’arte nel contesto storico e sociale delle società africane. In particolare, da questo punto di vista, è significativo osservare che la presenza di opere datate tra il VII e il XX secolo non solo sottrae l’Africa alla dannazione di un eterno presente, ma costituisce la premessa per una storia dell’arte africana che è ancora tutta da scrivere.

A.A.

Atelier Yoruba di Igbuke a Oyo (Nigeria), Coppia di gemelli (inizio XX secolo).

ART E DOSSIER N. 322
ART E DOSSIER N. 322
GIUGNO 2015
In questo numero: ESPRESSIONISMO In mostra a Genova tra avanguardia e Bohème. L'ARTE, LA GUERRA E LA PACE: Dai pittori garibaldini a Yoko Ono. PHILIPPE DAVERIO La follia della Grande Guerra. IN MOSTRA Visconti e Sforza, Illustrazione di guerra.Direttore: Philippe Daverio